Rick DuFer e la valutazione, ovvero i problemi di quando vuoi argomentare su temi su cui non sei preparato
E niente, Rick DuFer ne ha fatta un'altra delle sue
In un suo recente video il filosofo/tuttologo/divulgatore, volto noto dei frequentatori di Youtube e non solo, ha deciso di prodigarsi nel fornirci la sua posizione sulla questione della valutazione a scuola. La sua disamina è a tema: il filosofo vuole dimostrare l'infondatezza della posizione di chi sostiene che i voti a scuola vadano aboliti. Già qui, dalle premesse, addirittura dal titolo, però osserviamo un primo problema: la discussione che verrà portata avanti perr mezz'ora circa nasce da uno strawman argument, un argomento fantoccio. DuFer prende unna posizione complessa e la banalizza in una espressione di facile commercializzazione mediatica, "basta voti!" che in questi termini però nessun docimologo o insegnante propone.
Dai primi minuti della disamina emerge la confusione terminologica in cui DuFer sguazza: valutazione e voto, spesso usati come sinonimi nel video, sono invece cose diverse; allo stesso modo per tutto il video espressioni come "ottimo", "distinto", "sufficiente", o persino "in via di acquisizione", che sono di per sé l'equivalente a parole di un voto numerico, vengono distinti, spacciando i primi come una forma di valutazione descrittiva; in realtà la valutazione descrittiva differisce dal voto perché non solo misura la prestazione, cosa che fa il voto e che nessuna valutazione esclude, anzi, ma ragiona sulla distanza tra obiettivo atteso e risultato espresso, descrive il prodotto e il processo, dà indicazioni per un miglioramento. Il problema che la ricerca docimologica evidenzia da decenni è che la parte educativa della valutazione è la descrizione del prodotto e del processo, non il numero o l'espressione sintetica in sé, che non forniscono indicazioni operative.
Si susseguono di conseguenza nel video semplificazioni o veri e propri strawman argument, come quello secondo il quale chi sostiene la necessità di passare ad una valutazione argomentata voglia abolire la bocciatura: in realtà chi sostiene la valutazione educativa (questo è il nome) ritiene che anzi, proprio perché questa risulta essere maggiormente rigorosa, possa anche condurre alle bocciature, ma che queste non saranno frutto di arbitrio o di esercizio di potere, saranno anzi meglio documentate e motivate. Del resto risulta evidente che quella che spesso nel video viene chiamata valutazione argomentata, semplicemente non è valutazione argomentata. Infatti DuFer confonde la valutazione descrittiva proposta da molti docenti con le espressioni scelte dai burocrati ministeriali per la valutazione nella scuola primaria.
Per sostenere la propria tesi DuFer poi inanella una serie di fallacie logiche che vanno oltre gli argomenti fantoccio già citati, per esempio adopera la fallacia del piano inclinato quando afferma che che sostituire il voto con la valutazione porti all'abolizione delle prove e delle verifiche. E perchè? Come fa a dirlo? Su quali basi? Su quali dati? E come dovrei fare a fornire una valutazione argomentata, fosse anche quella a cui si riferisce, sbagliando, il divulgatore, senza fare prove, verifiche o attività valutative?
Ancora: per tutto il video DuFer continua ad attaccare la posizione di chi vuole una valutazione descrittiva ed educativa a partire da un attacco ad hominem ("vogliono essere i buoni, i simpatici"). E se io valuto in maniera descrittiva e argomentata, e se serve boccio? Basta questo a dimostrare la strategia retorica di DuFer: attaccare le persone che non sostengono la sua tesi, cercare di indurre ragionamenti fallaci per non toccare il nocciolo della questione (di cui si parlerà alla fine). DuFer continua sostenendo che "Sono tutte posizioni ideologiche". Ma dimostralo! Chi accusa di ideologia da che dati parte? Perché, senza dati, allora la visione ideologica è proprio quella di DuFer!
Successivamente DuFer cade più volte in contraddizione: "questo (il tema dell'apprendimento e del benessere degli studenti) non ha a che fare con i voti ma con la formazione degli insegnanti", peccato che saper valutare faccia parte della preparazione e formazione degli insegnanti; "gli studenti non vogliono essere valutati e questo dimostra che valutare serve": in questo caso DuFer adotta un argomento ad populum inverso, tuttavia possiamo evidenziare che questa posizione esprime una visione elitista, che, tra l'altro, può essere facilmente smentita dimostrando che gli alunni vogliono essere valutati, ma che per loro essere valutati non vuol dire essere identificati in un numero ("quello per me è un sette, quella per me è da nove" o altre frasi simili che è normalissimo sentire nelle sale insegnanti delle scuole italiane). Emerge come quella di DuFer sia, legittimamente, una visione della scuola liberale e meritocratica, che vede l'istruzione come una fase della competizione che dovrebbe caratterizzare tutta la vita dell'individuo. Peccato però che DuFer, come si vede, non sia in grado di confutare le critiche a questa visione se non con fallacie e banalizzazioni.
