Lettera ad una professoressa, Lorenzo Milani


Lettera ad una professoressa (1967) di don Lorenzo Milani è un'opera di saggistica che colpisce gli insegnanti che la leggano, oggi come ieri. Colpisce dell'opera la lucida analisi che mette in relazione la dispersione scolastica e condizioni sociali di partenza degli studenti - aspetto tutt'oggi trascurato da molti critici del sistema scolastico -, evidenziando come gli stessi risultati scolastici dipendano spesso dalle condizioni di nascita e dai risultati attesi dagli insegnanti: se oggi anche in Italia si parla largamente di distorsioni della valutazione, di effetto alone, di iperstereotipia e di effetto Pigmalione è anche per l'impatto che l'opera di Milani ha avuto. Ne viene fuori un mondo degli insegnanti che nel nostro paese, ieri, più che ambire a modificare la realtà che lo circondava, ne dava notarilmente conferma: il poverò è ignorante perché il povero è ignorante e non può essere altrimenti.

Gianni è milioni

La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde.

La vostra «scuola dell’obbligo» ne perde per strada 462.000 l’anno.t A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino.

I problemi della scuola li vede la mamma di Gianni, lei che non sa leggere. Li capisce chi ha in cuore un ragazzo bocciato e ha la pazienza di metter gli occhi sulle statistiche.

Allora le cifre si mettono a gridare contro di voi. Dicono che di Gianni ce n’è milioni e che voi siete o stupidi o cattivi.

Ci sarebbe da chiedersi: e oggi? Certamente oggi i dati della dispersione scolstica si sono grandemente abbassati, il legislatore ha imposto che l'obbligo scolastico non sia più di 8 anni ma di 10, ha esteso l'obbligo formativo. Eppure c'è da chiedersi se le stesse distorsioni di sessant'anni fa non agiscano ancora nella valutazione degli insegnanti.  È indubbio che ci siano ancora colleghi che vorrebbero poter urlare all'ignorante che è tale e che tale rimarrà, senza doversi porre le due fatidiche domande: come mai l'ignorante è tale e cosa io che insegno ho fatto davvero per lui. È molto più semplice recriminare contro le ingerenze del sistema, del legislatore, dei genitori, del gender, dei poteri forti...

Va anche detto che non tutto ciò che Milani propone risulta oggi condivisibile: la visione dell'autore è dichiaratamente classista, nel senso che s fonda sulla lotta di classe, messianica e antimoderna. Per Milani le scienze e le arti sono cose inutili, da ricchi, non adatte all'insegnamento nell'età dell'obbligo. Nell'età dell'obbligo vanno forniti esclusivamente saperi "utili". Però Milani esclude in questo modo qualsiasi forma di confronto con l'altro da sé: verrebbe da dire che rinchiude il povero nella stessa prigione da cui lo vuole fare evadere. Riprova ne è l'apprezzamento dell'autore per la scuola del doppio canale. Milani non pensa di dover far raggiungere ai figli dei poveri un sapere superiore, semplicemente perché non riconosce alcuna superiorità al sapere figlio dell'accademia e delle arti. Il sapere che ha in mente Milani è schiacciato sul presente: lui che è figlio di una cultura storicistica sembra abiurare alla necessità della comparazione diacronica.

Comunque sia l'opera è potentissima nella sua parte destruens: si leggano le pagine sull'insegnamento dell'Educazione civica e le si compari con il benaltrismo di tanti colleghi ancora oggi:

educazione civica

Un’altra materia che non fate e che io saprei è educazione civica.

Qualche professore si difende dicendo che la insegna sottintesa dentro le altre materie. Se fosse vero sarebbe troppo bello. Allora se sa questo sistema, che è quello giusto, perché non fa tutte le materie così, in un edificio ben connesso dove tutto si fonde e si ritrova?

Dite piuttosto che è una materia che non conoscete. Lei il sindacato non sa bene cos’è. In casa di un operaio non ha mai cenato. Della vertenza dei trasporti pubblici non sa i termini. Sa solo che l’ingorgo del traffico ha disturbato la sua vita privata.

Non ha mai studiato queste cose perché le fanno paura. Come le fa paura andare al fondo della geografia. Nel nostro libro c’era tutto fuorché la fame, i monopoli, i sistemi politici, il razzismo.

Ancora, si leggano le pagine e pagine sui maestri e le maestre incapaci di mettere in discussione la propria didattica, i propri criteri di valutazione. Milani mette in dubbio il fine stesso della didattica e della valutazione tradizionali:

arrivisti a 12 anni

Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare.

Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro.

Dietro a quei fogli di carta c’è solo l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi stringi il succo è quello.

Per studiare volentieri nelle vostre scuole bisognerebbe essere già arrivisti a 12 anni.

A 12 anni gli arrivisti son pochi. Tant’è vero che la maggioranza dei vostri ragazzi odia la scuola. Il vostro invito volgare non meritava altra risposta.

Ultima nota: quando si dice che Lettera ad una professoressa è libro di Lorenzo Milani si dice un'inesattezza: sono i ragazzi di Milani ad aver scritto l'opera, coordinati dal loro don ormai quasi sul letto di morte. Lettera ad una professoressa è opera di scrittura corale, in cui gli studenti di Milani hanno disseminato le loro competenze e la loro richiesta di chiarezza, dalla scuola, dallo Stato, dal mondo adulto.

Insomma, Lettera ad una professoressa è ancora oggi un libro che colpisce, che mette in discussione l'insegnamento, che scopre la lotta di classe dove non la si vuole vedere, anzi, dove la si vuole nascondere o obliare sotto la distopia del merito.

 

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