Joseph Heller, Comma 22, la cantina
Un capitolo di Comma 22, uno dei più belli, e i suoi paradossi
Capitolo 36.
LA CANTINA.
La morte di Nately fu un colpo mortale per il cappellano. Il cappellano Shipman era seduto nella sua tenda, leggendo certe sue carte, con gli occhiali sul naso, quando suonò il telefono e gli fu data la notizia dall'aeroporto della collisione fra i due aerei. Le budella gli diventarono in un attimo di argilla secca. La mano con cui posò la cornetta del telefono tremava. Anche l'altra mano cominciò a tremargli. Il disastro era troppo immenso per considerarlo con calma. Dodici uomini morti... una cosa spaventosa, orrenda, semplicemente orrenda! Sentì crescere in sé un sentimento di terrore. Istintivamente pregò che Yossarian, Nately, Hungry Joe e gli altri suoi amici non si trovassero nella lista delle vittime, poi si rimproverò pentito, perché pregare per la loro salvezza equivaleva a pregare per la morte di altri giovani, che non conosceva nemmeno. Era troppo tardi per pregare; eppure non c'era altro ch'egli sapesse fare. Il cuore gli picchiava con un tonfo che sembrava rimbombasse da qualche luogo fuori dal suo corpo, ed egli si rese conto che non si sarebbe mai più seduto nella poltrona di un dentista, non avrebbe mai più guardato un coltello di chirurgo, mai più assistito a un incidente automobilistico o udito una voce gridare nella notte, senza sentire di nuovo quel tonfo violento nel petto, senza provare lo stesso timore della morte vicina. Non avrebbe mai più osservato una battaglia a pugni senza temere di perdere i sensi e di spaccarsi il cranio nel cadere sul selciato, o soffrire un fatale attacco di cuore o una emorragia cerebrale. Si chiese se avrebbe mai più visto sua moglie o i suoi tre figlioletti. Si chiese se avrebbe mai "dovuto" rivedere sua moglie ora che il capitano Black aveva radicato nella sua mente forti dubbi sulla fedeltà e la forza di carattere delle donne. C'erano così tanti altri uomini, pensò, che potevano soddisfare molto più pienamente sua moglie, dal punto di vista sessuale. Ora, quando pensava alla morte, pensava sempre a sua moglie, e quando pensava a sua moglie pensava sempre che l'avrebbe persa.
Dopo un minuto o due il cappellano si sentì abbastanza in forze per alzarsi e recarsi, con cupa riluttanza, nella tenda vicina a chiamare il sergente Whitcomb. Il cappellano chiuse le mani a pugno per evitare che tremassero, mentre le teneva appoggiate in grembo. Strinse i denti e cercò di non ascoltare i commenti soddisfatti ed esultanti del sergente Whitcomb sul tragico incidente. Dodici morti significavano dodici lettere di condoglianze in più, da spedire con la firma del colonnello Cathcart, tutte insieme, ai parenti più prossimi dei deceduti. Il sergente Whitcomb poteva sperare di far uscire un articolo sul colonnello Cathcart nella "Saturday Evening Post" prima di Pasqua.
All'aeroporto c'era un pesante silenzio, che soffocava ogni movimento, come se un incantesimo crudele e insensato si fosse impossessato dei soli esseri che avrebbero potuto interromperlo. Il cappellano era in preda a un timore reverenziale. Non aveva mai contemplato prima una immobilità così grande, così spaventosa. Quasi duecento uomini stanchi, sparuti, abbattuti erano affollati all'entrata della sala istruzioni, con in mano il rotolo del paracadute, tetri, immobili, con i visi girati vuotamente, secondo angoli diversi di attonito stupore. Sembrava non avessero la volontà di allontanarsi, che fossero incapaci di muoversi. Mentre si avvicinava, il cappellano era acutamente conscio del rumore che facevano i suoi passi. Con gli occhi cercò velocemente, freneticamente, in mezzo alla massa confusa delle figure piegate. Finalmente scorse Yossarian e provò un sentimento di gioia immensa, ma poi la bocca gli si aprì lentamente in una smorfia di orrore insopportabile quando osservò il viso di Yossarian, vividamente, tormentosamente segnato da una disperazione profonda e stupefatta. Capì subito, indietreggiando per il dolore e scuotendo il capo con un gesto assurdo di protesta e implorazione, che Nately era morto. E ogni speranza di essersi sbagliato fu annullata quando udì il suono del nome di Nately che emergeva con ripetuta chiarezza al di sopra del balbettio confuso delle voci, del mormorio di cui prima non si era per niente accorto. La consapevolezza lo lasciò paralizzato per il terrore. Non riuscì a reprimere un singhiozzo. Nately era morto. Il sangue cessò di circolargli nelle gambe, e temette di cadere. Nately era morto: il ragazzo era stato ucciso. Un gemito confuso si formò nella gola del cappellano, cominciarono a tremargli le mascelle. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, stava piangendo. Cominciò a dirigersi verso Yossarian, in punta di piedi, per piangere al suo fianco e partecipare al suo muto dolore. In quel momento una mano l'afferrò ruvidamente attorno a un braccio e una voce brusca gli domandò:
«Il cappellano Shipman?»