Il divulgatore continua: "i genitori vogliono il voto perché più chiaro". La prima parte dell'argomento sarebbe un argomento ad populum, tra l'altro frutto di una estrema generalizzazione (io sono un genitore, io voglio una valutazione descrittiva, QUINDI non tutti i genitori vogliono il voto numerico). Ma che i genitori vogliano il numero è di per sé normale se è dalla legge Casati che li abituiamo a voti numerici. Ai genitori la valutazione descrittiva va spiegata e vanno coinvolti nel cambiamento di paradigma, meccanismo che è di per sé valido per ogni cambiamento sociale.
DuFer in realtà dice anche cose condivisibili, come quando sostiene che i buoni insegnanti praticano da tempo una forma di valutazione descrittiva. Vero è che la descrizione accanto al voto esisteva, ma come sa chi fa pedagogia sperimentale, nell'attenzione dello studente il numero si mangia la descrizione, per cui il valore educativo della descrizione si perde. Basti vedere l'effetto che ha avuto il registro elettronico con il suo continuo porre all'attenzione degli studenti il voto, le medie. Se, come detto in precedenza, sappiamo che la parte formativa della valutazione è la descrizione dei processi e dei prodotti, è su quello che dobbiamo portare a concentrare l'attenzione. Questo non vuol dire abolire il voto in sé, ma vuol dire trovare strategie che non portino ad avere come fine del processo il voto, bensì l'apprendimento, anche mettendo in subordine il voto.
Una delle questioni più dibattute riguardo alla diatriba voto/valutazione è l'arbitrarietà del giudizio del docente. Su questo tema, nuovamente DuFer cade in contraddizione, infatti sostanzialmente dice di aver fatto esperienza di voti dati in base alla simpatia o alla condivisione delle idee politiche o meno da parte dei docenti nelle scuole che ha frequentato. il problema è che per tutto il video il divulgatore afferma che il voto numerico è chiaro e oggettivo. Come si fa a non osservare la contraddizione dell'affermazione per la quale il voto numerico sia chiaro e oggettivo, sostenendo nello stesso tempo di aver ricevuto voti numerici a simpatia? Costringere il docente ad argomentare il voto esprime anche un'esigenza di rigore nella valutazione e di trasparenza, perché il docente deve poter sostenere e documentare la propria valutazione. Non così con il semplice voto numerico. E se c'è da insegnare ai docenti l'argomentazione, lo si faccia! Invece DuFer sostiene che formare i docenti ad argomentare sarebbe un problema! Ma era proprio DuFer a sostenere che uno dei problemi della scuola era la formazione degli insegnanti! In barba al principio di non contraddizione, qui il divulgatore filosofo ci sta dicendo che la stessa questione è e non è un problema! Al di là dell'illogicità di DuFer, qui invece si sta evidenziando proprio come il voto numerico rischi di essere arbitrario se non è argomentato! A me insegnante di lettere serve a poco sapere se lo studente che arriva dalle medie aveva sei o sette, a me serve sapere se sapeva o no adoperare i connettivi, se conosceva o no l'ortografia, se costruisce o no in maniera adeguata una frase o un periodo, etc. Tutte informazioni che il voto numerico non mi dà, e che proprio per questo può essere assegnato in maniera molto più arbitraria di una valutazione argomentata.
Verso la conclusione il filosofo si appiglia ad un'altra fallacia: "se io anestetizzo il voto sto dicendo che ogni segnale va anestetizzato"; di nuovo una generalizzazione indebita e un piano inclinato. In realtà no, dire che QUELLO specifico segnale, in questo caso il voto numerico, è scorretto o è usato in maniera scorretta non vuole dire contestare ogni segnale possibile, per lo stesso motivo per cui contestare UNA CERTA E SPECIFICA legge non vuol dire contestare l'esistenza delle leggi in sé. DuFer continua poi sostenendo che "lo stress, il giudizio sono cose della vita, come il dolore", e questo dovrebbe dimostrare che dobbiamo formare gli studenti nello stress del voto, perché questo sarebbe formativo. Si tratta di un uso, tra l'altro pietoso, dell'argomento fallace ad naturam (anche le malattie sono naturali, non curiamole!); ma poi, guarda caso, il dolore lo anestetizziamo senza per questo escluderne la valenza.
Dicevamo prima che comunque in tutta la disamina di DuFer manca un elemento dirimente: i dati! Chi sostiene la necessità dell'adozione di una didattica educativa e formativa non lo fa per buonismo, come detto da DuFer (strawman argument), lo fa perché i dati della pedagogia sperimentale dimostrano che funziona meglio e che limita le distorsioni valutative, comunque esistenti, ma più frequenti con una semplice valutazione numerica. La visione di DuFer, priva di fondamenti fattuali, risulta essere ideologica, figlia di una visione della scuola che divide fra salvati e dannati, che nega l'impatto del contesto sociale, che afferma la necessità di una selezione senza volersi chiedere in che misura quella selezione sia arbitraria. E ci sarà un motivo se fra gli ospiti preferiti di DuFer c'è Boldrin. Peccato, soprattutto per un divulgatore che dice di fare della buona argomentazione e della confutazione delle fallacie logiche la propria battaglia.
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