Il dibattito sul cadavere di Giulio Cesare, due orazioni a confronto nell'opera di Shakesepare
Nel Giulio Cesare di Shakespeare, rappresentato per la prima volta in un non ben definito arco di tempo che potrebbe andare dal 1598 al 1601, il drammaturgo inglese mette in scena uno dei più bei esempi di dibattito della storia della letteratura mondiale. La fonte di Shakespeare sono con ogni probabilità le vite di Cesare, di Bruto e di Antonio nelle Vite parallele di Plutarco (utilissimi approfondimenti sono rintracciabili per esempio sul blog del prof Ghiselli).
Nella scena II dell'atto III si alternano nel foro di Roma Bruto e Antonio: il primo espone alla popolazione le ragioni dell'azione dei tirannicidi; il secondo controbatte con l'obiettivo di causare una rivolta contro i nuovi possibili dominatori di Roma.
Leggiamo il testo (nella versione pubblicamente accessibile edita da Liber Liber)
BRUTO –
Romani, miei compatrioti, amici,
io vi chiedo pazienza;
ascoltatemi bene fino in fondo,
e restate in silenzio,
e vi esporrò la causa del mio agire.
Sul mio onore, credetemi,
ed abbiate rispetto del mio onore;
giudicatemi nella saggezza vostra,
e a meglio farlo aguzzate l'ingegno.
Se c'è alcuno fra voi
ch'abbia voluto molto bene a Cesare,
io dico a lui che l'amore di Bruto
per Cesare non fu meno del suo.
Se poi egli chiedesse perché Bruto
s'è levato con l'armi contro Cesare,
la mia risposta è questa:
non è che Bruto amasse meno Cesare,
ma più di Cesare amava Roma.
Preferireste voi Cesare vivo
e noi tutti morire come schiavi,
oppur Cesare morto, e tutti liberi?
Cesare m'ebbe caro, ed io lo piango;
la fortuna gli arrise, ed io ne godo;
fu uomo valoroso, ed io l'onoro.
Ma fu troppo ambizioso, ed io l'ho ucciso.
Lacrime pel suo amore,
compiacimento per la sua fortuna,
onore al suo valore,
ma morte alla sua sete di potere!
C'è alcuno tra voi che sia sì abietto
da bramare di viver come servo?
Se c'è, che parli, perché è lui che ho offeso!
Se alcuno c'è tra voi che sia sì barbaro
da rinnegare d'essere un Romano,
che parli, perché è a lui che ho fatto torto!
E chi c'è qui tra voi di tanto ignobile
da non amar la patria? Se c'è, parli:
perché è a lui ch'io ho recato offesa.
[...] Vuol dire allora che nessuno ho offeso.
Ho fatto a Cesare non più di quello
che ciascuno di voi farebbe a Bruto.
Le ragioni per cui Cesare è morto
son tutte registrate in Campidoglio;
la sua gloria, dov'egli ne fu degno,
non è stata offuscata, né i suoi torti
per i quali ebbe morte, esagerati.
Il discorso di Bruto, breve, è un discorso che vuole essere razionale, pretende di non incorrere nell'emotività (pur blandendola). Tuttavia, per alcuni motivi che verranno evidenziati, specialmente nelle sue premesse esso è più debole di quel he può apparire
La tesi del discorso di Bruto è che sia stato giusto uccidere Cesare e che di conseguenza i suoi uccisori non vadano perseguiti, anzi. Per sostenere questa tesi Bruto introduce un'argomentazione che farà da premessa alle altre: Bruto è persona onorevole e quindi è degno di essere creduto. Ma perché Bruto è onorevole? A guardar bene Bruto non ce lo dice, anzi, quello che si realizza è un vero ragionamento circolare: Bruto è onorevole perché credibile, ed è credibile perché onorevole.Romani, amici, miei compatrioti,vogliate darmi orecchio.Io sono qui per dare sepolturaa Cesare, non già a farne le lodi.Il male fatto sopravvive agli uomini,il bene è spesso con le loro ossasepolto; e così sia anche di Cesare.V'ha detto il nobile Bruto che Cesareera uomo ambizioso di potere:ed egli gravemente l'ha scontata.Qui, col consenso di Bruto e degli altri– ché Bruto è uom d'onore,come lo sono con lui gli altri –io vengo innanzi a voi a celebraredi Cesare le esequie. Ei mi fu amico,sempre stato con me giusto e leale;ma Bruto dice ch'egli era ambizioso,e Bruto è certamente uom d'onore.Ha addotto a Roma molti prigionieri,Cesare, e il lor riscatto ha rimpinzatole casse dell'erario: sembrò questoin Cesare ambizione di potere?Quando i poveri han pianto,Cesare ha lacrimato: l'ambizioneè fatta, credo, di più dura stoffa;ma Bruto dice ch'egli fu ambizioso,e Bruto è uom d'onore.Al Lupercale – tutti avete visto –per tre volte gli offersi la coronae per tre volte lui la rifiutò.Era ambizione di potere, questa?Ma Bruto dice ch'egli fu ambizioso,e, certamente, Bruto è uom d'onore.Non sto parlando, no,per contraddire a ciò che ha detto Bruto:son qui per dire quel che so di Cesare.Tutti lo amaste, e non senza cagione,un tempo... Qual cagione vi trattieneallora dal compiangerlo? O senno,ti sei andato dunque a rifugiarenel cervello degli animali bruti,e gli uomini han perduto la ragione?Scusatemi... il mio cuore giace lànella bara con Cesare,e mi debbo interromper di parlarefin quando non mi sia tornato in petto.