Un controverso articolo sulla storia della letteratura italiana


In questi giorni ha suscitato un discreto dibattito un articolo, pubblicato su Il Post, titolato Storia tossica della letteratura italiana. Va precisato che in realtà l'articolo, a firma Lorenza Pieri e Michela Violante, è un post di uno dei blog ospitati dal giornale online, ma sui quali la redazione sostiene di non avere potere decisionale né di correzione o discussione dei contenuti.
Ciò premesso, l'articolo fa una carrellata sui principali autori canonici nella letteratura italiana insegnata nelle nostre scuole, mettendone in evidenza un atteggiamento sostanzialmente sessista e semplificatorio nei confronti della figura femminile. Da Dante a Pirandello, agli occhi delle autrici dell'articolo, praticamente nessuno dei nostri autori canonici e innocente dal ritrarre la figura femminile secondo due stereotipi, quello della donna angelo e quello della donna diabolica e tentatrice. In ogni caso, la donna o è oggetto, o se è soggetto, lo è perché malvagia. E a questo punto dell'analisi, qui ulteriormente semplificata, sorgono i problemi. Perché sé è vero che le autrici hanno sostanzialmente ragione, è vero pure che hanno torto nel mancare di storicizzazione degli autori e delle opere citate.
L'articolo si muove su un terreno molto scivoloso: da un lato il problema della letteratura canonizzata a scuola, e dell'assenza delle autrici e di una visione femminile nello studio della nostra letteratura; dall'altro lato il rischio di apparire adepti della "cultura della cancellazione", etichetta buona per additare chiunque metta in discussione lo status quo.
Penso che l'articolo finisca per svilire un tema che invece c'è, ovvero quello della rappresentazione della donna nella nostra letteratura canonizzata a scuola e, più ancora, l'assenza delle voci femminili nel canone. Svilisce perché per trattare un tema del genere, come evidenziato da molti, c'è bisogno di prendersi tutt'altro spazio di approfondimento e di farlo con altri metodi e parole (anche se capisco la posizione di Lorenza Pieri, che parla di autocensura se, per paura di scrivere in maniera sgradita ai più di questi temi, si finisce semplicemente per non parlarne per questioni "strategiche"). Come da molte parti si osserva, a furia di ipersemplificazione si finisce per dire sonore fesserie antistoriche.
Poi però è anche vero che molte reazioni all'articolo non arrivano sul merito di quanto sostenuto, in malo modo, ma riguardano l'atto in sé, la messa in discussione del canone: basterebbe sondare quanti commenti hanno immediatamente etichettato articolo e giornale con la definizione "woke", etichetta che fa comodo, come "cancel culture", per identificare in maniera spregiativa ogni forma di messa in discussione dello status quo culturale.
Quindi, per concludere, non difendo l'articolo in sé, invero mediocre, ma difendo la necessità di mettere in discussione l'approccio critico e la forma della trasmissione della letteratura, almeno a scuola. Non sostengo che gli autori citati vadano censurati, ma che vadano storicizzati, e che si smetta di idealizzarne i contenuti (ancora in queste settimane abbiamo letto esimi editorialisti sostenere che non ci sia bisogno di educazione affettiva, che basti l'esempio della grande letteratura), e che, come sempre dovrebbe fare la buona critica, si problematicizzi.

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