lunedì 8 dicembre 2025

L'uomo nell'alto castello, Philip Dick


L'uomo nell'alto castello è un romanzo pubblicato da Philip Dick nel 1962, precedentemente edito come La svastica sul sole.

Il romanzo è ambientato in un mondo distopico in cui Italia, Germania e Giappone hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale e si sono spartiti il mondo. In particolare, mentre l'Italia s'è dovuta accontentare di un suo piccolo impero mediterraneo, Germania e Giappone si sono divisi Asia, Affrica e Americhe. Così le vicende del racconto si dipanano tra gli Stati delle montagne rocciose, ufficialmente indipendenti, in realtà poveri e dipendenti dai più ricchi territori degli Stati Uniti occidentali, legati al Giappone, e agi Stati Uniti orientalil,  sotto il controllo della Germania.

Protagonisti del romanzo sono l'ebreo Frank Frink e la sua ex moglie Juliana, Nobosuke Tagomi, funzionario giapponese a San Francisco, Robert Childan, commerciante americano che vende ai giapponesi falsi oggetti storici da collezione. A muovere la vicenda sono due artefatti: l'I Ching, il libro dell'oracolo che tutti i personaggi finiscono per consultare per interpretare la realtà, passato, presente e futuro, e il metalibro La locusta si trascinerà a stento (precedentemente La cavalletta non si alzerà più), un libro che mostra un mondo alternativo in cui, invece, l'esito della Guerra è stato l'opposto. Nel frattempo la Germania nazista vede l'avvicendamento della leadership e una cospirazione internazionale sta per portare al conflitto tra il Nazismo e il Giappone; Juliana è invischiata suo malgrado nella cospirazione che vuole portare all'omicidio dell'autore del metaromanzo, mentre Frank Frink e Childan sono le due facce della medaglia che sta portando alla rinascita di una cultura americana a discapito dell'occupazione giapponese, che appare comunque indubbiamente più accettabile rispetto al folle dominio nazista.

Il romanzo quindi si fonda sul rovesciamento della realtà, ma contemporaneamente appare lo specchio del mondo nato dalla Seconda guerra mondiale: la presunzione della superiorità americana si osserva meglio nella pretesa di purezza e di onore della romanzesca dominazione giapponese, come l'orrore sovietico trovano corrispondenza nella finzione del dominio nazista. Il romanzo così mostra un mondo che è e che non è, fondato sull'inganno, in cui tutti sanno che la realtà non è quella che appare, anche se si sforzano di accettarla come tale, a costo dell'autoinganno oracolare che muove le azioni dei personaggi.

The Sandman, stagione due


Tanto aveva fatto bene Netflix con la prima stagione di Sandman, tanto è deludente la seconda stagione della serie. Certo, ci sono diverse ragioni per questa delusione: lo scandalo relativo ai presunti abusi sessuali compiuti da Neil Gaiman ha portato la produzione a tagliare la terza stagione, già prevista, finendo per accorpare i contenuti previsti per le due stagioni nella sola seconda serie. E così, dopo averne gettato le premesse nelle ultime puntate della prima stagione, il confronto tra Lucifero e Morfeo e le sue conseguenze si risolve in sole tre puntate, mentre le altre puntate sviluppano le vicende che porteranno all'insediamento del nuovo Sogno. Ma il ritmo di questa seconda stagione è contemporaneamente troppo lento e troppo veloce: ad esempio la storia del figlio di Morfeo, Orfeo, risulta contemporaneamente troppo pensante e troppo poco approfondita, così come il personaggio del nuovo Sogno risulta a stento abbozzato. Purtroppo, la migliore delle puntate risulta la puntata speciale, quella dedicata alla sorella di Morfeo, Morte. Ed è tutto dire.

domenica 7 dicembre 2025

Criticare Israele non è per forza antisemitismo, come ci insegna Cecilia Sala

Cecilia Sala, immagine: Di Fondazione Circolo dei lettori, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=157273087

Un esempio tragico del peggior rapporto che abbiamo con la complessità è il modo in cui ci rapportiamo alla critica ad Israele e all'antisemitismo

È di questi giorni la notizia che diversi paesi boicotteranno l'Eurovision del 2026 per protesta contro la presenza di Israele. Di fronte a questa posizione sono combattuto: da un lato attribuire ad un artista il peso delle decisioni politiche del proprio paese mi sembra un torto verso l'individualità del singolo; dall'altro è pur vero che chi canta all'Eurovision lo fa in rappresentanza del proprio paese. In ogni caso, chi si pone anche solo la questione della presenza di Israele alle manifestazioni internazionali a causa della sua condotta nel conflitto di Gaza verrà sempre e comunque tacciato di antisemitismo.

E allora proviamo a vederla questa complessità. Per esempio ascoltando o guardando dei reportage giornalistici, come quelli di Cecilia Sala per Choramedia.




Sala ha la capacità di mostrare l'Israele più fondamentalista, ma anche l'Israele che guarda sgomenta l'ascesa dell'estremismo religioso. Israele oggi è un mondo complesso; in effetti è quasi impossibile dire che esista una e una sola Israele; in effetti è quasi impossibile dire che esista un Occidente. Forse dovremmo prenderne atto e ragionarci su, ogni volta in cui ciascuno di noi si pone a salvatore dei valori della civiltà.

domenica 16 novembre 2025

The Pitt, R. Scott Gemmill

The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è una serie TV messa in onda su HBO e prodotta da Warner Bros, con protagonista Noah Wyle. La serie racconta le vicissitudini dello staff di un pronto soccorso durante un intero turno di 15 ore; quindi la peculiarità dello svolgimento della narrazione è che, sostanzialmente, tempo della storia e tempo del racconto coincidono, dato che le puntate di un'ora raccontano un'ora di turno.

La serie trae evidente ispirazione da E.R., di cui è sostanzialmente un seguito mascherato e aggiornato ai tempi. Compaiono tutti i temi che riguardano il sistema sanitario americano: la pandemia di COVID e i suoi esiti; la diffusione delle teorie no vax; il costante rischio delle stragi politiche e legate al nichilismo diffuso; un sistema sanitario fondato sui premi delle assicurazioni che garantisce buone prestazioni in base al reddito.

La serie è stata pluripremiata e merita sicuramente la visione, tanto da essersi guadagnata una nuova serie.

sabato 15 novembre 2025

Mobile Suit Gundam GQuuuuuuX


 C'è del Gundam in questo Evangelion.

Mobile Suit Gundam GQuuuuuuX, diretto da Kazuya Tsurumaki, è la sedicesima serie ambientata nel mondo di Gundam. La serie è stata distribuita nel 2024. La serie è ambientata in un universo alternativo a quello della serie originale del 1979, a cui si collega rivisitandola.

Affidata allo studio Khara, la serie sembra però proporre anche chiari richiami ad un'altra celebre serie a tema me ha: Neon Genesis Evangelion. Anzi, a dirla tutta, per le tematiche affrontate la serie è molto lontana dalla tradizione dei Gundam, sembra più rifarsi a punto alla tradizione dello studio Khara.

Il tema del militarismo e del conflitto è così solo accennato, lasciando semmai molto spazio alle divisioni interne al Principato di Zion (mai del tutto chiarire, però). Le puntate si dipanano favorendo l'introspezione dei protagonisti, fino alla svolta finale, al momento in cui i due universi collideranno e farà la sua comparsa il Gundam originale di Amuro.

Graficamente la serie non si discute, è animata in maniera fantastica e la compagine sonora fa il suo dovere. I Gundam, nella tradizione del mecha design dello studio Khara, sono di difficile lettura.

