Storie di corna all'ombra del Resegone - e se Manzoni avesse scritto così... Parte 1

Questa serie di post sono la libera rielaborazione  di un'interrogazione, sostenuta da un mio alunno, sull'opera di Manzoni. Spero perciò di meritare almeno la vostra pietà.

Su quel ramo del Lago di Como, insomma da quelle parti lì che tanto conoscete e che non staremo qui a descrivere nuovamente, se volete piuttosto andateci voi, ché nella stagione giusta il clima è l'ideale per un bel weekend di relax e di shopping; da quelle parti dicevamo del Lago di Como, per la precisione nella zona di Lecco, un giovanotto andava passeggiando incartato nella sua tuta nuova di acrilico, blu scuro, ma di un blu risplendente, catarifrangente, per non rischiare che allo smarrirsi del sole oltre le cime aguzze del Resegone qualche ignaro ciclista o qualche ricco in Porsche lo potesse investire. Camminava con il fare baldanzoso dei ventenni, non so se avete presente: camminano con le gambe divaricate, come se avessero sempre qualcosa che gli pizzica il culo tra le mutande; di tanto in tanto potrete osservare il suddetto deretano sudato, senza una ragione apparente, e allora i pantaloni si tingono di un colore ancora più scuro e perdono quella loro naturale vivacità per acquisirne una più smorta, tutto sommato deprimente. Il giovanotto, con il suo fiero incedere, si recava presso il don della campagna per sbrigare le ultime faccende in vista delle sue nozze. Non giungeva di certo a mani vuote: uomo di mondo, portava con sé una busta ricolma di dindini e un omaggio, tre sigarette rullate, ma di quelle buone, con una miscela speciale, ché chissà come si sentiva da solo don Abbondio con quella vecchiaia di Perpetua sempre tra le scatole. Salendo dal lago verso i sentieri via via sempre più in pendio, lo colse di sorpresa la vista di due figure: l'una poggiava con il bacino contro un muretto basso e scalcinato, i pantaloni a vita bassa, il cappellino rosso voltato all'indietro, una collana di finto oro incastonata fra il pelo del petto e la camicia sbottonata; l'altro, seduto a cavalcioni, portava una bandana fluorescente in testa, delle scarpe ricoperte di brillantini, dei pantaloni leopardati e delle cuffie, enormi, alle orecchie. Entrambi i ragazzetti, alla vista, sembravano già da lontano appartenere alla triste genia dei tamarri. Già solo all'apparire dei due, il nostro buon giovane, che certo non era un piccolo lord, ma i pantaloni leopardati proprio non li avrebbe messi, avrebbe preferito cambiare direzione, ma proprio non si poteva, così, proseguendo si trovò a passare proprio in mezzo. Giunto con il volto basso al congiungimento degli sguardi dei due tamarri protesi nel nulla, il giovane sentì un grugnito e un ansimare; alzati gli occhi, si sentì dire: - Lorè, mica ti vuoi sposare con quella? Sciallo: questo matrimonio non si può fare. Strabella la tuta! Che c'hai due euri? - Cioè? Perché non si può? Dopo si mangia una cifra e poi ci spacchiamo! - Forse non l'hai capito, meglio se non te la prendi quella lì, noi lo diciamo per te. Rischi che t'attacca qualcosa... - Oh belli... Ma il nostro non fece in tempo a finire la frase che i due tamarri erano già piombati nel più assoluto rintronamento: farfugliavano frasi senza senso, emettevano versi arcani, ravanavano il pacco. Inorridito e senza capire quello slang troppo sgrammaticato anche per lui, Lorenzo Tramaglino si avviò per proseguire nella sua strada; ma noi qui ci fermiamo per oggi: la prossima volta lo vedremo alle prese con il don, la sua perpetua, il suo oratorio, il catechismo, insomma tutto ciò che può condurre un giovane alla perdizione.

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