La seconda persona, Sebastiano Valentino Cuffari
LA SECONDA PERSONA
Come ti sei sentita? È difficile descriverlo, ancor meno spiegarlo ad un estraneo. Mentre la sabbia crepitava sotto il fuoco e la notte bruciava degli ultimi scampoli d'estate, tu ti sei sentita un'estranea.
Certo, erano tutte persone che conoscevi bene, con cui avevi trascorso la tua vita sin da quando andare a mare era un'avventura da vivere insieme ai tuoi genitori, quando i capelli sapevano di salsedine e i nodi la sera venivano sciolti dalle grandi mani di tuo padre. Eri piccola allora, ruotavi nel tuo piccolo mondo intorno ai tuoi genitori, a tua sorella.
Poi sono passati gli inverni sulla tua pelle, si è fatta sempre più dura e, sebbene prima tu fossi fiera di come divenisse soda, ad un certo punto hai iniziato a rincorrerne l'elasticità d'un tempo, quando liscia scorreva sotto le carezze dei primi amori e le labbra si bagnavano nel tepore dei primi baci.
Era il tempo in cui studiare era la tua guerra quotidiana, i libri un campo di battaglia su cui si inseguivano eserciti di carte geografiche, esercizi di aritmetica e le panzane dei filosofi, quelle sì, ancora te le ricordi. Non per niente ti sei laureata in filosofia.
Quando giocavi con le bambole il mondo sembrava così semplice: la vita perfetta era rinchiusa in una casetta rosa confetto con accanto un uomo biondo canarino e delle sciarpe viola shocking; poi crescendo hai iniziato a volere di più, hai cercato di sentirti parte di una realtà in cui tutto non fosse deciso dall'alto.
Quando per la prima volta hai urlato tutta la tua rabbia verso i tuoi genitori, poi ti è passata la voglia di mangiare per tre giorni. Eri troppo orgogliosa allora, ma sai bene che lo sei ancora. Poi sono venute le lacrime, calde sulle tue gote arrossate dalla frustrazione nel dover ammettere le ragioni altrui, e nel tintinnare di quelle gocce sul tavolo della cucina ancora profumata dell'odore della pasta al forno di tua madre, nello schiocco di quella pioggia troppo umana hai iniziato a perdere di vista i fuochi della tua orbita fino ad allora, quei genitori, per iniziare a ruotare solo su te stessa.
Il giorno della laurea tuo padre piangeva come te quel giorno, ma non per gli stessi motivi. Poggiato sulla sua stampella stringeva la mano a tutti gli invitati, era frastornato, dei complimenti che gli giungevano alle orecchie non sentiva che l'eco, e non solo per i problemi all'udito che ormai lo affliggevano da anni. Tu lo osservavi di sfuggita e iniziavi a capire che un giorno avresti rimpianto tutto il tempo sprecato ad odiarlo.
Quando si è ammalato sei tornata a casa dalle tue vacanze, le prime che facevi tutta da sola per così tanto tempo. Il premio che ti eri guadagnata con tanta fatica spariva, scemava come un'ombra dinnanzi ad immagini più vivide, una sala d'aspetto, la stanza di un ospedale in cui l'odore di piedi e l'aria condizionata si mischiavano al silenzio dei pazienti e alle parole, incalzanti, di amici e parenti che mascheravano la rassegnazione in un guazzabuglio di frasi.
Era tutto nero in quei giorni e anche gli amici, quelli che si fregiavano di quel nome solo nella convenienza, sparivano, mentre la neve inciampava sul terreno cadendo giù. Tua madre si aggrappava a te come tu fossi l'albero che aveva sorretto la cupola del mondo per millenni, tua sorella era troppo impegnata con la sua nuova famiglia: un figlia stava giungendo e la stanza della nascitura veniva dipinta di muri rosa confetto, di gialli canarini e di drappi viola shocking.
In quei giorni ti sei aggrappata a lui, l'amore della tua vita, sino ad oggi, l'uomo che ti ha tenuta nel cuore e nel palmo delle sue mani. Non era né bello né forte, non spiccava fra i passanti né i le sue battute avrebbero fatto sbellicare una platea di spettatori: era semplicemente lui e il giorno in cui hai iniziato a guardarlo con nuovi occhi dopo mesi spesi ad annusarlo senza accorgertene, quel giorno ti sei impigliata in una rete che ti ha stretto e catturata come la sua preda.
