L'inno alla mediocrità
Vivere in Italia è l'inno alla mediocrità.
Perché in fondo noi Italiani siamo mediocri: mediocri ci sentiamo, come mediocri siamo stati educati, mediocri ci vogliamo e mediocri tutto sommato ci piaciamo.
La mia generazione è cresciuta lobotomizzata dalla televisione: dopo vent'anni di governo di colui che quelle televisioni possiede, viene forse il dubbio che fosse premeditato.
Ma non mi rassegno a pensare che la mia generazione possa annullare del tutto i suoi pochi neuroni: non mi rassegno a pensare che la nostra classe dirigente possa fare passare Bettino Craxi, Mangano, come eroi. Non voglio credere che tutto sia concesso, che la morale si distingua fra pubblica e privata, che il diritto sia valido per alcuni e per altri no.
Non mi rassegno quando vedo le popolazioni del Mediterraneo meridionale che costruiscono le loro rivoluzioni sul passaparola della rete, mentre per noi Facebook e Twitter sono i principali strumenti per diffondere le banalità dei Modà o dei figli della De Filippi.
Ed ammiro la cultura islamica, che per anni abbiamo considerato inferiore, ma che ha impedito alle sue generazioni di alienarsi nelle facezie della più becera cultura occidentale, e che, oggi, oltre al sempre criticabile estremismo, ci insegna l'anelito alla democrazia.
Voglio un'Italia in cui si possa pensare di lavorare secondo merito e secondo giustizia, in cui essere bianco, nero, etero o omosessuale non sono condizioni discriminanti, come non lo è essere meridionale o settentrionale. Voglio un'Italia in cui se commetti un reato vieni processato, punto, senza se e senza ma. Che tu sia un operaio o un presidente del consiglio.
Voglio un'Italia in cui studiare non è una colpa, ma un onore.
Voglio un'Italia in cui la bellezza è quella dello spirito, non quella delle forme di una donnina.
Perché in fondo noi Italiani siamo mediocri: mediocri ci sentiamo, come mediocri siamo stati educati, mediocri ci vogliamo e mediocri tutto sommato ci piaciamo.
La mia generazione è cresciuta lobotomizzata dalla televisione: dopo vent'anni di governo di colui che quelle televisioni possiede, viene forse il dubbio che fosse premeditato.
Ma non mi rassegno a pensare che la mia generazione possa annullare del tutto i suoi pochi neuroni: non mi rassegno a pensare che la nostra classe dirigente possa fare passare Bettino Craxi, Mangano, come eroi. Non voglio credere che tutto sia concesso, che la morale si distingua fra pubblica e privata, che il diritto sia valido per alcuni e per altri no.
Non mi rassegno quando vedo le popolazioni del Mediterraneo meridionale che costruiscono le loro rivoluzioni sul passaparola della rete, mentre per noi Facebook e Twitter sono i principali strumenti per diffondere le banalità dei Modà o dei figli della De Filippi.
Ed ammiro la cultura islamica, che per anni abbiamo considerato inferiore, ma che ha impedito alle sue generazioni di alienarsi nelle facezie della più becera cultura occidentale, e che, oggi, oltre al sempre criticabile estremismo, ci insegna l'anelito alla democrazia.
Voglio un'Italia in cui si possa pensare di lavorare secondo merito e secondo giustizia, in cui essere bianco, nero, etero o omosessuale non sono condizioni discriminanti, come non lo è essere meridionale o settentrionale. Voglio un'Italia in cui se commetti un reato vieni processato, punto, senza se e senza ma. Che tu sia un operaio o un presidente del consiglio.
Voglio un'Italia in cui studiare non è una colpa, ma un onore.
Voglio un'Italia in cui la bellezza è quella dello spirito, non quella delle forme di una donnina.
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