In ogni caso, una buona visione, ma che potrebbe fare storcere il naso ai fan della serie.

mercoledì 29 ottobre 2025

Principesse e principessi, studentesse e studentessi

Scrollando su Instagram mi sono imbattuto in questo intervento del linguista Manolo Trinci, a commento di un intervento dell'onorevole Anna Laura Orrico, del M5S


https://youtube.com/shorts/RPljUJAK5ks?si=VHDrZR_C3B1h0PUA

Secondo me Trinci non coglie (detta meglio, non vuole cogliere) cosa sta accadendo in quell'intervento, e favorisce sulle sue pagine social una facile ironia sulla questione che non contestualizza e non favorisce il dibattito sulla scelta linguistica dell'onorevole. Per essere chiari: delle due l'una, o la scelta di usare studentessi è un lapsus, o è una scelta. È possibile sospettare che l'onorevole abbia scelto di usare studentessi proprio per le ragioni spiegate nel video, ovvero evidenziare il senso del suffisso in -essa, per cui oggi si sceglie di non adoperare il suffisso in -essa per riferirsi alle donne impegnate in mestieri e ruoli non riferibili con termini ambigenere o invariabili. Insomma, l'onorevole avrebbe voluto creare un momento di dissonanza cognitiva per evidenziare come tranquillamente adoperiamo termini che nascono come offensivi o discriminatori, e che ci accorgiamo della loro natura solo quando quei termini (o le regole per cui sono nati) vengono estesi a chi normalmente è esente da quella discriminazione. Da dove nasce questa ipotesi? Dal fatto che ho preso l'abitudine di farlo anche io. Ogni mattina, quando entro in classe, saluto i miei alunni chiamandoli "principesse e principessi", partendo da un rapporto amichevole ma non amicale che abbiamo costruito nella durata del nostro percorso. E ovviamente la prima volta in cui mi hanno sentito pronunciare la parola "principessi" si sono guardati e mi hanno corretto, no prof. si dice principi. Questo ci ha portati a riprendere un discorso che avevamo già fatto in prima superiore parlando della convenzionalità del linguaggio, del Manifesto delle parole ostili e dell'uso discriminatorio, anche non voluto, delle parole adoperate senza riflessione.
Hanno colto? Non tutti, certo, ma l'insegnamento non si misura solo sui risultati immediati; contano anche i semi che hai piantato e che germoglieranno nel corso degli anni, a poco a poco, con pazienza dovuta.

 

mercoledì 22 ottobre 2025

L'arte di complicare le cose, o delle linee guida sull'IA a scuola


L'IA è arrivata nel mondo della scuola. È arrivata malgrado la scuola, ed è arrivata perché la realtà si mangia ogni paravento ideologico, prima o poi, soprattutto se la realtà è assistita dall'interesse delle grandi aziende. Il punto è che gli studenti la usano, questa IA, e la usano anche i docenti, anche quelli che dicono che però non la vorrebbero in classe. Anzi, quei docenti spesso scrivono i propri proclami contro l'IA appaltando la scrittura al loro peggior nemico (immaginario).

Detto questo, dato che però parliamo sempre della scuola italiana, regolamentare vuol dire non guidare l'uso consapevole, vuol dire burocratizzare procedure e tentare di mettere una diga costruita da castori per arginare una marea oceanica.

Le scuole dovranno rivolgersi al responsabile per la privacy, valutare le necessità, progettare gli interventi amministrativi e didattici legati all'introduzione della nuova tecnologia, stabilire gli stakeholder, elaborare una lista di app da adoperare, farne una valutazione del rischio, pianifiare l'uso, scrivere la modulistica per i consensi informati e le liberatorie, adoperare, monitorare, concludere e rendicontare. Tutto bello e utile, se stai introducendo l'aratro, ma pesante e ingombrante se stai introducendo tecnologie che si modificano radicalmente nell'arco di 6 mesi.

Questa pesantezza a cosa porterà? Semplice, alla minimizzazione del rischio e alla conseguente minimizzazione della sperimentazione. Tradotto? In barba alla reale diffusione delle piattaforme, appalto delle tecnologie di Inteligenza Artificiale per la scuola alle sole due aziende già monopoliste delle piattaforme scolasiche nel nostro sistema di istruzione: Microsoft e Google. Le scuole adopereranno Copilot e Gemini, punto, non perché siano le migliori IA o le più utili, ma semplicemente perché sono quelle che minimizzano i costi di adeguamento della burocrazia.

Solo che il mondo fuori dalla scuola non usa Copilot e adopera Gemini solo per qualche sparuto uso settoriale (almeno per ora, fra sei mesi chissà).

E nell'adeguarci ad una burocrazia ridondante non facciamo in tempo a formare i docenti e gli studenti sul distant writing, sull'agenzia artificiale, sugli atti cognitivi midtended, sulla epistemia, sul collasso dei contenuti e sul collasso semantico della rete. Però abbiamo compilato le carte.

domenica 12 ottobre 2025

La polemica incomprensibile sull'ultimo episodio di Wilson di Francesco Costa

Capisco la polemica sull'ultimo episodio di Wilson e sulle parole di Costa, ma anche no, nel senso che capisco chi dice che il giornalista e il giornale si schierano già nella scelta dei temi, e che quindi la semplice pretesa ingenua della neutralità è un falso: solo che questa premessa la fa già Costa e la ammette ad inizio episodio. L'episodio parla di altro: della pretestuosa richiesta al giornale di raccontare le notizie solo in modo tale che confermino le idee del lettore. A questo, giustamente, Costa si ribella. Poi lo fa con ingenuità storiche, ma concettualmente la sua posizione è chiara e condivisibile.
Le critiche alla linea editoriale di Il Post, invece, l'idea che il tentare di spiegare nei dettagli le cose sia una posa spocchiosa, ecco, quella mi sembra ancora di più una polemica strumentale di chi, se già sa, pensa che tutti debbano sapere come ləi, (e pensare come ləi) e se non sa, pensa comunque di saperne abbastanza da non accettare posizioni diverse dalle proprie. Tenetevi Il Fatto e Libero, se preferite. 

sabato 11 ottobre 2025

Persone normali, Sally Rooney

Persone normali, di Sally Rooney, è un romanzo edito per la prima volta nel 2018. Secondo romanzo di successo dell'autrice, racconta la storia di Marianne e Connell, che conosciamo ragazzi di liceo, quando Marianne è una studentessa ricca ma esclusa dai compagni per il suo carattere eccentrico, e Connell è un ragazzo di origine sociale più modesta, ma affermato per i suoi risultati sportivi. I due in segreto hanno una relazione, solo apparentemente di carattere esclusivamente sessuale, mentre in realtà si completano reciprocamente e finiscono per spronarsi e superare assieme i propri limiti.

Tempo dopo Connell e Marianne si iscrivono al Trinity college a Dublino, dove i rapporti si invertono: qui è Marianne ad essere ammirata e desiderata, mentre Connell è uno tra tanti. Eppure i due continuano a cercarsi, a inseguirsi e a perdersi, a proteggersi da lontano. Infine i due protagonisti raggiungono una loro maturazione: finalmente adulti, non in senso anagrafico ma in senso emotivo, sono in grado di lasciarsi andare, e nel dirsi il loro amore, di prendere le distanze emotive e lavorative, lui a New York, lei a Dublino, che li renderanno degli individui completi.

