Rottamiamo Renzi e torniamo alla politica
Quella di rottamare Matteo Renzi mi sembra ormai un'idea sempre più diffusa. Dopo l'Annunziata sull'Huffington Post anche Ferruccio De Bortoli sul Corriere rileva apertamente tutti i limiti del nostro Presidente del Consglio. Limiti già più volte rilevati su questo blog, tanto che viene da chiedersi dove fossero gli illustri editorialisti nei mesi addietro.
Ma il problema non è la sola miopia programmatica dei media di fronte a Renzi, miopia forse spiegabile con una più forte esigenza di andare oltre Berlusconi.
Come detto già tante volte, Berlusconi, o meglio ancora il berlusconismo, è stato il vero e proprio monstrum della democrazia italiana, avendo aperto più di una falla nel rapporto con le istituzioni e il sistema democratico.
Se oggi Matteo Renzi può, come dice Rodotà, virare verso una democrazia plebiscitaria, bypassando i quadri intermedi della democrazia e della funzione pubblica, questo non può non essere considerato un attentato allo stesso funzionamento dello stato. Pensare di non dover ascoltare minoranze, opposizioni, sindacati, industriali, credere di fare riferimento al popolo, alla nazione, così spavaldamente citati in un'oratoria che tutto fa tranne che rispondere nel merito alle questioni sollevate, il cercare sempre un nemico che renda utile la presenza sul campo, ecco tutto questo richiama ben altri leader, da Berlusconi fino a Napoleone.
L'esigenza di riforme non giustifica l'attentato alle istituzioni, in molti l'hanno capito, a partire dal resto dell'Europa, e in molti si sono accorti di come l'ascesa al governo di Matteo Renzi, mascherata da esigenza di cambiamento, non sia stato altro che occupazione mirata di posizioni di potere e di rendita, spesso più spietata e subdola dello stesso berlusconismo imperante, fondata sul tacito consenso dei media che, per fortuna, si va spezzando, e sul funambolico e repentino cambiamento di idee, come sull'Articolo 18.
Renzi chiede alle parti sociali dove si trovassero negli ultimi vent'anni.
Chiediamo noi a lui dove si trovasse quando dichiarava che l'Articolo 18 non era una priorità, quando ha avallato una tassa, la TASI, più iniqua dell'IMU, dov'era quando sosteneva la rottamazione del vecchio, ben prima di legiferare col consenso della Forza Italia che ha stremato l'Italia negli ultimi vent'anni. Dov'era il presidente quando faceva accordi con il Verdini inquisito, dov'era il presidente mentre distruggeva l'unico partito non personalistico d'Italia, dov'era il presidente mentre la Fiat si allontanava definitivamente dal nostro paese, dov'era il presidente mentre prometteva alla scuola publica aumenti salariali che, conti alla mano, non ci saranno; dov'era il presidente quando prometteva di ridurre le tasse sul lavoro, quando si riempiva la bocca di una maggiore elasticità in Europa.
Forse sarebbe il caso di lanciare un nuovo tema in Italia, la rottamazione non della classe dirigente, ma degli uomini della speranza, e di affidare il nostro futuro ad una collettività realmente competente e formata sul bene comune.
Ma il problema non è la sola miopia programmatica dei media di fronte a Renzi, miopia forse spiegabile con una più forte esigenza di andare oltre Berlusconi.
Come detto già tante volte, Berlusconi, o meglio ancora il berlusconismo, è stato il vero e proprio monstrum della democrazia italiana, avendo aperto più di una falla nel rapporto con le istituzioni e il sistema democratico.
Se oggi Matteo Renzi può, come dice Rodotà, virare verso una democrazia plebiscitaria, bypassando i quadri intermedi della democrazia e della funzione pubblica, questo non può non essere considerato un attentato allo stesso funzionamento dello stato. Pensare di non dover ascoltare minoranze, opposizioni, sindacati, industriali, credere di fare riferimento al popolo, alla nazione, così spavaldamente citati in un'oratoria che tutto fa tranne che rispondere nel merito alle questioni sollevate, il cercare sempre un nemico che renda utile la presenza sul campo, ecco tutto questo richiama ben altri leader, da Berlusconi fino a Napoleone.
L'esigenza di riforme non giustifica l'attentato alle istituzioni, in molti l'hanno capito, a partire dal resto dell'Europa, e in molti si sono accorti di come l'ascesa al governo di Matteo Renzi, mascherata da esigenza di cambiamento, non sia stato altro che occupazione mirata di posizioni di potere e di rendita, spesso più spietata e subdola dello stesso berlusconismo imperante, fondata sul tacito consenso dei media che, per fortuna, si va spezzando, e sul funambolico e repentino cambiamento di idee, come sull'Articolo 18.
Renzi chiede alle parti sociali dove si trovassero negli ultimi vent'anni.
Chiediamo noi a lui dove si trovasse quando dichiarava che l'Articolo 18 non era una priorità, quando ha avallato una tassa, la TASI, più iniqua dell'IMU, dov'era quando sosteneva la rottamazione del vecchio, ben prima di legiferare col consenso della Forza Italia che ha stremato l'Italia negli ultimi vent'anni. Dov'era il presidente quando faceva accordi con il Verdini inquisito, dov'era il presidente mentre distruggeva l'unico partito non personalistico d'Italia, dov'era il presidente mentre la Fiat si allontanava definitivamente dal nostro paese, dov'era il presidente mentre prometteva alla scuola publica aumenti salariali che, conti alla mano, non ci saranno; dov'era il presidente quando prometteva di ridurre le tasse sul lavoro, quando si riempiva la bocca di una maggiore elasticità in Europa.
Forse sarebbe il caso di lanciare un nuovo tema in Italia, la rottamazione non della classe dirigente, ma degli uomini della speranza, e di affidare il nostro futuro ad una collettività realmente competente e formata sul bene comune.
foto: formiche.net
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