[...] Ancora ieri, la voce di Cesareavrebbe fatto sbigottire il mondo:ed ei giace ora là,e nessuno si stima tanto bassoda render riverenza alla sua spoglia.Oh, amici, fosse stata mia intenzioneeccitare le menti e i cuori vostrialla sollevazione ed alla rabbia,farei un torto a Bruto e un torto a Cassio,i quali sono uomini d'onore,come tutti sapete.Non farò certo loro questo torto;preferisco recarlo a questo ucciso,a me stesso ed a voi,piuttosto che a quegli uomini onorevoli.Ma ho qui con me una pergamena scritta,col sigillo di Cesare;l'ho rinvenuta nel suo gabinetto:è il suo testamento.Se solo udisse la gente del popoloquello ch'è scritto in questo documento– che, perdonate, non intendo leggere –andrebbe a gara a baciar le feritedi questo corpo, e a immergere ciascunoi propri lini nel suo sacro sangue;e a chiedere ciascuno, per reliquia,un suo capello, di cui far menzionein morte, per lasciarlo in testamento,prezioso lascito, ai suoi nipoti.[...] Gentili amici, no,siate pazienti, non lo debbo leggere.Non è opportuno che voi conosciatefino a che punto Cesare vi amasse.Non siete né di legno, né di pietra,ma siete uomini, e, come uomini,sentendo quel che Cesare ha testato,v'infiammereste, fino alla pazzia.È bene non sappiateche suoi eredi siete tutti voi,perché, se lo sapeste,oh, chi sa mai che cosa ne verrebbe![...] Davvero non volete pazientare?Non volete aspettare ancora un po'?Ho trasgredito a me stesso a parlarvene.Fo torto, temo, agli uomini d'onorei cui pugnali hanno trafitto Cesare.
Il discorso di Antonio esordisce con una considerazione, apparentemente simile ad una delle considerazioni di Bruto: Cesare fu amico fidato e giusto di Antonio. Se guardiamo bene Bruto aveva affermato di aver amato Cesare: Antonio afferma di essere stato amato come amico da Cesare. Tuttavia, attraverso l'uso sempre più evidente dell'arma retorica dell'ironia e del sarcasmo, Antonio dice che Bruto deve avere ucciso Cesare giustamente per l'ambizione del tiranno, ma inizia a porci il sospetto che la realtà stia esattamente nel rovescio di questa affermazione. A questo punto seguono una serie di evidenze, portate da Antonio, che hanno come scopo dimostrare quanto Cesare non fosse ambizioso e quanto operasse per il bene pubblico, e di conseguenza, quanto Bruto sia poco credibile e quinti tutt'altro che onorevole. Cesare avrebbe arricchito Roma portando una grande quantità di schiavi e ricavandone per la città grandi compensi con i riscatti; Cesare avrebbe mostrato la propria empatia verso i poveri e, potendo essere nominato re, per ben tre volte aveva rifiutato la corona. Tutto ciò, attraverso la negazione del contrario, permette ad Antonio di dimostrare come Cesare non fosse stato ambizioso, spuntando la giustificazione dell'omicidio condotto dai tirannicidi Bruto e Cassio.
Antonio poi ragiona su come l'amore per Cesare fosse condiviso dall'intera cittadinanza, e su come questo amore fosse giustificato, tanto da dover pensare che il mancato lutto e la mancata rabbia dei cittadini Romani si possa giustificare solamente con uno smarrimento del senno collettivo. Cesare infatti amò i propri cittadini, e a riprova sta il fatto che a loro ha lasciato la propria eredità, come sancito nel suo testamento. Qui Antonio infiamma gli animi con la reticenza nel dire, nel fornire dettagli; solletica il sentimento collettivo, le speranze su quanto è contenuto nel testamento, nonché la rabbia nei confronti degli assassini.
Antonio fa ampio uso della retorica, della captatio benevolentiae, della negazione del contrario, dell'ironia e del sarcasmo, ma a differenza di quello di Bruto, il discorso di Antonio colpisce l'emotività anche attraverso una struttura che costruisce un climax, con al suo apice la scoperta del testamento, l'asso nella manica in mano al collaboratore di Cesare.
A questo punto, sempre attraverso l'ironia, diviene scoperta la confutazione di ciò che era stata la premessa del discorso di Bruto, la sua onorabilità: nella frase gli uomini d'onore i cui pugnali hanno trafitto Cesare abbiamo l'esito finale, l'accusa agli assassini, i quali per aver ucciso un uomo benemerito e tutt'altro che ambizioso per forza non sono autorevoli come sostengono, e di conseguenza non sono neanche credibili, anzi, sono meritevoli della condanna e della rivolta che Antonio sta cercando di fare montare.
Antonio vince il confronto: un po' perché ha un'arma da giocarsi, il testamento, che Bruto ignora; un po' perché lui ha potuto dimostrare anziché convincere; un po' perché anche nel convincere l'amico di Cesare è stato superiore al figlio del dittatore, più lineare nella costruzione, più capace di toccare le corde dell'emotività, più sagace nell'usare la retorica.
Antonio vince, i tirannicidi sono costretti alla fuga: la strada per la fine della Repubblica è aperta.
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