La scrittura di Rooney è semplice ma non banale; l'introspezione nell'animo dei personaggi, pur non dicendo nulla di assolutamente nuovo, è approfondita e complessa; lo sviluppo della trama, che si aggira intorno a piccoli o apparentemente piccoli fatti della vita di giovani adulti, non brilla per originalità né aspira a farlo, ma intreccia fatti e analisi dei caratteri con metodo, rendendo il romanzo mai banale e invogliando il lettore a leggere. Si dice che i Millenials e la Generazione Z si possano facilmente riconoscere in questi personaggi: francamente non credo, ci sono una forte stereotipizzazione e una forte estremizzazione dei comportamenti, eppure nei piccoli dissapori e nelle beghe quotidiane Marianne e Connell possono effettivamente parlare ad ogni lettore che si avvia verso un mondo che lo vuole adulto ma lo rende adulto sempre più tardi. Insomma, Persone normali è una lettura consigliata, non un capolavoro della letteratura, ma un libro che sa intrattenere e, all'occorrenza, persino fare ragionare per qualche secondo.

venerdì 3 ottobre 2025

Fare qualcosa

Siamo un paese in cui l'ordine costituito non si tocca. Siamo un paese in cui, se vedi un senzatetto per casa, gli dai un euro per lavarti la coscienza, ma non muovi un dito perché lui trovi lavoro e alloggio; anzi, se qualcuno di sua sponte lo fa, viene visto come se si stesse occupando di cose che non gli competono, qualcuno che sta facendo troppo, sicuramente un arrivista che lo fa per farsi e sentirsi superiore agli altri.

Perché il punto è quello: l'ordine costituito non si tocca.

E così gli attivisti a favore di un'azione decisa contro lo stato di Israele e in favore di un aiuto concreto, politico e non solo umanitario, nei confronti dei palestinesi, sono un problema. Li si valuta secondo standard morali che non sono gli stessi che si adoperano in altri casi, per esempio. Così i marò che sparararono e uccisero di fronte alle acque territoriali indiane andavano difesi e riportati a casa, perché mantenevano un ordine costituito, la preminenza dei commerci italiani anche a fronte della vita dei pescatori locali, mentre gli attivisti della sumud flottilla sono stati a stento accompagnati da una fregata militare, per soccorrerli, non per proteggerli, ma solo dopo proteste di massa in tutta Italia, e lasciati a loro stessi e ai loro arresti quando, ancora in acque internazionali e poi in acque teoricamente gestite dall'autorità palestinese è avvenuto l'abbordaggio della marina israeliana.

L'ordine costituito non si tocca: noi siamo amici di Israele; l'ordine costituito non si tocca, non si riconosce lo stato di Palestina favorendone la nascita; l'ordine costituito non si tocca, si fa l'elemosina ai palestinesi con gli aiuti dei corridoi umanitari, ma non si forza la mano per rompere un assedio illegale.

E così si predica la vergogna nei confronti degli attivisti: novelli Catone arringano alla illegittimità dell'espressione del dissenso, guai a disturbare l'ordine costituito, e vergogna per coloro che anziché fare l'elemosina hanno tentato anche un'azione politica, hanno tentato di cambiare le cose. Loro vanno lasciati soli.

E allora lasciamo soli gli imprenditori che rifiutano di pagare il pizzo, lasciamo soli i ragazzi che cercano di evitare un destino da picciotti nelle cosche mafiose, i braccianti che denunciano i caporalati, gli operai che denunciano le condizioni sanitarie e di sicurezza dei posti di lavoro. L'ordine costituito non si tocca.

Ah, vero, quasi sempre lo facciamo già. 

lunedì 29 settembre 2025

Crisi (di mezz'età)?

Dicevo che il mio interesse e il mio bisogno per i social fondati sugli algoritmi è sceso clamorosamente negli ultimi tempi. Certo, pubblico e riposto anche lì, ma frequento sempre meno le bacheche o le pagine altrui, mi interessa sempre meno quello che il feed mi propone.

In realtà questo vale sia dentro che fuori i social.

Un tempo ero decisamente un ascoltatore e un osservatore più attento è interessato. Ora, mi accorgo, mi sento travolto. Certo mi travolge il flusso delle notizie, l'eccesso di informazioni. Ma non è solo quello.

In generale il mio umore è sempre più rabbuiato, come se una nube densissima si avvicinasse a tutti noi e noi non sapessimo come allontanarla, come allontanarci, come disperderla. Stiamo qui, inermi e inerti, in attesa che passi o ci sommerga. Come si fa a non stare male vivendo così?

Poi, nella vita di tutti i giorni, per carità, le soddisfazioni arrivano, lavorative, familiari. Ma il non detto, il non ancora accaduto, ciò che non ho visto e avrei voluto (o temo), ciò che non ho udito e provato e cerco (o fuggo) sono lì, attendono al varco, e l'unica cosa che mi sembra di essere in grado di fare è attraversare il guado sperando di non farmi troppo male.


Tornare ad una rete diversa

Eccoci su un altro social.

Perché?

Perché cresce il desiderio di tornare ad una rete diversa in cui anche lo stare sui social sia guidato dall'interesse personale e dalla condivisione di idee e amicizie, più che da un algoritmo e dalle bolle informative.

Stare su un altro social perché questo pare favorire la condivisione di idee e pensieri lunghi, più che slogan e gattini.

Stare su un altro social perché c'è bisogno di un maggiore controllo dei propri dati, e che questi non stiano in mano a pochi colossi americani.

Insomma, qualche ragione per provare questo social la si trova.

mercoledì 10 settembre 2025

Pluto, Naoki Urasawa


Pluto, diretto da Naoki Urasawa, è la trasposizione anime del manga omonimo di Osamu Tezuka, già autore di Astro Boy. L'arco narrativo raccontato sviluppa le vicende di una serie di robot animati dalle intelligenze artificiali più evolute al mondo. Tra questi,  Gesicht, formidabile detective, Atom, il ragazzino che poi diverrà Astro Boy, Epsilon, robot pacifista.

Le vicende iniziano a causa di una serie di uccisioni di robot, che, si scopre, sono legate ad un conflitto del passato, la  trentanovesima guerra dell'Asia Centrale. A poco a poco scopriamo che dietro la morte dei robot più celebri al mondo sta la volontà di rivalsa di uno scientizato persiano dopo la sconfitta della propria patria nella guerra. Lo scienziato nel segreto del proprio laboratorio ha quindi realizzato una formidabile arma di distruzione di massa, Pluto, per sterminare i robot che avevano causato la sconfitta della Persia, e i loro creatori. La reazione dei robot a questa caccia all'uomo viaggia attraverso tutta la gamma delle emozioni, mostrando come questi artefatti sono diventati nel frattempo talmente evoluti da poter simulare, se non provare, le stesse sensazioni ed emozioni degli uomini; nel frattempo attraverso flashback scopriamo che la guerra contro la Persia, più che dalla scoperta di vere prove di armi di distruzione di massa, era stata causata dal timore di uno stato, la Tracia, che la propria rivale, la Persia, potesse sviluppare una tecnologia per rendere coltivabile il deserto e di conseguenza arricchirsi.

Pluto riesce a sterminare quindi i sette robot, ma il creatore di Atom lo salva e riporta in vita, con una personalità talmente sviluppata da poter essere equivalente a quella di un essere umano. Atom quindi raggiunge Pluto, solo per scoprire che lo stesso robot è vittima del proprio creatore, e che esiste un'altra arma di distruzione di massa, Goji, che distruggerà la vita biologica sulla terra lasciando in vita solo i robot. Atom e Pluto riescono alla fine a fermare Goji, con il sacrifiio di Pluto stesso.

