Di Jakobson, dell'arte e dei suoi fraintendimenti nella cultura popolare - o della bruttezza del Sanremo 2023

 



Diceva Roman Jakobson, spiegando il sistema della comunicazione, che questo si fonda su componenti imprescindibili, senza i quali, semplicemente non comunichiamo, pur avendone magari l'illusione. Al centro del sistema della comunicazione troviamo il messaggio, al quale si associa la funzione poetica del linguaggio - le altre funzioni sono la funzione referenziale (riferita al contesto), la funzione emotiva (riferita al mittente), la funzione conativa (riferita al destinatario), la funzione fàtica (riferita al contatto, o canale), la funzione metalinguistica (riferita al codice) -.

Se è in un certo punto della comunicazione, quindi, che riusciamo a rendere il processo di produzione di comunicazione una forma d'arte, questo punto sta nel messaggio stesso. Non per niente poesia è una parola di origine greca, da ποίησις, derivata dal verbo ποιέω, che in greco vuol dire "creare". Il ποιητής è quindi creatore.

Questa premessa ci aiuta a svelare e a chiarire un arcano della produzione artistica. Per cominciare, la produzione artistica non si realizza nell'esclusiva esigenza di esprimere, parlare di sé. Non basta quindi che l'artista abbia la necessità e la volontà di esprimere qualcosa del suo io che sente di dover tirare fuori. In un certo senso, anche la forma artistica più soggettiva ha bisogno di una forma di riconoscimento sociale (fosse anche la sua critica). Nel momento in cui produciamo arte questa deve smettere di appartenere all'io per diventare qualcosa che riguarda un noi. Se l'arte non arriva ad un destinatario che sia in grado, prima o poi, di coglierla, anche solo per disconoscerla, essa semplicemente non è arte. Deve quindi arrivare in un percorso condiviso ad un destinatario, per farlo deve coinvolgerlo, deve parlare di un mondo valoriale e di idee condiviso, deve farlo attraverso dei canali e dei codici in comune.

Tutto ciò tuttavia non basta ancora a fare arte: se in primo luogo l'esigenza di parlare di sé non basta, e questa si deve tradurre in un parlare a "noi" di "noi", dove noi intende un gruppo sociale più o meno esteso che riconosce e si riconosce nell'opera, perché si produca un'opera l'artista deve avere qualcosa da dire. Il messaggio è fondamentale, è qui che si realizza il parlare di noi a noi. Ci avviciniamo all'arte se riusciamo a fare questo, partire dall'io per parlare ad un noi di qualcosa che ci riguarda, ci seduce, ci fa paura, ci dona speranza, ci fa provare emozioni, etc.

Ma perché dalla buona produzione artigianale si passi all'opera d'arte occorre un passaggio successivo. Dicevamo che è ποιητής il creatore perché la poesia, l'arte in genere, è creatrice di mondi. Anche quando non sembra dir nulla, la vera arte genera mondi, dà voce a ciò che non ha voce. L'arte è capace di creare un destinatario, di generarlo lì dove ancora un noi esiste in potenza ma non sa di esistere; è capace di creare un nuovo linguaggio, è capace di generare nuovi referenti, un nuovo contesto è capace di generare nuova riflessione su se stesssa. L'opera di bottega, la maniera dell'arte è capace di passare dal parlare di sé al parlare di noi a noi, ma il capolavoro artistico travalica il dato per generare nuove possibilità artistiche. Per fare questo non basta quindi l'esigenza della parola, dell''espressione: occorre la tecnica, la prassi, lo studio, la cesellatura. Non basta voler parlare di sé, ma occorre avere qualcosa da dire; non basta avere qualcosa da dire, ma occorre saperlo dire.



Troppo spesso nella cultura popolare si confondono la funzione emotiva (il parlare di sé) con la funzione poetica (la capacità creativa della comunicazione e della comunicazione artistica). Un esempio è la spazzatura musicale dei festival come per esempio, non me ne voglia il grande pubblico, Sanremo. Poche volte le canzoni della musica leggera possono ambire al divenire opera d'arte: il più delle volte esse sono espressione dell'irrompere del sé, artisti che non fanno altro che parlare di se stessi a se stessi per qualche minuto e nell'arco di qualche anno di carriera; in alcuni casi le canzoni riescono a divenire espressione del sentire di una generazione, di un noi condiviso. Ci sono inni generazionali che non supereranno la vita della generazione che le ha vissute, ma che per quelle persone hanno rappresentato e rappresentano un sentire condiviso, una fase della vita che tutti si è attraversati assieme. Solo in rarissimi casi le canzoni (ma il discorso varrebbe per ogni opera che voglia essere artistica) sono realmente opere d'arte, schiudono mondi, permettono ad un pubblico di scoprire idee, sentimenti, valori, paure, linguaggi, che non sapeva di possedere o di poter possedere; pochissime volte quelle canzoni sono generatrici di mondi. Attenzione: la questione non riguarda solo il saper cantare (che pure ha una certa importanza), ma riguarda, come si capisce da quanto detto, il saper andare oltre il proprio io, il possedere la capacità di empatia nei confronti degli altri, l'intuizione di realtà, di idee, di valori, di paure, sentimenti, emozioni, parole e codici ancora non esplorati e fecondi, l'abilità tecnica del sapersi avvalere di quei codici e di quegli strumenti. Cose che, soprattutto le ultime, erano a volte assenti nelle serate di Sanremo in maniera a tratti imbarazzante.

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