Si volse sorpreso e si trovò di fronte un colonnello robusto e pugnace con la testa larga, dei gran baffi e una pelle liscia e florida. Non aveva mai visto quell'uomo prima di allora. «Sì. Cosa c'è?» Le dita che gli stringevano il braccio gli facevano male, ed egli cercò invano di liberarsene con uno strattone.
«Venga con noi.»
Il cappellano indietreggiò confuso e spaventato. «Dove? Perché? E lei chi è, di grazia?»
«E' meglio che ci segua, Padre,» sull'altro fianco gli comparve un maggiore magro, dal naso aquilino, che intonò con reverente dolore: «Siamo inviati del governo. Vogliamo farle delle domande»
«Che specie di domande? Cosa è successo?»
«Lei non è il cappellano Shipman?» domandò l'obeso colonnello. «Sì, è lui,» rispose il sergente Whitcomb.
«Vada con loro,» gli gridò il capitano Black con un sogghigno ostile e sprezzante. «Salga sull'automobile se non vuoi finire male.»
Delle mani stavano trascinando via irresistibilmente il cappellano. Egli avrebbe voluto invocare a gran voce l'aiuto di Yossarian, ma questi sembrava troppo lontano perché lo potesse sentire. Alcuni degli uomini ch'erano lì vicino già cominciavano guardare verso di lui con crescente curiosità. Il cappellano chinò il capo, rosso per la vergogna, e si lasciò spingere sul sedile di dietro di una macchina del comando, seduto in mezzo al colonnello grasso con la faccia larga e rosea e il maggiore sparuto, untuoso, malinconico. Automaticamente offerse un polso a ciascuno per un momento, nel caso volessero mettergli le manette. Un altro ufficiale si era già sistemato sul sedile davanti. Un alto agente della M.P., con un fischietto e un elmetto bianco, si mise al volante. Il cappellano non osò alzare gli occhi finché l'automobile chiusa non si fu allontanata velocemente dall'aeroporto, e le ruote cominciarono a fischiare sulla strada ricoperta di catrame e piena di buche.
«Dove mi state conducendo?» chiese con una voce resa sommessa dalla timidezza e dal senso di colpa, gli occhi tuttora abbassati. Gli passò per il cervello l'idea che lo ritenessero colpevole dell'incidente aereo e della morte di Nately. «Cosa ho fatto?»
«Perché non tieni la botola chiusa e le domande le lasci fare a noi?» disse il colonnello.
«Non parlargli in quel tono,» disse il maggiore. «Non è necessario trattarlo con irriverenza.»
«E allora digli di tenere la botola chiusa e le domande lasciarle fare a noi.»
«Padre, per favore tenga la botola chiusa e le domande le lasci fare a noi,» gli raccomandò il maggiore con molta comprensione. «Sarà meglio per lei.»
«Non c'è bisogno di chiamarmi Padre,» disse il cappellano. «Non sono cattolico.»
«Neppure io lo sono, Padre,» disse il maggiore. «E' che io sono una persona molto devota, e mi piace chiamare 'Padre' tutti gli uomini di Dio.»
«Non crede nemmeno che ci siano degli atei in trincea,» scherzò il colonnello, con una gomitata familiare nelle costole del cappellano. «Su, cappellano, diglielo. Ci sono degli atei in trincea?»
«Non lo so, signore,» rispose il cappellano. «Non sono mai stato in trincea.»
L'ufficiale seduto davanti girò il capo di colpo con un'espressione provocatoria. «Tu non sei mai stato neppure in cielo, non è vero? Ma lo sai che c'è il Paradiso, non è vero?»