Avete trascorso momenti splendidi, avete progettato un matrimonio, una famiglia, dei bambini. Avete visitato case, vi siete informati per prestiti e mutui mentre tu iniziavi a lavorare, correggevi bozze all'epoca in una piccola casa editrice di provincia. La tua relazione sembrava procedere come un treno senza fermate, dritta verso la meta, e il fischiare del treno salutava per te ogni nuovo giorno.
Poi lui ha conosciuto quella donna, è arrivata la crisi, quella che state attraversando ora, quella che non ti ha fatto più ridere, che ti faceva tremare la sera quando ti addormentavi su di un letto troppo grande. Il mondo ora sembra correre senza di te, non vuole più aspettarti, o forse hai semplicemente perso il treno alla tua fermata e devi aspettare il prossimo, lì, sotto il sole di un'estate agli sgoccioli.
Hai sentito tua madre al telefono per salutarla, per dirle che questa sera lascerai come sempre l'estate facendo l'alba insieme ai tuoi amici; era assonnata, lei già andava a dormire, stanca dall'accudire suo marito. Quando stava chiudendo stava già rimboccandosi un lenzuolo e spegnendo la televisione, la sua giornata finiva quando la tua era ancora nel vivo.
Non ti piaceva più la sensazione della sabbia sotto il sedere, almeno non come un tempo. Ora il terreno ti sembrava un po' più duro, la notte un po' più fredda e la birra un po' più sciatta. La luna alta ricopriva le stelle del suo alone lucente e le sacre sponde saccheggiavano la battigia di pochi metri per pochi attimi; il rombare dei motori sulla strada poco oltre la spiaggia ti destava di tanto in tanto dal tuo torpore, molto più dello sbottare ritmato della musica dagli stereo, mentre vampate di calore dal falò ti investivano insieme all'odore acre del fumo, te lo sentivi impregnato sulla pelle.
I tuoi amici ballavano ma quei balli non erano più in loro, di certo non ti appartenevano più. Estranea improvvisamente alla vita che ti aveva racchiuso e protetta come in uno scrigno, quella sera ti sei sentita sbocciare, come una fenice dalle fiamme di un falò. Qualcosa di nuovo stava nascendo fra le tue mani, mentre il tuo primo essere spariva nella risacca del mare di ferragosto.
E così, senza salutare, ti sei alzata e sei tornata a casa per dormire
Come ti sei sentita? È difficile descriverlo, ancor meno spiegarlo ad un estraneo. Mentre la sabbia crepitava sotto il fuoco e la notte bruciava degli ultimi scampoli d'estate, tu ti sei sentita un'estranea.
Certo, erano tutte persone che conoscevi bene, con cui avevi trascorso la tua vita sin da quando andare a mare era un'avventura da vivere insieme ai tuoi genitori, quando i capelli sapevano di salsedine e i nodi la sera venivano sciolti dalle grandi mani di tuo padre. Eri piccola allora, ruotavi nel tuo piccolo mondo intorno ai tuoi genitori, a tua sorella.
Poi sono passati gli inverni sulla tua pelle, si è fatta sempre più dura e, sebbene prima tu fossi fiera di come divenisse soda, ad un certo punto hai iniziato a rincorrerne l'elasticità d'un tempo, quando liscia scorreva sotto le carezze dei primi amori e le labbra si bagnavano nel tepore dei primi baci.
Era il tempo in cui studiare era la tua guerra quotidiana, i libri un campo di battaglia su cui si inseguivano eserciti di carte geografiche, esercizi di aritmetica e le panzane dei filosofi, quelle sì, ancora te le ricordi. Non per niente ti sei laureata in filosofia.
Quando giocavi con le bambole il mondo sembrava così semplice: la vita perfetta era rinchiusa in una casetta rosa confetto con accanto un uomo biondo canarino e delle sciarpe viola shocking; poi crescendo hai iniziato a volere di più, hai cercato di sentirti parte di una realtà in cui tutto non fosse deciso dall'alto.
Quando per la prima volta hai urlato tutta la tua rabbia verso i tuoi genitori, poi ti è passata la voglia di mangiare per tre giorni. Eri troppo orgogliosa allora, ma sai bene che lo sei ancora. Poi sono venute le lacrime, calde sulle tue gote arrossate dalla frustrazione nel dover ammettere le ragioni altrui, e nel tintinnare di quelle gocce sul tavolo della cucina ancora profumata dell'odore della pasta al forno di tua madre, nello schiocco di quella pioggia troppo umana hai iniziato a perdere di vista i fuochi della tua orbita fino ad allora, quei genitori, per iniziare a ruotare solo su te stessa.
