Il silenzio, Don DeLillo

 


Nel 2020, ancora in piena emergenza pandemia, Don DeLillo pubblica Il silenzio, opera che evidentemente risente di quanto sta accadendo nel mondo. Cinque personaggi si alternano e si incrociano. I primi sono Jim Kripps e Tessa Berens che vengono colti da un'improvvisa emergenza mentre sono in volo: improvvisamente l'aereo su cui si trovano è costretto ad un atterraggio d'emergenza a causa dello spegnimento di tutti i dispositivi digitali. Intanto nell'East Side di New York Diana Lucas, Max Stenner e Martin Dekke li attendono a casa per un evento mondiale, la finale del Superbowl; poco prima della partita lo schermo della televisione diviene nero, la catastrofe è planetaria, il digiale è morto, funziona solamente la tecnologia analogica.

I cinque personaggi, che riescono alla fine a ricongiungersi, si alternano in domande, supposizioni, angosce e teorie. Ne emergono alcuni aspetti chiave: DeLillo descrive la società digitalizzata come in procinto di una zombificazione, che rimane inerme e inerte di fronte agli schermi neri. Una società che accetta il cambiamento antropologico figlio del cambiamento tecnologico senza chiedersi cosa e come stia avvenendo. Una società egoriferita, di gente che non vive nella società. Tutti sono presi di mira: l'uomo medio deluso dalla vita, che di fronte all'emergenza cerca uno sfogo per le sue delusioni, come Diane:

 Voglio riprendere a insegnare, voglio tornare in classe, parlare con i miei studenti dei principî della fisica. La fisica di questo, la fisica di quest’altro. La fisica del tempo. Il tempo assoluto. La freccia del tempo. Tempo e spazio. Voglio citare, e poi mi taccio, una frase a caso da Finnegans Wake, libro che sto leggendo a sprazzi, qua e là, da un tempo che definirei immemore. Questa frase è rimasta al sicuro nell’apposita sacca della mente dove si conservano le parole. Prima che il sockson luccasse le dure. Ho ancora un’ultima cosa da dire. A me stessa stavolta. Taci, Diane.

Ma anche gli intellettuali e il loro mondo di dubbi egoriferiti, incarnati da Tessa:

 Io scrivo, penso, consiglio, fisso nel vuoto. È naturale in momenti come questo pensare e parlare in termini filosofici, come alcuni di noi stanno facendo? Oppure dovremmo avere un atteggiamento piú pragmatico? Qualcosa da mangiare, un luogo dove stare riparati, amici, tirare lo sciacquone, se possibile? Tendere alle cose fisiche piú semplici. Toccare, percepire, mordere, masticare. Il corpo alla fine fa di testa sua.

Tuttavia le teorie del più geniale dei personaggi, Martin, che cercano di spiegare gli accadimenti, sono lo specchio di un'altra fetta di società, speculare comunque alla comunità descritta negli altri personaggi; quella di Martin è la popolazione che vede il complotto ovunque, paranoica, luddista, vittima a sua volta di bias cognitivi che ne caratterizzano il ragionamento narcisistico:

– Nessuno vuole chiamarla Terza guerra mondiale, ma è di questo che si tratta, – dice Martin.

e poi ancora  

 E le strade, queste strade. Non ho bisogno di guardare fuori dalla finestra. La folla ormai dispersa. Le strade ormai vuote.

Questo è quanto dice il giovane Martin, lo sguardo rivolto verso il basso tra le dita a ventaglio.

– Il mondo è tutto, l’individuo niente. L’abbiamo capito tutti, questo?

A tutti si contrappone Max, ingenuamente pragmatico. L'unico che osa uscire dalla stanza per andare a vedere cosa davvero sta accadendo fuori, e che torna poi a fissare lo schermo in attesa che qualcosa accada:

Max non ascolta. Non ha capito niente. Sta seduto davanti al televisore con le mani intrecciate sulla nuca, i gomiti all’infuori.

E poi fissa lo schermo nero.


 Mi sembra evidente che Il silenzio sia un romanzo della pandemia. Non perché parli della pandemia da Covid19 in sé, ma perché analizza e mette allo scoperto paure e idiosincrasie emerse negli anni dopo il 2019. La paura di rimanere totalmente soli senza nemmeno il digitale a garantirci un aggancio con il mondo fuori, e la scoperta di essere sempre stati soli; la scoperta che competenze e conoscenze profondissime ma settoriali non garantiscono affatto la capacità di analisi di avvenimenti del tutto inaspettati e fuori dalla nostra portata; la scoperta di quanto il rapporto con la realtà sia filtrato dalle tecnologie che adoperiamo dalla notte dei tempi; la scoperta, infine, di quanto i nostri comportamenti siano spesso egoriferiti, e di come un'emergenza globale ci faccia scoprire la nostra esigenza di essere individui nel momento in cui è più evidente il nostro esistere solo in quanto collettività.

Stilisticamente l'opera si può dividere in due sezioni: la prima, narrativa, che mette in scenda l'accadimento; la seconda dialogica e riflessiva, che analizza i personaggi alla luce degli accadimenti. Soprattutto nella seconda parte, in cui accanto al dialogo fanno da padrone il monologo e il monologo interiore, DeLillo appare più didascalico; lì dove all'autore, pur sempre un peso massimo della letteratura, servirebbe la capacità di essere massimamente analitico, di essere un David Foster Wallace, o di essere massimamente tragico, di essere un McCarthy, per intenderci, in entrambi casi a mio giudizio DeLillo non riesce. È come se l'esigenza di esprimersi dell'autore, in questi casi, abbia superato la necessità di lavorio letterario e di scavo che l'opera avrebbe richiesto.

Ugualmente Il silenzio, romanzo breve, è un'opera di cui si può consigliare la lettura come esempio eccezionale di analisi contemporanea di un'esperienza altrettanto contemporanea ed eccezionale, come quella che la nostra generazione ha vissuto negli ultimi anni.

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