«Oppure non lo sai?» disse il colonnello.
«E' una colpa molto grave quella che ha commesso, Padre,» disse il maggiore.
«Quale colpa?»
«Non lo sappiamo ancora,» disse il colonnello. «Ma lo scopriremo presto. E non c'è dubbio che sia molto grave.»
L'automobile prese una strada laterale che conduceva al Quartier Generale di gruppo, con uno stridore di ruote in curva, diminuendo l'andatura solo di poco, poi oltrepassò il parcheggio e si fermò sul retro dell'edificio. I tre ufficiali e il cappellano scesero dall'automobile. In fila indiana, fecero scendere il cappellano per una rampa dondolante di scalini di legno e lo fecero entrare in una stanza umida e tetra dello scantinato, con un soffitto di cemento e dei muri di pietra nuda. In ogni angolo c'erano delle ragnatele. Un enorme centopiedi attraversò di corsa la stanza e andò a rifugiarsi dietro un tubo dell'acqua. Fecero sedere il cappellano su una sedia dura, dallo schienale rigido, che stava accanto a un piccolo tavolo di legno ruvido.
«Prego, accomodati, cappellano,» gli disse il colonnello con un invito cordiale, e accese una lampada accecante dirigendone il raggio dritto negli occhi del cappellano. Posò sul tavolo un paio di pugni di ferro e una scatola di fiammiferi di legno. «Vogliamo che ti senta a tuo agio.»
Il cappellano spalancò gli occhi, incredulo. I denti gli battevano e gli sembrava che le sue membra si fossero completamente svuotate di ogni energia. Non aveva più forza. Avrebbero potuto fargli qualsiasi cosa, pensò; questi uomini brutali avrebbero potuto picchiarlo a morte lì in quella cantina, e nessuno sarebbe intervenuto a salvarlo, nessuno forse, a eccezione del maggiore devoto e comprensivo dal viso affilato, che aperse un rubinetto e lo fece sgocciolare con un suono monotono e forte dentro il lavandino, e poi tornò verso il tavolo, su cui posò, accanto ai pugni di ferro, dei pesanti manicotti di gomma.
«Andrà tutto bene, cappellano,» disse il maggiore facendogli coraggio. «Non c'è nulla che lei debba temere se non è colpevole. Perché ha tanta paura? Non sarà per caso colpevole, eh?»
«Certo che è colpevole,» disse il colonnello. «Sicuro come esiste l'inferno.»
«Colpevole di che cosa?» implorò il cappellano, che si sentiva sempre più confuso e non sapeva a quale dei tre uomini rivolgersi per implorare pietà. Il terzo ufficiale non portava alcun grado e stava da un lato, in agguato. «Cosa ho fatto?»
«E' proprio quello che vogliamo sapere,» rispose il colonnello, e spinse un notes e una matita attraverso il tavolo fin davanti al cappellano. «Scrivi il tuo nome su lì, per favore. Con la tua calligrafia.»
«La mia calligrafia?»
«Proprio così. Su questa pagina, dove preferisci.» Quando il cappellano ebbe finito, il colonnello prese il notes e lo osservò, mettendolo accanto a un foglio di carta che estrasse da una cartella. «Visto?» disse al maggiore, che gli si era messo al fianco e stava guardando gravemente il notes da dietro le sue spalle.
«Non è la stessa calligrafia, non è vero?» azzardò il maggiore.
«Te l'avevo detto che era stato lui.»
«A far che cosa?» chiese il cappellano.
«Cappellano, questa è una brutta sorpresa per me,» lo rimproverò il maggiore con un'aria di profondo dolore.
«Che cosa?»
«Non posso dirle quanto io sia deluso.»
«Per che cosa?» insistette il cappellano ancora più agitato. «Cosa ho fatto?»
«Ecco,» rispose il maggiore e, con un'espressione di delusione e di disgusto, fece cadere sul tavolo il notes su cui il cappellano aveva scritto il suo nome. «Questa non è la sua calligrafia.»
Il cappellano sbatté gli occhi più volte per lo sbalordimento. «Ma certo che è la mia calligrafia.»
«No, che non lo è, cappellano. Lei sta mentendo di nuovo.»
«Ma se l'ho appena scritto io stesso!» gridò il cappellano esasperato. «M'avete visto tutti mentre l'ho scritto.»
«Appunto,» rispose il maggiore amareggiato. «Ho visto io stesso mentre lo scriveva. Non può negare di averlo scritto. Una persona che è disposta a mentire quando si tratta della sua calligrafia è disposta a mentire in qualsiasi circostanza.»
