La valutazione che educa. Liberare l'insegnamento dalla tirannia del voto, Cristiano Corsini
Se siete degli insegnanti una delle questioni con cui sicuramente avrete avuto a che fare nel corso degli anni è quella della valutazione. Fuori dal mondo della scuola la questione della valutazione si riduce allo stereotipo dei giovani smidollati che non reggono più lo stress del voto, e del resto come potrebbero, piccole caprette ignoranti che ogni anno fanno sempre peggio alle prove INVALSI, tanto che ormai sarebbe da attendersi un 150% di studenti partecipanti alle prove al di sotto dei livelli minimi di comprensione di qualsiasi cosa. Come si può capire dal tono della premessa, questi però sono stereotipi (o meglio ancora, scemenze).
In realtà la questione del se e come valutare è dibattuta da almeno un secolo. Su questo argomento Cristiano Corsini cerca di fare chiarezza sul senso e sul modo della valutazione a scuola. E sin dall'inizio Corsini chiarisce che l'atto di valutare è un atto di gesione del potere, di conseguenza chi compie questo gesto deve essere consapevole della natura arbitraria di questo gesto e delle sue implicazioni.
Vengono così introdotti concetti come quelli della "valutazione dell'apprendimento" vs la "valutazione per l'apprendimento", vengono esaminate diverse tipologie di valutazione, chiarendo la differenza tra voto e valutazione: l'uno è strumento della valutazione (pur essendo stesso atto valutativo e arbitrario), l'altra è l'atto di dare valore al prodotto assegnato allo studente e realizzato dallo studente. Si dimostra quindi come l'equiparazione tra semplice assegnazione di un voto numerico ed una valutazione non solo non sia in grado di fornire riscontri positivi atti a migliorare le prestazioni, ma divenga strumento distorsivo atto a gerarchizzare e mantenere le distanze nelle prestazioni, favorendo una costruzione distopica sbandierata come meritocratica.
Le prassi della valutazione così come tramandate dalla tradizione senza messa in discussione vengono scardinate, per esempio mettendo in luce diverse tipologie di distorsioni valutative generate dalla stereotipia, dall'effetto alone, dall'effetto pigmalione, etc. Il volume chiarisce come e quando una valutazione può essere considerata valida, avendo presente che in una valutazione per l'apprendimento occorre fornire dei feedback utili per colmare la distanza tra i risultati attesi e i risultati raggiunti dagli studenti.
Si giunge quindi alla disamina delle prove standardizzate internazionali, come le prove OCSE e IEA, e di quelle INVALSI, evidenziandone limiti e utilità: se queste prove possono essere utili ad esaminare lo stato generale della scuola italiana e a conoscere i livelli raggiunti in alcune abilità e in alcune conoscenze, esse, al contrario della vulgata meritocratica, non sono in grado di valutare competenze, costrutto complesso e non valutabile attraverso singole prove, specie se caratterizzate dalla struttura a risposte chiuse.
Si analizza quindi la differenza tra prove oggettive, prove tradizionali e valutazione autentica, anche in questo caso segnalando pregi e difetti delle diverse tipologie, senza voler demonizzare, ma allo stesso tempo senza avallare acriticamente una tradizione molto incline a rifiutare i concetti e i costrutti provenienti dalla pedagogia a favore della retrotopia per cui "una volta la scuola funzionava meglio" e che quella fantomatica scuola non avesse bisogno della pedagogia e delle sue competenze, bastassero l'esperienza e conoscere la disciplina d'insegnamento.
Il libro La valutazione che educa. Liberare l'insegnamento dalla tirannia del voto è quindi un testo consigliatissimo, sia per gli insegnanti alle prime armi, sia per quei docenti che vogliono mettere in discussione una tradizione nata con l'industrializzazione e canonizzatasi fra inizi del '900 e ventennio fascista, tradizione che sta sempre più stretta, che mostra i suoi fortissimi limiti e che non ha mai davvero contribuito al miglioramento degli apprendimenti e alla mobilità sociale dei giovani studenti italiani.
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