Sul caso Cucchi, non sulla sentenza
Mi sono preso un po' di tempo prima di scrivere qualcosa su Stefano Cucchi. Perché non volevo parlare a caldo, non volevo che ciò che avrei scritto fosse frutto dell'emozione. Era un rischio tangibile, soprattutto di fronte alle dichiarazioni di alcuni politicanti pronti a bearsi di una giustizia (sic) finalmente fatta.
È vero, le sentenze non si contestano; si può e si deve ricorrere quando si ritiene ingiusta una sentenza, si può e si deve cercare di modificare dall'interno uno stato, lavorando sulle sue leggi, sui suoi ordinamenti, sulla sua cultura. Non sismo con chi manifesta contro un'istituzione come la magistratura, soprattutto se questa scardina un sistema di potere e corruzione come quello che da anni regge il nostro paese.
Ma l'orrore per il caso Cucchi non sta (solamente) nella sentenza. L'orrore è più profondo: è l'orrore di fronte alla barbarie, di fronte ad un paese, prima ancora delle sue istituzioni, che non è capace di fare i conti con se stesso, che si volta dall'altro lato per non vedere le ingiustizie, che gioisce persino di fronte alla menzogna rassicurante senza alcun senso critico. In un paese dotato di questo senso già allo scoppiare del caso Cucchi sarebbe montata un'ondata di indignazione civile tale che in molti sarebbero saltati, avrebbero nel silenzio fatto le valige per lasciare incarichi che ricoprivano indegnamente. Sia da destra che da sinistra, perché Stefano Cucchi poteva essere uno qualsiasi fra di noi: un ragazzo dei centri sociali, un estremista di Casa Pound, un leghista fermato durante una delle tante manifestazioni pro Padania, un pidiellino che manifesta contro la magistratura o un militante del PD che manifesta con la FIOM. Invece il nulla, eccezion fatta per la solita stampa di sinistra, spesso ribattezzata dei sinistri da coloro che vogliono tappare gli occhi pur di non smuoversi dalle loro posizioni. Perché noi siamo quelli che difendono gli indifendibili, ecco cosa siamo.
Un paese schifosamente di destra, ecco cosa siamo: di quella destra più becera, quella che prenderebbe a manganellate gli omosessuali, recluderebbe i disabili, violenterebbe le prostitute e sparerebbe ai carcerati, perché però un tempo si poteva stare con le porte aperte. Un'Italia in cui l'operaio che protesta è un rompicoglioni, il migrante che fugge la guerra civile un peso, le donne dovrebbero stare a casa a fare la calzetta e magari, se possibile, tirarci un pompino quando torniamo a casa. Questo è il paese, questa è la nostra acqua.
Non mi stupisce la sentenza sul caso Cucchi, come non mi hanno stupito le sentenze sulla scuola Diaz, come non mi stupisce il fatto che nessuno parli delle donne che muoiono ogni giorno battendo in strada violentate da maschi italiani; non mi stupisce più nulla di tutto ciò, e forse questo è quanto c'è di più grave, perché sempre di più la barbarie di questo nostr evo mi sembra normale.
È vero, le sentenze non si contestano; si può e si deve ricorrere quando si ritiene ingiusta una sentenza, si può e si deve cercare di modificare dall'interno uno stato, lavorando sulle sue leggi, sui suoi ordinamenti, sulla sua cultura. Non sismo con chi manifesta contro un'istituzione come la magistratura, soprattutto se questa scardina un sistema di potere e corruzione come quello che da anni regge il nostro paese.
Ma l'orrore per il caso Cucchi non sta (solamente) nella sentenza. L'orrore è più profondo: è l'orrore di fronte alla barbarie, di fronte ad un paese, prima ancora delle sue istituzioni, che non è capace di fare i conti con se stesso, che si volta dall'altro lato per non vedere le ingiustizie, che gioisce persino di fronte alla menzogna rassicurante senza alcun senso critico. In un paese dotato di questo senso già allo scoppiare del caso Cucchi sarebbe montata un'ondata di indignazione civile tale che in molti sarebbero saltati, avrebbero nel silenzio fatto le valige per lasciare incarichi che ricoprivano indegnamente. Sia da destra che da sinistra, perché Stefano Cucchi poteva essere uno qualsiasi fra di noi: un ragazzo dei centri sociali, un estremista di Casa Pound, un leghista fermato durante una delle tante manifestazioni pro Padania, un pidiellino che manifesta contro la magistratura o un militante del PD che manifesta con la FIOM. Invece il nulla, eccezion fatta per la solita stampa di sinistra, spesso ribattezzata dei sinistri da coloro che vogliono tappare gli occhi pur di non smuoversi dalle loro posizioni. Perché noi siamo quelli che difendono gli indifendibili, ecco cosa siamo.
Un paese schifosamente di destra, ecco cosa siamo: di quella destra più becera, quella che prenderebbe a manganellate gli omosessuali, recluderebbe i disabili, violenterebbe le prostitute e sparerebbe ai carcerati, perché però un tempo si poteva stare con le porte aperte. Un'Italia in cui l'operaio che protesta è un rompicoglioni, il migrante che fugge la guerra civile un peso, le donne dovrebbero stare a casa a fare la calzetta e magari, se possibile, tirarci un pompino quando torniamo a casa. Questo è il paese, questa è la nostra acqua.
Non mi stupisce la sentenza sul caso Cucchi, come non mi hanno stupito le sentenze sulla scuola Diaz, come non mi stupisce il fatto che nessuno parli delle donne che muoiono ogni giorno battendo in strada violentate da maschi italiani; non mi stupisce più nulla di tutto ciò, e forse questo è quanto c'è di più grave, perché sempre di più la barbarie di questo nostr evo mi sembra normale.
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