«Ma chi ha mentito riguardo alla mia calligrafia?» domandò il cappellano, dimenticando il suo timore nell'ondata di rabbia e indignazione che salì improvvisamente dentro di lui. «Siete matti o che cosa? Di cosa state parlando voi due?»
«Le abbiamo chiesto di scrivere il suo nome colla sua calligrafia. E lei non l'ha fatto.»
«Ma certo che l'ho fatto. E di chi sarebbe quella calligrafia se non è la mia?»
«Di qualcun altro.»
«Ma chi?»
«Questo lo stabiliremo immediatamente,» minacciò il colonnello.
«Parli, cappellano.»
Il cappellano guardava ora l'uno ora l'altro ufficiale con crescente dubbio e irritazione. «Questa calligrafia è la mia,» sostenne con passione. «E dove mai sarebbe la mia calligrafia, se non è questa?»
«Qui,» rispose il colonnello. E con un'aria di grande superiorità, buttò sul tavolo una copia fotostatica di un pezzo di carta da lettera militare sulla quale era stato cancellato tutto eccetto l'inizio «Cara Maria», e sulla quale l'ufficiale addetto alla censura aveva scritto: «Ti bramo tragicamente. R. O. Shipman, cappellano, esercito degli Stati Uniti». Il colonnello fece un sorriso di scherno quando vide che il cappellano arrossiva nel leggerla. «Bene, cappellano? Sai chi ha scritto questa lettera?»
Il cappellano indugiò a lungo prima di rispondere; aveva riconosciuto la calligrafia di Yossarian. «No.»
«Ma puoi leggere, non è vero?» insistette il colonnello sarcasticamente. «L'autore ha apposto la propria firma.»
«C'è il mio nome in calce.»
«E allora l'hai scritta tu. C.V.D.»
«Ma non l'ho scritta io. E questa non è la mia calligrafia.»
«Quindi anche allora hai firmato il tuo nome colla calligrafia di qualcun altro,» ribatté il colonnello con un'alzata di spalle. «Ecco tutto.»
«Oh, ma questo è ridicolo!» gridò il cappellano, perdendo improvvisamente la pazienza. Saltò in piedi con una vampata di furia, i pugni chiusi. «Non ho nessuna intenzione di sopportare questa commedia più a lungo! Avete capito? Dodici uomini sono appena stati uccisi, e io non ho tempo per queste stupide domande. Non avete alcun I diritto di tenermi qui, e non lo sopporterò più a lungo.»
Senza dire una parola, il colonnello diede uno spintone nel petto al cappellano e lo fece cadere di nuovo sulla sedia. D'improvviso il cappellano si sentì di nuovo debole, di nuovo molto impaurito. Il maggiore prese in mano il lungo manicotto di gomma e cominciò a batterlo minacciosamente sulla palma aperta di una mano. Il colonnello raccolse la scatola di fiammiferi, ne prese uno e lo appoggiò contro il pezzetto di carta vetrata, in attesa del primo segno di sfida che venisse dal cappellano. Questi era pallido e quasi paralizzato, incapace di muoversi. Dopo un po' fu incapace di sostenere più a lungo la luce abbagliante della lampadina e si volse da una parte; il rubinetto d'acqua sgocciolante era sempre più forte, e lo irritava in modo quasi intollerabile. Desiderò che gli dicessero almeno cosa volevano ch'egli confessasse. Rimase teso nell'attesa mentre il terzo ufficiale, obbedendo a un segnale del colonnello, si avvicinò lentamente e si sedette sul tavolo a pochi centimetri di distanza dal cappellano. Il suo viso non aveva espressione, i suoi occhi erano freddi e penetranti.
«Spegni la luce,» disse con un cenno del capo all'indietro, con una voce bassa e calma. «Dà molto fastidio.»
Il cappellano gli offerse un leggero sorriso di gratitudine. «Grazie, signore. E anche il rubinetto, per favore.»
«Lascia stare il rubinetto,» disse l'ufficiale. «Quello non mi dà fastidio.» Tirò su un poco i pantaloni, per preservarne la piega impeccabile. «Cappellano,» chiese casualmente, «lei a che fede religiosa appartiene?»
«Sono anabattista, signore.»
«E' una religione molto sospetta, non è vero?»
