Apologia della scuola pubblica

Avevo intenzione di scrivere qualcosa sulla scuola pubblica, sull'attacco del presente governo (ma non c'è da temere, gli attacchi sono venuti da destra, sinistra e centro indistintamente negli ultimi vent'anni) ad un'istituzione che invece dovrebbe essere uno dei pilastri dello stato. Si potrebbe parlare di come vengano manipolate le parole dell'articolo 33 della costituzione, quello che sancisce libertà d'insegnamento e la libertà di scelta della scuola in cui mandare i figli.

Articolo 33



L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
ma in realtà ci sono parole ben più sagge di quanto potranno mai essere le mie al riguardo. E così riporto un articolo apparso in questi giorni sulla rete, citando a fine articolo la fonte.
Prima però vorrei precisare una cosa, ovvero parlare di uno dei limiti dell'istruzione negli ultimi venti o addirittura trent'anni. Si è immaginato che il diffondersi dei nuovi media potesse togliere valore all'istruzione, assicurando come la rapidità di accesso alle informazioni e la capillarità della loro diffusione avrebbe reso inutile il ruolo del docente come promulgatore di cultura. La scuola è quindi diventata il luogo in cui un esperto si sarebbe dovuto in primo luogo occupare d'aiutare i fanciulli a costruire una corretta capacità di socializzazione, un luogo in cui imparare a stare bene.
Questa concezione ha avallato la possibilità di concepire le megaclassi da 35 alunni, tanto, anche se non impareranno lì le discipline potranno sempre farlo per conto loro su internet, o peggio guardando la televisione (e così, se ci si riesce, si forma gli adolescenti su ciò che realmente lo stato vuole, creando piccoli robottini senza capacità critica, vittime inconsapevoli di programmi-spazzatura che, non per niente, in Italia sono i più longevi).
La delegittimazione del ruolo del docente ha origine antica, è stata in principio una forma di democratizzazione della cultura, ma ben presto strumentale contro quelli che potevano essere oppositori politici nel più puro dei significati, ovvero il fare politica come occuparsi del bene pubblico. Ed il peggio è che i docenti lo hanno permesso, vittime dei loro stessi sensi di colpa prima, poi del loro menefreghismo.
E allora va ribadito che i media, come dice lo stesso termine (di origine latina, quindi pronunciato alla latina) sono strumenti, ma che non sono "chi" si deve occupare di diffondere la cultura, ma "alcuni fra gli strumenti, neanche i più importanti" attraverso cui va diffusa la cultura. Il docente deve essere colui che è messo nelle migliori condizioni possibili per diffondere secondo coscienza e adeguati criteri di valutazione (non degli stupidissimi quiz) conoscenze, competenze, deve aiutare a formare abilità specifiche, senso critico, una propria coscienza. Un docente non è né il sostituto della famiglia né un assistente sociale che si debba fare carico di quanto le altre istituzioni non sanno o non vogliono realizzare. Non spetta al docente insegnare ciò che non gli compete, ma spetta al docente trovare il miglior modo per aiutare a sviluppare le competenze nelle proprie discipline e più in genereale, aiutare a formare una personalità che tenga nei valori del più puro degli umanesimi i suoi cardini. Ed è per questo che la scuola deve essere pubblica, deve permettere al docente di lavorare secondo coscienza e libertà, con dei criteri di chiamata al lavoro ben precisi che prescindano dalle preferenze di presidi o manager pubblici e privati, dalle loro possibili influenze o da forme d'imposizione provenienti dai partiti, dalle religioni o da becere forme di xenofobia. La scuola deve andare oltre la famiglia, oltre le fedi e oltre i luoghi comuni, uguale per tutti: solo così potrà realizzare realmente una meritocrazia ed una democrazia che provenga da una più ampia diffusione della cultura, nell'accezione più alta del termine.

Questo discorso di Piero Calamandrei in difesa della Scuola Pubblica ha quasi sessanta anni ma sembra scritto oggi.
La differenza sta nel fatto  che quella che Pietro Calamandrei poneva come una ipotesi astratta è diventata oggi, purtroppo, realtà attraverso un "totalitarismo subdolo, indiretto, torbido. come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre ma che sono pericolosissime".
La differenza sta nel fatto che il "partito dominante" ipotizzato da Pietro Calamandrei oggi non vuole neanche "rispettare la Costituzione" ma vuole anzi deliberatamente stravolgerla non rispettando neppure le procedure che i Padri Costituenti avevano posto a guardia della stessa per impedirne lo scempio e andando avanti a colpi di decreti legge come il "lodo Alfano" con il quale si vuole assicurare l'impunità alle quattro, ma soprattutto ad una, più alte cariche dello Stato.
Il tutto in mezzo all'indifferenza o meglio all'assuefazione dell'opinione pubblica ormai soggiogata con l'antico metodo del "panem et circenses" ( ma tra poco resteranno soltanto i circenses) e al disfacimento di una opposizione che, come dice una delle poche voci non omologate rimaste nel nostro parlamento, oscilla ormai tra la "collaborazione e il collaborazionismo".
Se ne sono accorti per fortuna i nostri giovani e la loro consapovolezza, così lontana dall'ottundimento ormai imperante, ha dato vita ad una rivolta trasversale, senza colori politici dato che di quella cosa sporca che è diventata la politica in Italia tanti giovani si vogliono tenere lontani, che ha fatto sentire l'esigenza ad una delle anime più nere della nostra Repubblica di suggerire all'attuale ministro degli interni di adoperare gli stessi metodi da lui adoperati negli anni 70.
Cioè "infiltrare il movimento di agenti provocatori" per fari si che, con il loro aiuto "devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città" per potere cosi poi avere il pretesto di "mandarli tutti in ospedale, picchiarli e picchiare anche i docenti" , soprattutto "le maestre ragazzine".
Verso i ragazzini quello che giustamente un tempo veniva chiamato "Kossiga" deve avere un odio viscerale, basta ricordare quello che diceva un tempo di Rosario Livatino, il "giudice ragazzino", morto per servire lo Stato, non certo lo Stato rappresentato da Cossiga, e perchè lasciato solo dallo Stato, questa volta si dallo Stato rappresentato da Cossiga.
Quello stesso Cossiga che chiamò a far parte della commissione ristretta costituita per l'emergenza del sequestro Moro anche, sotto falso nome, Licio Gelli. Come chiamare Goering a difendere gli ebrei.
A fronte di queste minacce, a fronte dell'incitamento a usare i manganelli contro i nostri figli che lottano per il loro futuro sarebbe una colpa ben più grave delle tante che già ci portiamo addosso per avere consegnato loro questo paese quello di restare inerti, di approvare a parole la loro rivolta ma delegare solo a loro questa lotta.
Lo abbiamo già fatto in troppe altre occasioni con dei magistrati, con dei poliziotti, con dei giornalisti, con tante altre vittime del potere costretti, anche per colpa nostra, a diventare degli eroi.
E' un dovere imprescindibile per noi scendere in prima linea e offire le nostre fronti, i nostri corpi, a quei manganelli che vorrebbero colpire i nostri giovani.
Siamo noi ad esserci meritato questo paese, non loro.

Piero Calamandrei - discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950


Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico"

FONTE:  http://www.19luglio1992.com/



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