La meritocrazia come cancro della società
Di recente in Italia si è tornato a parlare tanto, e spesso a sproposito, di merito. Come ad alcuni è noto, il concetto di merito è effettivamente citato nella nostra Costituzione. Invece non compare la meritocrazia, che è a tutti gli effetti una distopia comparsa qualche tempo dopo la promulgazione della nostra legge fondamentale.
Riguardo alla meritocrazia, mi sento di affermare che essa è un cancro per la società moderna. Mi si obietterà che non si possono escludere la valutazione e la premialità del merito, perché il merito infatti consente di valorizzare le competenze alte in settori specialistici. Tuttavia criticare la meritocrazia non vuol dire negare il merito, infatti si può riconoscere il merito, specificando che l'aver acquisito merito in settori specialistici non vuol dire essere ontologicamente meritevoli, come persone, o l'esserlo in toto e per sempre. Uno dei rischi dela meritocrazia è infatti noto come sindrome Dunning-Kruger, ovvero la tendenza a sopravvalutare le proprie competenze: l'essere meritevole e preparato in un certo settore finisce per convincermi e convincere di essere meritevole e preparato sempre e comunque, cosa evidentemente non probabile né plausibile (né augurabile). Del resto criticare la meritocrazia vuol dire ipotizzare che non sempre è necessario o utile favorire la competizione: riconoscere il merito, infatti, presuppone anche riconoscere i demeriti, e distinguere fra meritevoli e non meritevoli finisce per gerarchizzare, stigmatizzare, favorire la competizione sulla collaborazione.
Del resto dalla rivoluzione cognitiva il nostro sviluppo si è fondato sulla capacità di collaborare, più che sull'emergere di singoli individui meritevoli: la nostra società si è fondata sulla possibilità di collaborare con cerchie sempre più estese di persone, di non essere in perenne competizione con gli individui sconosciuti con cui, anzi, collaboriamo anche solo indirettamente, senza averli mai visti in viso o conoscendone il nome; inoltre non esiste il merito individuale senza un sostrato collaborativo che consente lo sviluppo, la fruizione e la diffusione dell'azione del "meritevole"; del resto storicamente, anche solo guardando al Novecento, le società contemporanee che più hanno tentato di valorizzare il merito in chiave meritocratica sono state quelle che hanno creato maggior diseguaglianza sociale (gli USA di Reagan, lo UK di Thatcher); nel passato quando la competizione fra le élite è divenuta patologica, ovvero tesa all'emersione dei singoli e improntata sull'incapacità di generare una collaborazione interclasse e fra più classi sociali, essa ha generato la morte dello stato: si guardi alla crisi della democrazia ateniese nel IV secolo a. C. o alla crisi della repubblica romana nel I secolo a. C.. Tutto ciò porta a dire che uno stato che voglia essere totalmente meritocratico spinge ad una competizione estrema, eliminando il sostrato collaborativo, con strumenti come brevetti o i segreti industriali, a causa della mancata collaborazione fra le accademie e i centri di ricerca, della competizione fra le scuole e i centri di formazione anziché la condivisione delle buone pratiche, con la competizione per accaparrarsi fondi e personale qualificato, lasciando sempre più indietro i territori e i centri svantaggiati, con la concentrazione sulla valorizzazione del singolo anziché sul miglioramento collettivo.
In più una società fondata sull'esasperazione del concetto di merito presuppone una visione miope, perché non osserva la discriminante sociale, l'essere nato nel luogo giusto e nella famiglia o nel ceto sociale giusto, non osserva la discriminante temporale, l'essere nel posto giusto nel momento giusto, non osserva persino l'azione della pura casualità. Insomma la meritocrazia non assomiglia a nessuna legge sociale ed evolutiva conosciuta da Darwin ad oggi. Così facendo la meritocrazia finisce per alimentare le diseguaglianze anziché contrastarle: infatti nella società meritocratica risulta meritevole chi statisticamente parte da una condizione di partenza favorevole, e così facendo, come detto, la meritocrazia finisce per stigmatizzare e introiettare sull'individuo mancanze che spesso sono semmai della società.
Progressiva eliminazione del sostrato collaborativo che ogni società sottintende; discriminazioni sociali che, lungi dal combattere, la meritocrazia genera; introiezione sul singolo individuo di mancanze della società. Per tutto questo la meritocrazia, intesa come tensione patologica verso la valutazione, legittimazione e premiazione di un merito, statisticamente del resto poco significativo e confinato agli interessi e alle valutazioni delle classi sociali dominanti, per tutto questo, si diceva, la meritocrazia appare un cancro anziché una cura per i mali della società. Non un farmaco, bensì un veleno, da evitare, pena la morte della società stessa.
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