La serie, prodotta da Netflix, si caratterizza per un'animazione e un character design molto elaborati. Ma ciò che risulta davvero avvincente è la narrazione stessa, che, a partire dalla  commistione tra tematiche attualissime e una rilettura postmoderna e postapocalittica di Pinocchio, finisce per ragionare su ciò che rende umano l'uomo. I robot di Pluto finiscono per costringere a mettere in discussione l'umanità in quanto tale. Cosa spinge l'uomo ad agire? In che modo formuliamo ipotesi, stabilitamo certezze, poniamo dubbi? Ovviamente, in linea del tutto ipotetica, i robot che animano le puntate di Pluto ci portano a porci la domanda: se altre creature (non per forza le IA a cui pensiamo noi) possono provare le nostre emozioni, sentire come sentiamo noi la realtà, cosa rende il loro essere inferiore (o superiore) a quello degli esseri umani?

sabato 6 settembre 2025

Italiani veri, Giacomo Moro Mauretto


Giacomo Moro Mauretto è un biologo e divulgatore scientifico, a molti noto per il suo canale Youtube, Entropy For Life, e nel 2025 ha pubblicato Italiani veri, Storia evolutiva e genetica del nostro paese.

Il libro parte in realtà lontano dall'Italia, in Africa, tracciando in maniera accurata quanto le recenti ricerche informano in merito all'origine della nostra specie. A poco a poco il focus si sposta verso l'Europa e l'Asia con la nascita e la diffusione dei nostri cugini Neanderthal e Denisova, fino a zoomare sulle diverse ondate migratorie che dall'Africa hanno portato la diffusione dei Sapiens, mettendo per esempio in discussione la teoria della Rivoluzione cognitiva, rilanciato ancora di recente dallo storico israeliano Harari.

A questo punto il volume sempre di più si concentra sull'Italia e i suoi territori, analizzando l'apporto genetico e culturale delle diverse ondate migratorie di Sapiens. Così scopriamo cone per migliaia di anni la maggioranza della popolazione italiana abbia avuto una pelle più scura di quella delle attuali popolazioni mediorientali, o di come la tolleranza al lattosio da adulti sia legata alla diffusione di quelle popolazioni che, negli studi archeologici e linguistici, vengono ascritte alla famiglia indoeuropea.

Moro Mauretto ragiona quindi su come la popolazione italiana ed europea si sia plasmata in epoca preistorica, e su come l'apporto di quelle popolazioni che vengono studiate maggiormente perché già in possesso della scrittura, a partire dalla diffusione nel meridione della popolazione greca, continuando poi con il dominio romano e le decine di dominazioni e migrazioni successive, sia stato da un punto di vista genetico assai limitato. 

L'autore comunque avverte che la condizione moderna riscrive in parte le regole del gioco e della diffusione genica, e che il rimescolamento genetico che è in atto dall'epoca industriale è molto più rapido di ogni processo che abbiamo visto negli ultimi tremila anni, quando il cambio di popolazione dominante consisteva spesso in un rimescolamento della classe dirigente, mentre la gran parte della popolazione vedeva scarsa variazione genetica e culturale.

Dalla lettura del libro, chiaro e colloquiale, anche se talvolta di qualche concetto e di qualche parola tecnica viene data per scontata la conoscenza da parte del lettore, impariamo che quindi richiamarsi ad una presunta "razza italiana" o specificità italiana, almeno dal punto di vista genetico, ma per molti aspetti anche dal punto di vista culturale, non ha fondamenti su base scientifica; inoltre siamo costretti ad osservare come il rimescolamento genetico, oggi spettro adoperato dalle parti politiche per alimentare la paura nei confronti degli stranieri, ha in realtà una fondamentale funzione nell'evoluzione della specie, garantendo abbastanza variabilità genetica da poter resistere all'insorgere di nuove epdiemie o ad improvvise variazioni climatiche. Le affermazioni dell'autore vengono corroborate attraverso una ricca e aggioranta bibliografia di riferimento.

Il libro di Giacomo Moro Mauretto è una lettura consigliata, sia a chi si interessa di antropologia e di biologia, ma soprattutto per coloro i quali sono a digiuno o quasi di questi argomenti e vogliono possedere delle conoscenze su dibattiti che solo in apparenza riguardano esclusivamente la comunità scientifica, ma che invece si riverberano nella loro volgarizzazione presso l'opinione pubblica, informando le scelte politiche e culturali.

giovedì 4 settembre 2025

La mia risposta a "Sono un insegnante di liceo e vorrei cambiare lavoro. Mi fanno fare il burocrate, lo psicologo, l'informatico e il saltimbanco. Di tutto, tranne insegnare" di Matteo Radaelli

Quella che leggete è la mia risposta alla lettera del collega Matteo Radaelli, pubblicata sul Corriere della sera giorno 2 settembre e online giorno 3 settembre con il titolo «Sono un insegnante di liceo e vorrei cambiare lavoro. Mi fanno fare il burocrate, lo psicologo, l'informatico e il saltimbanco. Di tutto, tranne insegnare». (EDIT: il Corriere si è poi ripetuto, pubblicando un'altra lettera in data 6 settembre dello stesso tono, titolata Questa scuola ci fa passare la voglia di insegnare; va preso atto quindi che questa è una linea editoriale scelta dal quotidiano più letto in Italia)

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Buongiorno, mi presento, Sebastiano Cuffari, docente di lettere di un Istituto professionale. Vi scrivo perché ne ho abbastanza dei piagnistei, come quello che avete pubblicato, titolato «Sono un insegnante di liceo e vorrei cambiare lavoro. Mi fanno fare il burocrate, lo psicologo, l'informatico e il saltimbanco. Di tutto, tranne insegnare», del collega Marco Radaelli. Ora, dato che il mio mestiere è lavorare con le parole e insegnare a lavorare con le parole, mi sembra il caso di analizzare tutti i problemi, le omissioni, le estremizzazioni della lettera del collega. 

Intanto l'autore presenta continuamente le situazioni che affronta a scuola come delle scelte binarie che escludono altre possibilità, semplificabili in queste due dicotomie:

- "si chiede di tutto tranne che insegnare" vs. "insegnare";

- "bontà e inclusione" vs. "merito, cultura e crescita umana".

In questo modo Radaelli ignora e porta ad ignorare la possibilità che un insegnante possa svolgere più ruoli complementari o, addirittura, possa fare più cose contemporaneamente.

Del resto il collega estende la propria esperienza personale a tutto il sistema scolastico, con formule tipo: "Nella scuola di oggi non c'è più spazio per me e per tutti quelli che...". Così facendo usa la propria prospettiva, quella di un singolo docente di liceo scientifico, per descrivere l'intera scuola italiana.

Il collega poi distorce le posizioni di chi non la pensa come lui per renderle più facili da attaccare attraverso due strategie distinte: riduce l'inclusività metaforicamente ad un deprecabile "rinchiudere nel recinto dell'ignoranza"e presenta i colleghi come "ciechi" e "sordi" per scelta. Questa è una scelta retorica molto comoda: chi potrebbe mai pensare lecito e giusto rendere gli studenti volutamente ignoranti? Peccato che la realtà di chi non la pensa come l'autore della lettera non sia questa e che l'inclusione di cui parla ma evidentemente sa poco non sia quella da lui descritta.

Radaelli, come molti e più affermati colleghi prima di lui, cerca e propone del resto nessi causali molto diffusi nell'opinione pubblica ma non dimostrati: assume che il calo delle competenze sia causato dall'eccesso di inclusività e non considera altre variabili (sociali, economiche, tecnologiche).

Nella tradizione della peggiore demagogia sul tema in questo modo squalifica implicitamente i colleghi che non contestano questi aspetti del sistema scolastico definendoli "burocrati in stile sovietico" e presentandoli come vili o apatici che non "disturbano" per comodità.

