Una postilla ad un articolo de L'Espresso


Il 28 febbraio L'Espresso pubblica un articolo, ben scritto e ben informato, titolato Che disastro una società che si accontenta di appunti e dispense. Perché trova i libri troppo faticosi; la tesi dell'articolo è tutto sommato ben condensata nel titolo: lo sviluppo argomenta come oggi 4 studenti universitari su 10 arrivino alla laurea senza aprire un manuale universitario, fondando il proprio apprendimento su altri medium, quali appunti e slide. L'articolo, attraverso vari interventi, preconizza una parcellizzazione e un impoverimento del sapere, in favore di un apprendimento più rapido, confortante, ma in fin dei conti non strutturato. L'articolo si chiude con un appello ad abbracciare la complessità del sapere e a valorizzarla.

Alle giuste considerazioni esposte, mi permetto di aggiungere una postilla, che non mi pare ben approfondita: tutto quello che è argomentato nel pezzo pubblicato da L'Espresso è vero, ma è anche vero che oggi noi chiediamo agli studenti di conoscere, complessivamente, una mole di informazioni tra le più disparate più ampia rispetto al passato, in un numero di saperi più numeroso rispetto al passato, e gli chiediamo di farlo negli stessi tempi a cui erano sottoposti i loro genitori o i loro nonni; quegli stessi studenti a cui quindi chiediamo di sapere di più sono al contempo sempre soggetti ad una società di adulti ipercompetitiva che li giudicherà e catalogherà per ogni ritardo o defaiance nelle prestazioni. È quindi comprensibile come si sviluppi una forma di difesa, che forse noi stessi, al di là di ogni idealizzazione della conoscenza, adotteremmo se fossimo al posto degli studenti di oggi: se il mondo adulto mi chiede di  fare quello che non è stato capace di fare alla mia età, perché devo farlo secondo le sue regole e il suo giudizio? Forse quindi dovremmo anche darcelo il tempo per leggere i libri, e darlo agli studenti, dilatare i tempi dell'apprendimento, riconoscere che la complessità richiede tempo, collaborazione, non competizione e ansia; forse dovremmo smettere di instillare perenne pressione negli studenti di oggi, non solo indignarci perché non studiano come vorremmo, e come non abbiamo fatto però realmente a nostro tempo.


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