Campo santo

Sebastiano Valentino Cuffari



Campo santo



E poi muori, e tutto cambia.
Perché giocoforza il tuo modo di rapportarti è diverso, diciamo un po' più passivo del solito. Indubbiamente cambiano anche i tuoi interessi, le passioni; hanno un che di eterno. Tutto ciò ovviamente se credi in una qualsiasi forma di aldilà, se no è tutto più facile: una grande varietà di ceneri e vermi, e poco altro.
Metti caso che poi abbiano ragione coloro che credono nella reincarnazione, ed hai fatto bingo; la solita storia con infinite varianti.

In poche parole, nulla è più vario della morte: una sola è la costante, si muore da soli. Sì certo, i pianti, le grida, le frasi sconnesse: ma poi quegli occhi e quelle labbra tornano ai loro baci e ai loro sguardi languidi, mentre tu rimani con il tuo non so che di immobile e scheletrico che, tuo malgrado, limita il tuo fascino.
La vita va avanti. Grazie al cazzo, per voi forse.
Dillo al mio cranio lucidato dai vermi, ai miei capelli nido di corvi. Per me non c'è variatio, i versi si ripetono sempre uguali, solo i colori dei fiori accanto alle lapidi.

Mi direte, e beh? Non è il destino di tutti? Di che ti lamenti? Polvere alla polvere.
Ma no miei cari, non lo sapevo io quando ancora nel grembo materno scalpitavo delle pulsioni di mio padre: l'avessi saputo, avrei evitato quella doccia. Mica me l'avevano detto dei pianti, degli strepiti e delle grida per uscire da quel sarcofago, non lo sapevo io di quel tipo vestito di bianco che, al vedermi, invece che ammirare il mio visino aggraziato come la torma di mamme vinte dagli ormoni, no, lui no, a schiaffi mi prendeva, con fare compunto e deciso.
Cretino! Che fai! Se vuoi gli schiaffi dalli al tuo di figlio!
E via via crescendo, insegnanti ebeti, parenti bigotti, fidanzate frigide; preti, saggi santoni e dotti dottori.
Gli obblighi del buon costume del vivere sociale, il lavoro per dare da mangiare alla famiglia, un capo talmente viscido da non essere stato neanche in grado di presentarsi al tuo funerale; la noia della vita nella spasmodica ricerca di quei pochi momenti che davvero valevano la pena, di quei pochi occhi, di quelle poche parole per cui è valso qualcosa stare al mondo.
I figli, loro sì, venuti come gioia e presto andati via per le loro strade, ed io qui, che li ho visti crescere e non li ho potuti trattenere a me, non ho potuto confidare ancora sul loro respiro giovane e caldo, anche loro avevano diritto ai loro sogni, ai loro viaggi, alle loro case.
Una compagna, tradita e traditrice mille volte nei pensieri, eppure rimasta lì accanto che alla fine non può nulla quando più avresti bisogno di lei, solamente può stringere le tue mani e sperare, pregare.

No no, l'avessi saputo, mica sarei stato qui, a ragionare con voi della questione, voi che potete leggere queste parole mentre, di me, neanche le pupille sono rimaste. No miei cari, avrei evitato tutto ciò.
O se proprio si doveva, non mi sarei fatto ingannare da voi, dal cielo sopra di me e da questa morale: bella cazzata, un modo come un altro per usarmi come più vi è convenuto.
L'avrei scelto io quando arrivare a questo punto, non avrei lasciato al caso, al vostro dio forse, la possibilità di votare i miei sogni al piacere altrui. Avrei pensato beh, direi che ho dato quello che avevo da dare e preso quanto c'era da prendere, ora basta con questa pantomima, vi saluto, ci rivediamo sotto un metro e mezzo di terra.
E invece mi avete pure insegnato la paura della morte, ho vissuto tutta la vita terrorizzato da questo momento che non avrei comunque potuto evitare, dilazionando la mia felicità, come se questo avrebbe potuto allungare qualcosa su cui non c'era da perder tempo.

Ne è valsa la pena?

Lo sanno solamente i fiori sulla mia lapide che una moglie stanca porta ogni giorno, profumati e tinti di odori e colori che non sento, non vedo.

Commenti

Post popolari in questo blog

La sessualità nell'antichità

Alessandro Baricco, Castelli di rabbia

Saggio breve: D'Annunzio, una vita per la bellezza