Radaelli idealizza il passato senza fornire prove concrete sulla maggiore qualità di una scuola di chissà quanto tempo fa, neanche ben definita, assumendo che "prima" si insegnasse meglio, ma non fornendo dati comparativi storici affidabili. Eppure noi sappiamo che la tanto criticata scuola democratica ha abbassato i tassi di dispersione scolastica portandoci vicini alla media europea, in questo modo adempiendo al primo imperativo della scuola pubblica, cioè portare istruzione lì dove era assente, e che, soprattutto, i risultati delle prove standardizzate degli studenti italiani, le famose prove OCSE PISA, pur con molti problemi che non vanno negati, sono nella fascia bassa della media dei paesi che le svolgono, con variazioni che avvicinano o allontanano alle prestazioni dei paesi meglio attrezzati dipendenti soprattutto da aspetti socio-economici e familiari. Ciò che Radaelli non dice invece è che le stesse prove standardizzate, le OCSE PIAAC, sottoposte agli adulti, per intenderci le persone venute su con “la scuola di una volta”, mostrano differenze abissali fra le competenze possedute dagli italiani e quelle raggiunte in altri paesi.

La lettera di Radaelli si fonda su una serie di scelte frutto di bias e di un metodo quantomeno criticabile:

- seleziona solo dati che confermano la sua tesi (calo competenze = colpa dell'inclusività) e ignora possibili spiegazioni alternative o dati contrastanti;
- attribuisce i propri problemi e i propri comportamenti al sistema (ovvero a cause esterne) menttre attribuisce i problemi e i comportamenti dei colleghi a loro caratteristiche personali;
- giudica quindi l'intero sistema sulla base della propria esperienza immediata e sovrastima la rappresentatività del suo caso particolare;
- secondo il principio dell'effetto alone, estende il giudizio negativo su alcuni aspetti a tutto il sistema scolastico, senza distinguere tra problemi specifici e questioni sistemiche;
- fa affermazioni categoriche senza supporto documentale;
- sfrutta retoricamente contraddizioni evidenti quando critica l'eccessiva burocratizzazione ma poi critica anche l'eccessiva libertà valutativa o quando lamenta la perdita del ruolo educativo ma poi dice che "tutti possono educare".

Ancora, Radaelli si avvita in un ragionamento circolare: la scuola non funziona perché non si insegna più, e non si insegna più perché la scuola non funziona. Per fare ciò l'autore è costretto ad adoperare la fallacia del pendio scivoloso, presentando l'inclusività come inevitabilmente destinata a degradare la qualità dell'istruzione. Il tutto condito con un linguaggio fortemente connotato verso il disprezzo per tutto ciò che l'autore non condivide: usa termini carichi emotivamente, come "saltimbanco", "giullare", "pargoli", e sostituisce l'argomentazione razionale con l'appello emotivo.

In ultimo, visto che l'articolo celebra la meritocrazia, parliamo di una questione metodologica: Radaelli si presenta come esperto di scuola per via dell'esperienza, ma l'esperienza personale non è garanzia di obiettività sistemica, e ciò è dimostrato dal cherry picking citato che caratterizza la lettera pubblicata, che seleziona solo gli aspetti negativi del sistema attuale e ignora eventuali miglioramenti o aspetti positivi.

Nonostante i problemi argomentativi, va riconosciuto che l'articolo tocca, in malo modo, alcune questioni reali, come il sovraccarico di compiti non strettamente didattici per gli insegnanti, la necessità di chiarire ruoli e responsabilità nella scuola e l'importanza del rigore educativo. Questi temi però sono trattati confondendo l’esperienza personale con analisi sistemica, mancando di proposte concrete, presentando il dibattito in termini di conflitto assoluto e non considerando possibili limiti della propria prospettiva.

La lettera di Radaelli, in ultima analisi, rischia di alimentare polarizzazioni sterili nel dibattito educativo, scoraggiando approcci innovativi senza offrire alternative e semplificando eccessivamente problemi complessi.

martedì 2 settembre 2025

Una riflessione su La responsabilità dei docenti di Katia Trombetta

In questi giorni, almeno nella mia bolla social, composta spesso da docenti che parlano di scuola per altri docenti ha avuto una certa circolazione l'articolo La responsabilità dei docenti, scritto da Katia Trombetta per La letteratura e noi.
Le riflessioni di Trombetta sono significative, fanno chiarezza sull'incapacità di problematizzare la realtà che il mondo della scuola vive e subisce. Gli esempi portati sono esplicativi della questione: il primo è la nota ministeriale che ribadisce la necessità di non accavallare le prove per la valutazione dell'operato degli studenti, con specifica attenzione per gli alunni con BES; la nota, come le grida manzoniane, ribadisce ciò che è già più volte stato affermato da diverse circolari ministeriali, ma non affronta il vero problema, ovvero il nodo della valutazione, nodo sul quale si scontrano l'orientamento della pedagogia che vede nell'atto valutativo un momento che fa parte dell'attività didattica e che deve avere come scopo l'apprendimento da parte dello studente, e la visione ministeriale che invece concepisce la valutazione sulla base dell'ideologia della meritocrazia, quindi come il momento cultimante della didattica, non volto a favorire l'apprendimento, semmai a quantificarlo e a classificarne gli esiti e gli artefici. Questa contraddizione porta al cortocircuito dei docenti che "fanno le corse" al fine di misurare, valutare e classificare, specie a fine periodo o a fine anno, dando infine più spazio alla visione ministeriale della valutazione rispetto all'orientamento della pedagogia; così, di fatto, il Ministero con la sua nota biasima i docenti perché fanno esattamente ciò che il Ministero stesso li induce a fare.
Il secondo esempio portato da Trombetta è quello della circolare ministeriale che vieta l'uso degli smartphone anche nella scuola secondaria di secondo grado, comprendendo in questo divieto anche l'uso didattico, nota accolta con favore dall'opinione pubblica e dalla gran parte dei docenti. Qui Trombetta non osserva una contraddizione della circolare: il divieto di questi strumenti nasce dall'uso strumentale di alcuni studi che hanno misurato un calo negli apprendimenti, oltre ad altri disturbi, nel caso di studenti che adoperavano senza controlli lo smartphone nel corso della giornata (da notare quindi che l'abuso di cui si parla travalica il tempo trascorso a scuola, e non riguarda l'uso controllato che sarebbe quello con scopi didattici), ma l'importanza dell'uso didattico di questi strumenti viene ribadito dallo stesso Ministero nella stessa circolare quando esplicita che questi dispositivi possono comunque essere previsti per gli studenti con Piani Didattici Personalizzati a causa di disturbi dell'apprendimento o per bisogni specifici, e possono essere previsti proprio perché utili alla didattica. In ogni caso Trombetta lamenta che, negli ultimi decenni, la scuola sia stata spinta a favorire l'uso degli strumenti digitali, ma che questo sia stato fatto senza una riflessione sulla loro funzione, e che questo sia stato fatto a discapito della formazione disciplinare. Qui mi permetto di osservare che, però, il rifiuto di quella riflessione di cui parla Trombetta è spesso venuto dagli stessi docenti, soprattutto da quelli che pensano alla formazione come esclusivamente disciplinare: è esperienza comune di chi ha prodotto formazione sugli strumenti digitali, come me, vedere colleghi rifiutare lezioni e riflessioni sulle premesse pedagogiche che possono dare senso all'uso di certi strumenti anziché altri (nel mio caso device elettronici prima, strumenti che implementino l'IA poi), pretendendo una formazione esclusivamente pratica ("se premo qui cosa succede, se clicco su questa icona cosa fa").
In ultimo Trombetta discute la reazione ministeriale alle proteste degli studenti durante il recente Esame di Stato. Qui Trombetta non entra nello specifico delle ragioni degli studenti, non prende posizione, ma osserva correttamente come l'unica reazione del Ministero sia stata il divieto e l'inasprimento delle norme. Trombetta conclude chiedendo una presa di responsabilità da parte dei docenti, che siano i docenti a mettere in discussione ciò che ci piomba addosso. Sicuramente condivido l'invito della collega: mi permetto di aggiungere che a dover essere messa in discussione è spesso anche l'apatia dei docenti stessi, il rifiuto a priori dell'aggiornamento e il rifiuto della riflessione pedagogica.

mercoledì 27 agosto 2025

L'uso di Claude da parte di docenti e studenti: due report e tante questioni aperte


Negli ultimi mesi Anthropic ha pubblicato due report molto interessanti (qui e qui) che ci aiutano a capire come l’intelligenza artificiale stia entrando nei contesti educativi: da un lato viene analizzato l’uso da parte degli studenti universitari, dall’altro quello dei docenti. Insieme, queste due ricerche offrono uno spaccato prezioso di come AI e didattica si stiano ridefinendo reciprocamente.

