Di cosa parliamo quando parliamo di "significato"


Nel 1957 Paul Grice con il suo volume intitolato Meaning dà un contributo significativo alla definizione di cosa sia esattamente il "significato" che noi veicoliamo attraverso il linguaggio.  L'importanza della questione non è da sottovalutare: senza porci i quesiti del cosa significa cosa e del come questo avvenga non potremmo rispondere alla domanda che poneva già Locke, ovvero come sia possibile che i pensieri di alcune persone siano trasferiti ad altre persone per mezzo del linguaggio. Il Positivismo, con De Saussure, aveva risposto che ciò avveniva attraverso la produzione di significanti associati a dei significati, scelti dal parlante all'interno di un sistema condiviso chiamato langue.

Per Wittgenstein, non molto dopo, il linguaggio era una sorta di specchio della realtà, e il dicibile linguisticamente trovava un confine nella propria parlabilità nella possibilità di rispondere al criterio vero-falso. Tuttavia, successivamente con la sua teoria dei giochi linguistici il filosofo austriaco sosterrà che il significato dei segni linguistici non dipenderà da altro che dall'uso che se ne farà.

Per Grice l'immagine del linguaggio specchio, con il suo presupposto di esatta corrispondenza tra realtà e ciò che pensiamo e comunichiamo della realtà, non è bastevole per spiegare cosa significa cosa, né lo è la teoria dei giochi linguistici. Uno dei problemi per esempio è che se anche fosse vero che vi sia una esatta corrispondenza tra realtà e linguaggio, nulla giustifica la certezza che la rappresentazione della realtà che abbiamo nella nostra mente e che si forma per via linguistica significhi per tutti la stessa cosa.

Al riguardo Grice distingue tra significati naturali e significati non naturali, attribuendo un reale valore linguistico solo ai secondi. Per il filosofo dire "le macchie rosse sulla tua pelle significano che hai il morbillo" è semanticamente e pragmaticamente scorretto; potremmo dire che nell'interpretazione della frase stiamo attribuendo una volontarietà a quella che semmai è una correlazione involontaria; proprio per questo, sebbene ci sia una evidente correlazione tra macchie rosse e malattia, le prime non significano la seconda. Per Grice quindi il primo criterio per stabilire che qualcosa significa qualcosa è la volontarietà dell'atto comunicativo. Se la frase "le macchie rosse sulla tua pelle significano che hai il morbillo" quindi è di per sé sbagliata, una frase come "il suono della campana significa che abbiamo finito la lezione" è semanticamente e pragmaticamente corretta perché dietro il suono della campana c'è una volontà comunicativa di qualcuno che vuole significare che la lezione è finita; la campana quindi significa qualcosa, e di conseguenza la frase "il suono della campana significa che abbiamo finito la lezione" significa qualcosa. Questa volontà comunicativa di significazione non deve essere per forza espressa esplicitamente, anzi, può addirittura essere una volontà inconscia e quindi inconsapevole.

Se il primo criterio per il processo di significazione è quindi la volontarietà dell'atto comunicativo, esso non è però sufficiente: è infatti del tutto evidente che se il significato dell'atto comunicativo dipendesse dalla sola volontà di significare qualcosa del mittente del messaggio, il messaggio, sebbene portatore di significato, non potrebbe godere della garanzia di essere compreso dai destinatari.

Per questo per Grice, accanto alla volontarietà dell'atto comunicativo, grande importanza ha l'intenzione comunicativa: l'intenzione comunicativa può modificare il significato dei nostri enunciati mettendola in contesto (in questo Grice sembra quindi avvicinarsi alla teoria dei giochi comunicativi di Wittgenstein). Se volessimo fare un esempio che compare nell'opera del filosofo, la domanda "sai che ore sono?" potrebbe ricevere diverse risposte, comprese alcune come "l'autobus è già passato", apparentemente prive di significato, ma che si caricano invece di senso proprio perché lo traggono da una particolare intenzione comunicativa determinata dal contesto in cui si potrebbe svolgere quel dialogo. In questo caso quindi il significato dell'atto comunicativo trascende il significato linguistico (letterale) per trovarne uno nel contesto dell'atto comunicativo. Quindi, per Grice, se il parlante A comunica qualcosa al parlante B, perché ci sia un trasferimento di significato non basta che A voglia significare qualcosa a B, ma è necessario che B riconosca questa volontà e ne colga l'intenzionalità nel contesto. Insomma, alla domanda cosa significa cosa, Grice risponderebbe che il significato è uno stato mentale che vogliamo comunicare e di cui viene colta l'intenzionalità dai nostri interlocutori.

Un'ultima questione sta nel fatto che, come sappiamo, il linguaggio è però arbitrario: non c'è un motivo per cui i fonemi e i grafemi b, a, n, c, o (significante) si debbano per forza riferire all'oggetto fisico (referente) che chiamiamo banco veicolandone il significato. Noi scegliamo di associare un significante ad un significato, ma nello scegliere l'associazione, decidiamo sulla base di un'attesa ragionevole, ovvero che quella scelta possa essere capita (come diceva Saussure, ci muoviamo all'interno di una serie di scelte possibili che sono però generalmente condivise all'interno del sistema che chiamiamo langue).

Quindi, per rispondere a Locke secondo la teoria di Grice, il trasferimenti di significati dal parlante A al parlante B avvengono attraverso degli atti comunicativi volontari di stati mentali, atti comunicativi dotati di una certa intenzionalità riconosciuta dall'interlocutore, compiendo una scelta linguistica dei segni linguistici, ma all'interno delle possibilità determinate dalla ragionevole attesa di condivisione di significanti e significati.

Commenti

Post popolari in questo blog

La sessualità nell'antichità

Alessandro Baricco, Castelli di rabbia

Saggio breve: D'Annunzio, una vita per la bellezza