«Sospetta?» chiese il cappellano con una specie di innocente stupore. «Perché mai, signore?»
«Be', io non ne so niente degli anabattisti. Questo dovrà ammetterlo. E non le sembra una cosa molto sospetta?»
«Non so, signore,» rispose diplomaticamente il cappellano, balbettando per la confusione. La mancanza di gradi sul colletto di quell'ufficiale lo metteva a disagio. Non sapeva se doveva veramente dargli del «signore». Chi era costui in fondo? E che autorità aveva per interrogarlo?
«Cappellano, ai miei tempi io ho studiato latino. Credo che sia giusto che io lo avverta di ciò prima di porle la mia prossima domanda. La parola anabattista non significa semplicemente che lei non è un battista?»
«Oh, no, signore. La cosa è molto più complessa.»
«Lei è un battista?»
«No, signore.»
«E allora non è un battista, non è così?»
«Signore?»
«Non capisco perché vuoi disputare con me su questo punto. Lo ha già ammesso anche lei. Ora, cappellano, il dire che lei non è un battista non ci rivela nulla su quello che lei è veramente, o mi sbaglio? Lei potrebbe essere una cosa o una persona qualsiasi.» Si chinò in avanti un poco e assunse un'aria astuta e conoscitrice. «Lei potrebbe perfino essere,» aggiunse, «Washington Irving, non le pare?»
«Washington Irving?» ripeté sorpreso il cappellano.
«Andiamo, Washington,» intervenne molto irritato il colonnello. «Perché non ci spiattelli tutto? Lo sappiamo che sei stato tu a rubare quel pomodoro.»
Dopo un momento di shock, il cappellano fece un sorriso nervoso di sollievo. «Ah, è tutto qui!» esclamò. «Ora comincio a capire. Non ho rubato quel pomodoro, signore. Me lo ha dato il colonnello Cathcart. Potete chiederlo a lui, se non mi credete.»
Dall'altro lato della stanza si aperse una porta e il colonnello Cathcart entrò, come se uscisse da un armadio a muro.
«Salve, colonnello. Colonnello, il cappellano qui sostiene che glielo ha dato lei il pomodoro. E' vero?»
«E perché mai dovrei dargli un pomodoro?» rispose il colonnello Cathcart.
«Grazie, colonnello. Questo è tutto.»
«Ma s'immagini, colonnello,» rispose il colonnello Cathcart, e uscì dalla cantina, chiudendo la porta dietro di sé.
«Bene, cappellano. E ora cos'hai da dirci?»
«Me lo ha dato lui!» disse il cappellano, con un sussurro ch'era al tempo stesso fiero e fremente. «Me lo ha dato lui!»
«Non vorrà accusare un ufficiale superiore d'essere un bugiardo, ora, cappellano?»
«Perché un ufficiale superiore dovrebbe darle un pomodoro, cappellano?»
«E' per questo che hai cercato di liberartene e darlo al sergente Whitcomb, cappellano? Perché era un pomodoro rubato?»
«No, no, no,» protestò il cappellano, chiedendosi dentro di sé disperatamente perché non erano capaci di capire. «L'ho offerto al sergente Whitcomb perché non sapevo cosa farmene.»
«Perché l'hai rubato al colonnello Cathcart se non sapevi cosa fartene?»
«Non l'ho rubato al colonnello Cathcart!»
«E allora perché sei così colpevole, se non l'hai rubato?»
«Non sono colpevole!»
«E allora perché saremmo qui a interrogarti se non sei colpevole?»
«Oh, non so,» gemette il cappellano, intrecciandosi le dita in grembo e crollando il capo chino e angosciato. «Non so.»
«Crede che noi abbiamo tempo da perdere,» disse il maggiore spazientito.
«Cappellano,» riprese l'ufficiale senza gradi con un ritmo più tranquillo, estraendo un foglio dattiloscritto dalla cartella aperta. «Qui c'è una dichiarazione firmata del colonnello Cathcart in cui lei è accusato di avergli rubato un pomodoro.» Posò il foglio a faccia in giù sull'altro lato della cartella e prese un secondo foglio. «E qui c'è un "affidavit" autenticato del sergente Whitcomb in cui egli asserisce di aver capito che il pomodoro era rubato dal modo con cui lei ha cercato di disfarsene, regalandoglielo.»
«Giuro sul nome di Dio che non l'ho rubato, signore,» protestò il cappellano angosciato, quasi sul punto di piangere. «Le do la mia sacra parola che non era un pomodoro rubato.»