L’analisi di oltre 500.000 conversazioni studentesche, rese anonime, tra utenti e Claude.ai mostra che l’IA non viene usata solo per compiti “meccanici”, anzi, ma anche e soprattutto per attività di ordine superiore secondo la tassonomia di Bloom.

Gli studenti STEM, in particolare quelli di Informatica, sono i primi ad adottare gli strumenti AI come Claude. I laureati in Informatica rappresentano solo il 5,4% dei laureati statunitensi, ma costituiscono il 36,8% delle conversazioni degli studenti su Claude.ai. Le Scienze Naturali e la Matematica mostrano anche una sovrarappresentazione (15,2% delle conversazioni contro il 9,2% dei laureati). Al contrario, gli studenti di Economia, Professioni Sanitarie e Scienze Umanistiche mostrano tassi di adozione inferiori rispetto ai loro numeri di iscrizione, suggerendo un'integrazione più lenta dell'IA nei loro flussi di lavoro accademici. In ogni caso non sorprende che i primi utilizzatori di Claude siano gli studenti STEM, in particolare informatici e matematici, mentre in ambito umanistico e sanitario l’adozione è più lenta.

I ricercatori hanno identificato quattro modelli di interazione, ciascuno presente in circa la stessa misura (23-29% delle conversazioni):

  1. risoluzione diretta dei problemi: l'utente cerca una soluzione o una spiegazione rapida.
  2. creazione diretta di output: l'utente mira a produrre output più lunghi (es. saggi).
  3. risoluzione collaborativa dei problemi: l'utente dialoga attivamente con l'IA per risolvere problemi.
  4. creazione collaborativa di output: l'utente si impegna in un dialogo per creare contenuti.

Quasi la metà (circa il 47%) delle conversazioni sono state delle conversazioni"dirette", sollevando interrogativi sull'integrità accademica e lo sviluppo delle competenze. Esempi preoccupanti includono richieste come "fornire risposte a domande a scelta multipla sull'apprendimento automatico" e "riscrivere testi di marketing e aziendali per evitare il rilevamento del plagio".

Facendo riferimento alla tassonomia di Bloom, le due funzioni prevalenti nelle conversazioni analizzate sono:

  • creare (39,8%): progettare materiali di studio, scrivere testi, generare domande d’esame.
  • analizzare (30,2%): scomporre concetti, risolvere problemi complessi, fare debug di codice.

Compiti cognitivi di ordine inferiore come Applicare (10,9%), Comprendere (10,0%) e Ricordare (1,8%) sono meno prevalenti. Questa "piramide invertita" solleva preoccupazioni che gli studenti possano esternalizzare compiti cognitivi critici, potenzialmente ostacolando lo sviluppo di competenze fondamentali. 

Questa dinamica apre ad opportunità (pensiamo all’apprendimento attivo con spiegazioni passo passo), ma solleva anche interrogativi cruciali: quanto gli studenti rischiano di delegare competenze critiche all’IA? E come ridefinire valutazioni e politiche anti-plagio in un contesto in cui un saggio ben scritto o un problema complesso possono essere risolti in pochi secondi?

Sul fronte dei professori universitari, Anthropic ha analizzato 74.000 conversazioni di docenti e intervistato 22 membri della Northeastern University. Emergono usi diversificati:

  • curriculum e materiali didattici (57%): i docenti conversano con Claude per progettare programmi, creare simulazioni e giochi educativi, sviluppare strumenti interattivi con Claude Artifacts.
  • ricerca accademica (13%): le interazioni con Claude sono servite per ottere supporto alla scrittura e all’analisi.
  • valutazione degli studenti (7%): le conversazioni hanno avuto come scopo la valutazione degli studenti in parte automatizzata, ma qui restano forti resistenze etiche e di qualità.
Alcuni docenti della facoltà della Northeastern hanno anche riferito di usare l'IA per il proprio apprendimento (29% del loro tempo con l'IA).

Una scoperta significativa è l'uso della funzione Artifacts di Claude per creare materiali didattici interattivi e funzionali. Esempi includono giochi educativi interattivi, strumenti di valutazione (es. quiz HTML con feedback automatico, rubriche di valutazione), dashboard di visualizzazione dati e strumenti di apprendimento specifici per materia (es. giochi di stechiometria chimica). Come ha affermato un docente: "Ciò che era proibitivamente costoso (in termini di tempo) da fare [prima] ora diventa possibile. Simulazioni personalizzate, illustrazioni, esperimenti interattivi. Wow. Molto più coinvolgente per gli studenti."

Gli educatori bilanciano l'aumento dell'IA (uso collaborativo) e l'automazione (delega completa dei compiti). Nel primo caso rientrano compiti che richiedono un contesto significativo, creatività o interazione diretta con gli studenti, come l'insegnamento universitario e l'istruzione in aula (77,4% aumento), la scrittura di proposte di ricerca (70,0%) e la consulenza accademica (67,5%). "È la conversazione con l'LLM che è preziosa, non la prima risposta. Questo è anche ciò che cerco di insegnare agli studenti. Usalo come partner di pensiero, non come sostituto del pensiero." Vedono una delega quasi totale invece compiti amministrativi di routine, come la gestione delle finanze delle istituzioni educative (65,0% automazione), la gestione delle iscrizioni (44,7%) e il mantenimento dei registri degli studenti e la valutazione delle prestazioni accademiche (48,9%).

Nonostante la valutazione degli studenti sia il terzo uso più comune dell'IA tra gli educatori (7% delle conversazioni), è anche il secondo compito più "automation-heavy", con il 48,9% delle conversazioni legate alla valutazione che mostrano modelli di automazione. Ciò contrasta con il parere dei docenti intervistati, che l'hanno considerata l'area in cui l'IA era meno efficace e hanno espresso preoccupazioni etiche. "Eticamente e praticamente, sono molto diffidente nell'usare [strumenti AI] per valutare o consigliare gli studenti in qualsiasi modo... eticamente, gli studenti non pagano la retta per il tempo dell'LLM, pagano per il mio tempo. È mio obbligo morale fare un buon lavoro (con l'assistenza, forse, degli LLM)."

Non mancano le tensioni. Molti professori stanno ripensando radicalmente valutazioni e consegne: se un compito può essere svolto da un’IA, forse non è più un buon compito. Un docente ha dichiarato: "L'IA mi sta costringendo a cambiare totalmente il modo in cui insegno. Sto spendendo molti sforzi per capire come affrontare il problema del carico cognitivo." Le competenze di valutazione dei contenuti generati dall'IA stanno diventando cruciali. Molti educatori stanno ridisegnando i compiti per renderli meno suscettibili all'IA. "Se Claude o uno strumento AI simile può completare un compito, non mi preoccupo che gli studenti copino; mi preoccupo che non stiamo facendo il nostro lavoro di educatori."

