I popoli del referendum

La seconda sberla in meno di un mese, forse quella più dolorosa, è arrivata dal popolo sovrano di tutta l'Italia. Ovviamente, come tutti possono immaginare, parlo dei referendum. Perché sono importanti i referendum del 12 e del 13 Giugno 2011? In primo luogo, per il loro valore letterale. Questi referendum hanno affermato che l'Italia vuole davvero una giustizia uguale per tutti, che non vuole impelagarsi nella rincorsa ad una forma di energia insicura e che non vogliono che i privati possano lucrare sull'acqua, un bene avvertito come pubblico, di tutti. Poi c'è il valore politico, quello che più fa scalpore, a torto o a ragione. Se guardiamo ai vincitori della contesa, non possiamo non notare come al carro della vittoria si siano aggregati in molti all'ultimo minuto. Il PD, il Terzo polo, partiti che con l'organizzazione e con il supporto ai quesiti referendari hanno avuto davvero poco a che fare e che, fiutata la possibilità di vittoria, sono subito accorsi al capezzale. I veri vincitori allora chi sono? Di certo l'IDV. Il movimento di Di Pietro, dopo aver piazzato De Magistris a sindaco di Napoli, piazza la vittoria più importante, proponendosi come forte voce popolare. Stesso discorso per SEL di Nichi Vendola, vincitore con il suo Pisapia alle amministrative di Milano. Vincitori i Verdi, ora più vicini ad un movimento che fino ad ora di europeo aveva ben poco. Ma soprattutto vincitori sono i comitati referendari nati e gestiti sulla rete, sul passaparola generale. C'è un Italia stanca di una politica che si ostina a non volerli rappresentare: è una rincorsa, forse ancora lunga, ad una politica realmente partecipativa. Lo si vede nel successo che arride sempre più alla sinistra extra parlamentare, lo si vede nel successo del movimento di Beppe Grillo. C'è una larga fetta di Italiani che i movimenti politici costruiti sui vecchi modi di comunicare non riescono più ad intercettare. Ora la politica ha due scelte: fregarsene, pensare che la politica del 2011 sia la stessa del 2000, o tentare di capire ragioni ed esigenze di queste nuove entità, in primo luogo di pensiero, oltre che politiche. E qui veniamo agli sconfitti, quel centrodestra che, improvvisamente, si scopre vecchio, distante dalla realtà, diviso. A poco servono le parole sprezzanti dei Brunetta, degli Stracquadagno: è il ruggito del cane in gabbia che tenta di incutere paura al veterinario che viene a terminarlo. C'è una realtà, fuori dai palazzi ovattati in cui si riuniscono gli esponenti di governo e l'elitè culturale di questa destra; una realtà che la crisi che il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi dichiara passata, ancora la sente. C'è il popolo dei precari che, forse, nel 2001 e nel 2008 avevano creduto nel Berlusconismo e nella riforma promessa del lavoro, e che oggi, nel 2011, ha capito chiaramente che quella riforma non è stata altro che una precarizzazione diffusa, la perdita dei diritti. Ci era stato detto che saremmo stati formati ad una nuova forma di mobilità, in cui la politica avrebbe messo in campo gli strumenti per una formazione permanente. Oggi vediamo come tutto ciò sia stato smentito dai fatti. Ci sono i giovani, i neo diplomati, i laureandi, coloro che appena finiti gli studi scoprono che le politiche dissennate hanno dissipato un patrimonio produttivo e culturale costruito con fatica dalla fine della Seconda guerra mondiale. C'è il popolo dei dipendenti pubblici, colpito ed insultato ogni giorno da questo governo con parole sprezzanti. C'è il popolo dei movimenti, del volontariato, quel popolo che non ne può più di vedere una classe dirigente inerte appropriarsi dei pochi denari che dovrebbero invece garantire un minimo di stato sociale. C'è il popolo degli operai, di quella forza lavoro che ha visto il pieno appoggio dato da questo governo ai ricatti di imprenditori pronti a delocalizzare ma, guarda caso, guardinghi allorché si tratti di dover spiegare i loro piani industriali. C'è il popolo di internet, quello che pensa che l'informazione sia un diritto inalienabile, che non vuole e non può più permettere che le televisioni del sovrano Silvio narcotizzino le loro menti con la loro voluta stupidità. Noi non siamo più il popolo che accettava il "ghe pensi mi" dell'uomo fatto da sé. Noi siamo il popolo che vuole determinare le sue fortune. E siamo il popolo che pensa che l'Italia sia una e indivisibile, in cui diritti e doveri siano uguali dalle Alpi a Lampedusa, dove non c'è più spazio per la becera ignoranza e per i razzismi di ogni forma di leghismo. Ci sono dei popoli, tutti quelli che ho elencato e altri che ancora hanno da esprimersi a pieno, che non si fanno più abbindolare da false ragioni etniche, dalle xenofobie, dalle politiche della paura. C'è un popolo che non crede più in Re Silvio e che i suoi cattivi consiglieri si ostinano a non voler ascoltare, che continuano ad insultare, ad offendere. Ma è solo questione di tempo, prima che vengano spazzati via dal vento del cambiamento che sta soffiando per la penisola

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