«Cappellano, lei crede in Dio?»
«Signorsì. Certo che ci credo.»
«Questo è molto strano, cappellano,» disse l'ufficiale, estraendo dalla cartella un altro foglio giallo dattiloscritto, «perché ho qui in mano un'altra dichiarazione del colonnello Cathcart in cui giura che lei ha rifiutato di cooperare con lui in un progetto di far recitare delle preghiere agli uomini prima di ogni missione.»
Dopo uno sguardo vuoto in avanti, il cappellano annuì più volte, ricordandosi di cosa si trattava. «Oh, ma questo non è vero, signore,» spiegò appassionatamente. «E' stato il colonnello Cathcart in persona a rinunciare all'idea, dopo essersi reso conto che i soldati semplici pregano lo stesso Dio degli ufficiali.»
«Dopo essersi reso conto "di che cosa"?» esclamò l'ufficiale, senza crederci.
«Che stupidaggini!» dichiarò il colonnello dal viso rosso, e si allontanò dal cappellano, mostrandosi offeso e irritato.
«Non si aspetterà che noi si creda a cose del genere?» gridò il maggiore, confermando la propria sfiducia.
L'ufficiale senza gradi fece un sogghigno acidulo. «Cappellano, non sta esagerando un poco?» gli domandò, e gli sorrise in modo che era al tempo stesso comprensivo e ostile.
«Ma signore, questa è la verità, signore! Giuro che è la verità.»
«Non vedo che importanza abbia se sia vero o no,» l'ufficiale rispose con noncuranza e si girò su se stesso per prendere un altro foglio dalla cartella aperta e piena di carte. «Cappellano, ha detto che lei crede in Dio, quando gliel'ho chiesto? Non ricordo bene.»
«Signorsì. Ho detto così. Io credo in Dio.»
«E allora è molto strano, cappellano, perché qui c'è un altro "affidavit" del colonnello Cathcart in cui si dichiara che lei una volta ha detto che l'ateismo non è contro la legge. Si ricorda di aver mai detto una cosa del genere a qualcuno?»
Il cappellano annuì senza esitazione, sentendosi su un terreno molto solido. «Signorsì, io ho fatto quella dichiarazione. L'ho fatta perché è vero. L'ateismo non è contro la legge.»
«Ma questa non è una buona ragione per dirlo, cappellano, non le pare?» lo rimproverò aspramente l'ufficiale, aggrottando la fronte, e prese un altro foglio dattiloscritto e autenticato dalla cartella. «E qui c'è un'altra dichiarazione giurata del sergente Whitcomb che dice che lei si è opposto al suo progetto di mandare lettere di condoglianze firmate dal colonnello Cathcart ai parenti più prossimi degli uomini uccisi o feriti in combattimento. E' vero, questo?»
«Signorsì, mi sono opposto,» rispose il cappellano. «E sono fiero di averlo fatto. Quelle lettere non sono né oneste né sincere. Il loro solo scopo è di dare prestigio al colonnello Cathcart.»
«Ma questo che differenza fa?» rispose l'ufficiale. «Esse portano ugualmente sollievo e conforto alle famiglie che le ricevono, non le pare? Cappellano, io non posso proprio capire il suo modo di pensare.»
Il cappellano rimase imbarazzato e del tutto incapace di rispondere. Chinò il capo, sentendosi ingenuo e muto.
Il grosso colonnello dal viso rosso gli si avvicinò sveltamente, preso da un'idea improvvisa. «Perché non gli spacchiamo quella testa maledetta?» suggerì agli altri con vigoroso entusiasmo.
«Sì, potremmo anche spaccargli quella testa maledetta,» il maggiore dal naso aquilino fu d'accordo. «In fondo è soltanto un anabattista.»
«No, prima dobbiamo decidere se è colpevole,» avvertì l'ufficiale senza gradi con un languido gesto per trattenerli. Si lasciò scivolare leggermente dal tavolo e gli girò intorno, mettendosi di fronte al cappellano con tutt'e due le mani appoggiate sul piano di legno, a palme in giù. La sua espressione era cupa e molto severa, diretta e minacciosa. «Cappellano,» annunciò con la rigidità di un magistrato, «l'accusiamo formalmente di essere Washington Irving e di essersi preso libertà capricciose e non autorizzate nello svolgere l'incarico di censurare le lettere degli ufficiali e dei soldati semplici. E' colpevole o innocente?»