Mettendo insieme i due report, vediamo una doppia dinamica: gli studenti usano Claude per accelerare e arricchire il loro studio, ma rischiano di cadere nella dipendenza cognitiva; i docenti sperimentano l’IA come strumento di creatività e gestione, ma sono chiamati a ridefinire il senso stesso di valutazione e apprendimento. Entrambi i fronti condividono una sfida: non sostituire, ma trasformare. L’IA diventa davvero un alleato educativo quando non si limita a fornire risposte, ma stimola nuove domande e permette a studenti e insegnanti di concentrare tempo ed energie sulle dimensioni più autentiche e formative del processo di apprendimento.

sabato 23 agosto 2025

Considera l'aragosta, David Foster Wallace


Considera l'aragosta, pubblicato per la prima volta nel 2005, raccoglie una serie di saggi, alcuni dei quali nati come reportage giornalistici, scritti da David Foster Wallace tra il 1994 e il 2005. La raccolta e composita e finisce per trattare temi e argomenti molto diversi: 
- in Il figlio grosso e rosso Wallace, inviato da Rolling Stone agli awards del cinema porno, analizza le idiosincrasie della pornografia contemporanea e del vasto mondo che ruota attorno a questo filone della cinematografia, evidenziandone caratteristiche e contraddizioni.
- in La fine di qualcosa senz'altro, verrebbe da pensare, a partire dalla recensione di Verso la fine del tempo di John Updike, Wallace propone una delle sue prime profonde critiche alla letteratura postmoderna.
- in Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka che forse dovevano essere tagliate ulteriormente Wallace invece torna ad un tema tipicamente postmoderno, analizzando come quest'aspetto sia tipico anche di uno degli autori più iconici della letteratura modernista, Franz Kafka.
- In Autorità e uso della lingua (ovvero, Politica e lingua inglese è ridondante) Wallace si esercita in un saggio di linguistica a partire dalla recensione di un dizionario, mettendo a paragone le posizioni grammaticali e lessicali prescrittiviste, a cui Wallace parzialmente aderisce, e quelle descrittiviste dei filoni della linguistica più progressista. Nel saggio, pur accettando in larga parte le premesse del filone descrittivista sugli abusi della lingua nel confermare e nel rafforzare stereotipi e discriminazioni sociali, Wallace aderisce alle critiche al politicamente corretto nella lingua, che finisce, ai suoi occhi, per essere censoreo come gli usi che vuole abbattere senza realmente riuscire a modificare la società che la lingua descrive.
- In La vista da casa della sig.ra Thompson Wallace descrive il momento in cui ha avuto notizia, come tutti gli altri, degli attentati del giorno 11 settembre 2001 mentre si trovava in una piccola cittadina di provincia, finendo per vivere a casa della vicina, la signora Thompson, un incredibile momento di socializzazione collettiva.
- Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore spiega come la lettura dell'atuobiografia della tennista Tracy Austin spinga l'autore a riflettere sull'iconicità della vita dei grandi campioni dello sport, come questa iconicità finisca per impedire di osservare la banalità di tanta parte del loro vivere e del loro essere, e di come la conoscenza di quella banalità rischi di distruggere l'eccezionalità delle loro doti.
- Forza, Simba - Sette giorni in Cammino con un Anticandidato è ilnreportage, di nuovo per Rolling Stone, che conduce Wallace a seguire la campagna per le primarie di John McCain. Wallace quindi discute di politica e di politici, attratto e impaurito dalla figura di McCain, dalla sua essenza allo stesso tempo populista e sincera. Nella sua riflessione sulla sincerità politica di McCain, Wallace qui si avvicina molto a riflessioni che saranno tipicamente metamoderne.
- Considera l'aragosta, altro reportage giornalistico, porta Wallace ad una grande fiera sul prodotto di punta del Maine. Qui l'autore finisce per ragionare di coscienza, diritto degli umani a causare sofferenza alle altre creature e di specismo.
- Il Dostoevskij di Joseph Frank è una recensione di un'importante biografia di Dostoevskij. Wallace descrive la sua esperienza come lettore del grande autore russo, come la biografia dell'autore ha influenzato la sua produzione, e come i temi trattati da Dostoevskij nascondano la sua natura apparentemente spregevole.
- Commentatore è un altro reportage giornalistico di Wallace presso una stazione radio per seguire il lavoro del commentatore radiofonico John Ziegler. In questo caso Wallace osserva l'operato di un uomo, Ziegler, che anticipa figure oggi tipiche nel mondo dei podcast populisti della destra o dell'estrema destra americana. Effettivamente il fenomeno che oggi osserviamo era già in essere nelle stazioni radio private americane 25 anni fa. Wallace evidenzia come il successo dei commentatori di destra nasca da ragioni precise:
1. I conduttori di destra semplificano la visione del mondo, rendendola immediatamente fruibile.
2. Il formato radiofonico funziona perché è un prodotto venduto a chi desidera ascolti emotivi e rassicuranti.
3. La motivazione non è ideologica ma commerciale: più ascolti = più profitti.
4. Le tecniche retoriche—parole forti, attacco, emozione—creano dipendenza e rafforzano i pregiudizi.
5. Non si cerca un dibattito aperto, ma un eco chamber che confermi le proprie opinioni.

Dalla raccolta di saggi emerge la predisposizione all'osservazione di Wallace, la sua abilità retorica e la sua competenza linguistica. Soprattutto ciò che si osserva è l'incredibile profondità dell'analisi condotta da Wallace, la sua capacità di porre dubbi, di non proporre certezze e di cercare ragioni. Wallace si dimostra uno dei migliori osservatori del suo tempo, in grado di anticipare la ricerca filosofica post-postmodernista, confermandosi una delle perdite più gravi per la letteratura e la cultura mondiale.

mercoledì 13 agosto 2025

Gundam: Requiem for Vengeance


Gundam: Requiem for Vengeance è una serie anime ambientata nel variegato mondo di Gundam e distribuita da Netflix.

La serie consta di 6 episodi ed è ambientata nell'Universal Century, ovvero la linea temporale principale di questa produzione che ormai si avvia verso il mezzo secolo di vita; in particolare le vicende narrate si sviluppano durante la Guerra di un anno, la stessa raccontata nella prima e celebre serie del 1979, quando la colonia spaziale Side 3 si è autoproclamata Principato di Zion e ha iniziato una guerra contro la Federazione terrestre per ottenere l'indipendenza. Il contesto è già noto ai lettori e agli spettatori di Gundam, i quali, in particolare, ricorderanno il protagonista della prima serie, Amuro, un ragazzo dotato di poteri psichici (appartenente ad una evoluzione dell'essere umano, chiamata Newtype) che finisce per pilotare la nuova e potente arma della Federazione, i Mobilesuit Gundam, dei mecha di dimensioni ciclopiche capaci di armeggiare la potenza delle armi nucleari. Amuro si scontrava con l'esercito di Zion, nel quale spiccava la figura di Char Arznable, storica nemesi del protagonista, anch'egli un Newtype, che vuole raggiungere la vittoria per Zion prima che la Federazione possa dispiegare il pieno potere dei Gundam, di cui è venuto a conoscenza.