Il giorno della laurea tuo padre piangeva come te quel giorno, ma non per gli stessi motivi. Poggiato sulla sua stampella stringeva la mano a tutti gli invitati, era frastornato, dei complimenti che gli giungevano alle orecchie non sentiva che l'eco, e non solo per i problemi all'udito che ormai lo affliggevano da anni. Tu lo osservavi di sfuggita e iniziavi a capire che un giorno avresti rimpianto tutto il tempo sprecato ad odiarlo.
Quando si è ammalato sei tornata a casa dalle tue vacanze, le prime che facevi tutta da sola per così tanto tempo. Il premio che ti eri guadagnata con tanta fatica spariva, scemava come un'ombra dinnanzi ad immagini più vivide, una sala d'aspetto, la stanza di un ospedale in cui l'odore di piedi e l'aria condizionata si mischiavano al silenzio dei pazienti e alle parole, incalzanti, di amici e parenti che mascheravano la rassegnazione in un guazzabuglio di frasi.
Era tutto nero in quei giorni e anche gli amici, quelli che si fregiavano di quel nome solo nella convenienza, sparivano, mentre la neve inciampava sul terreno cadendo giù. Tua madre si aggrappava a te come tu fossi l'albero che aveva sorretto la cupola del mondo per millenni, tua sorella era troppo impegnata con la sua nuova famiglia: un figlia stava giungendo e la stanza della nascitura veniva dipinta di muri rosa confetto, di gialli canarini e di drappi viola shocking.
In quei giorni ti sei aggrappata a lui, l'amore della tua vita, sino ad oggi, l'uomo che ti ha tenuta nel cuore e nel palmo delle sue mani. Non era né bello né forte, non spiccava fra i passanti né i le sue battute avrebbero fatto sbellicare una platea di spettatori: era semplicemente lui e il giorno in cui hai iniziato a guardarlo con nuovi occhi dopo mesi spesi ad annusarlo senza accorgertene, quel giorno ti sei impigliata in una rete che ti ha stretto e catturata come la sua preda.
Avete trascorso momenti splendidi, avete progettato un matrimonio, una famiglia, dei bambini. Avete visitato case, vi siete informati per prestiti e mutui mentre tu iniziavi a lavorare, correggevi bozze all'epoca in una piccola casa editrice di provincia. La tua relazione sembrava procedere come un treno senza fermate, dritta verso la meta, e il fischiare del treno salutava per te ogni nuovo giorno.
Poi lui ha conosciuto quella donna, è arrivata la crisi, quella che state attraversando ora, quella che non ti ha fatto più ridere, che ti faceva tremare la sera quando ti addormentavi su di un letto troppo grande. Il mondo ora sembra correre senza di te, non vuole più aspettarti, o forse hai semplicemente perso il treno alla tua fermata e devi aspettare il prossimo, lì, sotto il sole di un'estate agli sgoccioli.
Hai sentito tua madre al telefono per salutarla, per dirle che questa sera lascerai come sempre l'estate facendo l'alba insieme ai tuoi amici; era assonnata, lei già andava a dormire, stanca dall'accudire suo marito. Quando stava chiudendo stava già rimboccandosi un lenzuolo e spegnendo la televisione, la sua giornata finiva quando la tua era ancora nel vivo.
Non ti piaceva più la sensazione della sabbia sotto il sedere, almeno non come un tempo. Ora il terreno ti sembrava un po' più duro, la notte un po' più fredda e la birra un po' più sciatta. La luna alta ricopriva le stelle del suo alone lucente e le sacre sponde saccheggiavano la battigia di pochi metri per pochi attimi; il rombare dei motori sulla strada poco oltre la spiaggia ti destava di tanto in tanto dal tuo torpore, molto più dello sbottare ritmato della musica dagli stereo, mentre vampate di calore dal falò ti investivano insieme all'odore acre del fumo, te lo sentivi impregnato sulla pelle.
I tuoi amici ballavano ma quei balli non erano più in loro, di certo non ti appartenevano più. Estranea improvvisamente alla vita che ti aveva racchiuso e protetta come in uno scrigno, quella sera ti sei sentita sbocciare, come una fenice dalle fiamme di un falò. Qualcosa di nuovo stava nascendo fra le tue mani, mentre il tuo primo essere spariva nella risacca del mare di ferragosto.
E così, senza salutare, ti sei alzata e sei tornata a casa per dormire
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