«Innocente, signore.» Il cappellano si passò la lingua secca sulle labbra secche e si piegò in avanti, sedendo sull'orlo della sedia.
«Colpevole,» disse il colonnello.
«Colpevole,» disse il maggiore.
«E allora è colpevole,» osservò l'ufficiale senza gradi, e scrisse una parola su una pagina che era nella cartella. «Cappellano,» continuò, guardandolo negli occhi, «l'accusiamo inoltre di avere commesso reati e infrazioni di cui non siamo ancora a conoscenza. Colpevole o innocente?»
«Non so, signore. Come posso dirlo, se lei non mi spiega di che reati si tratta?»
«Come possiamo spiegarglielo se non lo sappiamo ancora?»
«Colpevole,» decise il colonnello.
«Certo che è colpevole,» fu d'accordo il maggiore. «Se sono i suoi reati e le sue infrazioni, deve essere stato lui a commetterli.»
«E allora colpevole,» proclamò l'ufficiale senza gradi, e si ritirò in un angolo della stanza. «Adesso è tutto per lei, colonnello.»
«Grazie,» lo encomiò il colonnello. «Ha fatto un lavoro magnifico.» Si rivolse al cappellano. «Okay, cappellano, siamo allo scotto. Va' a fare un giretto.»
Il cappellano non capì. «Cosa volete che faccia?»
«Via, battitela, t'ho detto!» ruggì il colonnello, agitando il pollice dietro le spalle, molto irritato. «Fuori di qui, al diavolo!»
Il cappellano rimase sbalordito per quelle parole e quel tono bellicoso, e, con sua sorpresa e perplessità, si sentì profondamente contrariato perché lo lasciavano andare. «Non avete intenzione di punirmi?» domandò in un tono di querula sorpresa.
«Non aver dubbio, mio caro, che ti puniremo. Ma non ti lasceremo stare qui in giro mentre decidiamo come e quando farlo. Perciò vattene. Gambe in spalla.»
Il cappellano si alzò incerto e fece qualche passo. «Sono libero di andare?»
«Per adesso sì. Ma non cercare di lasciare l'isola. Abbiamo il tuo numero, cappellano. E ricordati che ti teniamo d'occhio ventiquattro ore su ventiquattro.»
Non era concepibile che lo lasciassero andare. Il cappellano si diresse guardingo verso la porta, aspettandosi a ogni istante che lo richiamassero con un ordine perentorio o lo bloccassero con un colpo pesante sulle spalle o sul capo. Non fecero nulla per fermarlo. Attraversò i corridoi foschi, umidi, fradici e riuscì a trovare la rampa di scale. Era ansimante e barcollava quando uscì finalmente all'aria fresca. Non appena uscì da quell'incubo, un sentimento invincibile di dignità offesa gli riempì l'animo. Era infuriato, infuriato per le atrocità commesse contro di lui, infuriato come non lo era mai stato in vita sua. Attraversò a passi rapidi l'atrio spazioso e pieno di echi dell'edificio del Quartier Generale di gruppo, in preda a un risentimento bruciante e a un forte desiderio di vendetta. Non avrebbe tollerato oltre una cosa del genere, disse a se stesso, non lo avrebbe più tollerato. Ecco tutto. Quando raggiunse l'entrata, scorse, e fu felice della combinazione, il colonnello Korn che saliva trotterellando, da solo l'ampia scalinata. Armatosi di coraggio ed emettendo un lungo sospiro, il cappellano si avanzò intrepidamente per incontrarlo.
«Colonnello, non ho nessuna intenzione di tollerarlo ulteriormente,» dichiarò con veemente determinazione, e rimase costernato a guardare il colonnello Korn che continuava a salire le scale senza averlo neppure notato. «Colonnello Korn!»
La figura rotonda e alloffiata del suo ufficiale superiore si fermò, si girò indietro e tornò giù trotterellando. «Cosa c'è, cappellano?»
«Colonnello Korn, desidero parlarle a proposito dell'incidente di stamane. E' stata una cosa terribile, veramente terribile!»
Il colonnello Korn rimase silenzioso per un momento, osservando il cappellano con un breve lampo di cinico divertimento. «Sì, cappellano, è stato certamente terribile,» disse finalmente. «Non so come possiamo farne rapporto al comando senza farci una brutta figura.»