Se la serie del 1979 sviluppava quindi la vicenda dal punto di vista della Federazione terrestre, in questo caso invece la storia verrà narrata con gli occhi di una pilota dell'esercito di Zion, Iria Solari: anche lei è una Newtype, pilota dei meno moderni mecha di Zion, gli Zaku. Iria è a capo di un plotone di piloti, i Red Wolf. Insieme ai suoi uomini Iria combatte sulla terra, dopo che Zion ha tentato con un blitz un'invasione per ottenere con la forza la propria indipendenza; le cose si mettono male quando però sul campo di battaglia compare un nuovo tipo di mecha dalla parte della federazione, più resistente e veloce, e munito di armi molto più potenti: si tratta di un Gundam.
Le sei puntate della serie vedono quindi il mondo di Iria sfaldarsi e sparire: lei, una violinista che ha deciso di arruolarsi dopo che un raid dei federali aveva ucciso suo marito, era scesa in guerra con il solo desiderio dell'indipendenza e sperando così di dare un futuro migliore al bambino che ha lasciato nello spazio, ma ora è costretta ad osservare la propria impotenza mentre il Gundam, apparentemente indistruttibile e imbattibile, le sta portando via tutte le persone verso le quali si sente responsabile.
Nelle ultime puntate assistiamo quindi ad un inatteso incontro durante un tentativo di infiltrazione tra le schiere federali: Iria si imbatte nel pilota del gundam, anch'egli un Newtype, ma poco più che un bambino (come Amuro...) che è stato costretto alla guerra per i suoi poteri. Fallito il tentativo di infiltrazione, ad Iria non resta che accompagnare i suoi pochi compagni sopravvissuti nel tentativo di ritirata, e scendere ancora una volta sul campo di battaglia con il suo Zaku disastrato per scontrarsi contro il Gundam. Iria infine riesce a convincere il ragazzo, che rimane senza nome, a desistere dallo scontro, che i Federali hanno già vinto, concedendo ai soldati di Zion la ritirata. Ma proprio mentre Iria e il pilota del Gundam sembrano essere giunti alla conclusione che, pur su schieramenti opposti, non sono altro che pedine degli eventi costretti alla guerra dalla necessità e dalle loro caratteristiche, un altro Zaku colpisce a tradimento il Gundam, distruggendolo e uccidendo il ragazzo.
Iria finirà quindi per non seguire il contingente di Zion in ritirata e si nasconderà in Africa, insieme ad altri apolidi e transfughi che si tengono lontani dallo scontro perenne tra Zion e la Federazione.

Gundam: Requiem for Vengeance quindi racconta nuovamente una storia già nota, ma, come spesso accade in Gundam, lo fa per evidenziare come dietro le apparenze, le ideologie, la propaganda, la politica, i desideri e gli inganni che spingono gli uomini sono gli stessi; Gundam: Requiem for Vengeance mostra come spesso il volto del nemico sia semplicemente il nostro volto riflesso, e come la guerra non sia (solo) il luogo del valore militare e dell'eroismo, ma sia soprattutto un mare di violenza indiscriminata, di codardia, di incomprensioni e rabbia, di morti civili e di sfruttamento.
L'unica nota stonata della serie è la computer grafica: il mecha design e le scene di azione dei mobilesuit funzionano, ma l'animazione computerizzata toglie espressività ai personaggi, non rendendo loro giustizia rispetto ad altri protagonisti delle numerose serie di Gundam disegnate in maniera tradizionale, finendo per appiattirli in modo monodimensionale al di là delle emozioni che invece si sarebbero dovute trasmettere.

Per il resto Gundam: Requiem for Vengeance è invece una serie sicuramente consigliata, anche e forse soprattutto a coloro che vogliono avvicinarsi alla complessità delle vicende raccontate nelle serie di Gundam, soprattutto per la relativa lunghezza e per il numero degli episodi (6 in tutto) che consentono di concludere la visione anche solo in un pomeriggio. 

venerdì 1 agosto 2025

La fabbrica dei voti, Cristiano Corsini


La fabbrica dei voti di Cristiano Corsini si presenta come un'opera fondamentale per comprendere le dinamiche profonde che governano la valutazione nel sistema educativo italiano. Il volume, che funge da prequel al precedente "La valutazione che educa" dello stesso autore, offre una disamina accurata e metodologicamente rigorosa di uno dei nodi più critici della pratica didattica contemporanea.

Il libro si articola in una progressione logica che parte dalle premesse storiche e metodologiche della valutazione per giungere a una proposta concreta di rinnovamento. Corsini costruisce il suo ragionamento con la precisione di chi conosce profondamente sia la teoria pedagogica che la realtà quotidiana delle aule scolastiche, offrendo al lettore gli strumenti necessari per comprendere la complessità del fenomeno valutativo.

L'approccio adottato dall'autore è quello di chi non si accontenta di denunciare le criticità, ma si impegna a fornire alternative concrete e scientificamente fondate. La ricchezza del riferimento alla letteratura specialistica conferisce al testo un'autorevolezza che lo distingue dalla pubblicistica più superficiale sul tema.

La distinzione operata da Corsini tra valutazione "diseducativa" e valutazione "educativa" rappresenta il nucleo teorico più significativo dell'opera. La prima, caratterizzata da automatismi, stereotipi consolidati e scarsa consapevolezza metodologica, viene descritta come il prodotto di una formazione docente insufficiente e di pratiche didattiche non riflessive. Questa forma di valutazione, ancora troppo diffusa nelle scuole, si limita alla certificazione e alla selezione, perdendo di vista la sua funzione primaria di strumento educativo.

Al contrario, la valutazione educativa proposta dall'autore si fonda su principi descrittivi e trasformativi, dove il momento valutativo diventa occasione di crescita tanto per l'alunno quanto per l'insegnante. Questa prospettiva richiede una preparazione pedagogica solida e una consapevolezza metodologica che Corsini considera imprescindibili per ogni professionista dell'educazione.

Il volume si rivela particolarmente prezioso per tutti quegli insegnanti che desiderano superare l'approccio tradizionale alla valutazione, spesso limitato alla misurazione numerica delle prestazioni. Corsini dimostra come sia possibile e necessario trasformare la valutazione da momento di giudizio finale a processo continuo di accompagnamento e sostegno all'apprendimento.

La proposta dell'autore non è utopica ma pragmatica: si basa su evidenze scientifiche consolidate e offre indicazioni operative concrete. Il riferimento al manifesto del CVE (Coordinamento per la Valutazione Educativa) nelle pagine conclusive rappresenta un ulteriore elemento di concretezza, fornendo ai lettori un punto di riferimento per l'implementazione pratica dei principi teorici esposti.

"La fabbrica dei voti" non si limita alla denuncia delle disfunzioni del sistema valutativo, ma si propone come strumento di formazione e trasformazione professionale. La forza del libro risiede nella capacità di coniugare rigore scientifico e applicabilità pratica, offrendo ai docenti un percorso di crescita professionale fondato su basi solide.

L'opera di Corsini si inserisce in un dibattito pedagogico di grande attualità, contribuendo a quella riflessione critica sulla scuola italiana che appare sempre più urgente e necessaria. La prospettiva adottata dall'autore, che considera la valutazione come strumento di promozione dell'apprendimento piuttosto che come meccanismo di selezione, rappresenta un cambio di paradigma significativo per la cultura scolastica del nostro Paese.

"La fabbrica dei voti" è un libro che ogni professionista dell'educazione dovrebbe leggere e meditare. Corsini offre una lettura della valutazione scolastica che va oltre i luoghi comuni e le pratiche consolidate, proponendo un approccio metodologicamente fondato e pedagogicamente orientato. Il volume rappresenta un contributo essenziale per tutti coloro che credono nella possibilità di una scuola più equa, inclusiva e realmente educativa.

La lettura di quest'opera dovrebbe essere considerata non solo come un momento di arricchimento culturale, ma come un investimento nella propria crescita professionale e nella qualità del servizio educativo offerto alle nuove generazioni.

L'uomo nell'alto castello, Philip Dick

L'uomo nell'alto castello è un romanzo pubblicato da Philip Dick nel 1962, precedentemente edito come La svastica sul sole . Il ro...