La prima volta che mi hanno definito radical chic



La prima persona che mi ha definito radical chic la ricordo bene: una collega, lo stesso mio stipendio, però a quanto pare se io prendo 1400 euro al mese sono borghesia che non ha diritto ad essere solidale, se lei prende lo stesso (con qualche sgravio fiscale di più, in realtà), lei è "popolare" col sacrosanto diritto ad essere incazzata col mondo. Se io devolvo parte del mio stipendio ad Amnesty International o a Save the children lo faccio decidendo di sacrificare un giocattolo per mio figlio o una maglia firmata per me o mia moglie. E non lo dico per avere il plauso, francamente non me ne frega una mazza e scrivere, sui social o un libro, per me è in primis uno sfogo; ma rivendico il diritto ad essre dissidente, ad essere fermamente razionalista in un epoca di nazionalisti; rivendico il diritto di dire che lo studio non è un inutile orpello e che la competenza non è una vergogna; e rivendico il diritto di dire che non c'è vergogna nel non sapere, ma che la peggiore macchia è quella del dilettante che non vuole riconoscere la propria ignoranza; rivendico il fatto che se passo le mie notti a studiare mio figlio un giorno forse potrà essere orgoglioso di suo padre; rivendico il diritto di dire che prima di essere italiano sono un essere umano; rivendico il diritto di dire che esiste una sola razza e che se siete razzisti non vi sono sinonimi che rendano più accettabile la vostra scelta.

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