«Non è questo che voglio dire,» rimproverò il cappellano fermamente, senza una traccia di paura. «Alcuni di quei dodici ragazzi avevano già finito le loro settanta missioni.»
Il colonnello Korn rise. «Sarebbe stato meno terribile se fossero stati dei ragazzi appena arrivati?» domandò maliziosamente.
Una volta ancora il cappellano si sentì imbarazzato. Una logica immorale sembrava stesse lì pronta per confondergli le idee a ogni occasione. Quando riprese a parlare, era già meno sicuro di sé, e la voce gli tremava. «Signore, non è affatto giusto costringere gli uomini di questo gruppo a compiere ottanta missioni di volo quando quelli degli altri gruppi vengono mandati a casa dopo averne fatte cinquanta o cinquantacinque. «
«Prenderemo la sua osservazione in considerazione,» disse il colonnello Korn con annoiato disinteresse, e cominciò a salire di nuovo. «"Adios, Padre".»
«Questo cosa significa, signore?» insistette il cappellano con una voce che si faceva sempre più acuta.
Il colonnello Korn si fermò con un'espressione dispiaciuta e tornò giù d'uno scalino. «Significa che ci penseremo su, "Padre",» rispose con sarcasmo e disprezzo. «Non vorrà che prendiamo delle iniziative senza pensarci su, non le pare?»
«No, signore, credo di no. Ma lei ci ha pensato su veramente, non è vero?»
«Sì, "Padre", ci abbiamo pensato. Ma per farla felice, ci penseremo su ancora un po', e lei sarà la prima persona che informeremo quando prenderemo una decisione. E ora, "adios".» Il colonnello Korn si girò nuovamente sui tacchi e si avviò di corsa per le scale.
«Colonnello Korn!» Il grido del cappellano fermò di nuovo il colonnello Korn. Il suo capo si girò lentamente verso il cappellano con un'espressione di cupa impazienza. Le parole sgorgarono dalla bocca del cappellano come un nervoso torrente. «Signore, vorrei che lei mi permettesse di parlare della faccenda con il generale Dreedle. Desidero presentare le mie rimostranze al Quartier Generale della compagnia.»
Le guance spesse e scure del colonnello Korn si gonfiarono inaspettatamente, sopprimendo uno sbuffo, e tardò un momento a rispondere. «Faccia pure, "Padre",» rispose con allegria maliziosa, sforzandosi di mostrarsi impassibile in viso. «Ha il mio permesso di parlare col generale Dreedle.»
«Grazie, signore. Credo sia bene che le ricordi che ho qualche influenza sul generale Dreedle.»
«Ha fatto bene ad avvertirmi, "Padre". E credo sia bene che la avverta a mia volta che non troverà il generale Dreedle al Quartier Generale della compagnia.» Il colonnello Korn sogghignò malignamente e poi scoppiò a ridere trionfante. «Il generale Dreedle è stato estromesso, "Padre". E il generale Peckem intromesso. Abbiamo un nuovo comandante di compagnia.»
Il cappellano era sbalordito. «Il generale Peckem!»
«Proprio così, cappellano. Ha qualche influenza su di lui?»
«Perdinci, non conosco nemmeno il generale Peckem,» protestò il cappellano disperato.
Il colonnello Korn rise di nuovo. «E' proprio un peccato, cappellano, perché il colonnello Cathcart lo conosce molto bene.» Il colonnello Korn ridacchiò a lungo assaporando il delizioso trionfo, poi si fermò di colpo. «Tra l'altro, "Padre",» lo minacciò freddamente, puntando un dito contro il petto del cappellano, «sappiamo tutti del trucco combinato da lei e dal dottor Stubbs. Lo sappiamo fin troppo bene che è stato lui a mandarla qui a protestare.»
«Il dottor Stubbs?» il cappellano scosse il capo in allibita protesta. «Io non ho visto il dottor Stubbs, colonnello. Sono stato portato qui da tre strani ufficiali che m'hanno trascinato giù in cantina senza nessuna autorizzazione e mi hanno insultato.»
Il colonnello puntò di nuovo un dito nel petto del cappellano. «Lei sa fin troppo bene che il dottor Stubbs ha messo in giro la voce fra gli uomini della squadriglia che non sono tenuti a compiere più di settanta missioni di volo.» Rise aspramente. «Ebbene, "Padre", essi dovranno compiere più di settanta missioni di volo, poiché stiamo trasferendo il dottor Stubbs nel Pacifico. Così "adios, Padre. Adios".»
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