Un po' di cose su educazione e formazione dette in questa campagna elettorale



Durante questa orrenda campagna elettorale diverse cose sono state dette e scritte su educazione e istruzione. Ho preso un po' di appunti, per commentare e vedere cosa ci sia di sensato  nei programmi e o nei proclami dei diversi partiti.

Cominciamo da Letta: al meeting di Rimini, e non solo lì, il leader del PD ha proclamato la necessità di far iniziare l'obbligo scolastico a tre anni, ovvero dall'asilo. Al meeting di Comunione e liberazione sono partiti i fischi, ugualmente la proposta è stata criticata dal mondo cattolico (proposta sovietica, queste le parole usate da Carfagna di Azione). Sempre Carfagna fa notare la carenza di asili nido al meridione: peccato che la proposta del PD non riguardi i nidi, la scuola materna, ma proprio la scuola dell'infanzia, gli asili, quella che precede la scuola primaria, le elementari. Già oggi circa l'89% dei bambini frequenta la scuola dell'infanzia, si tratterebbe di portare questo dato al 100% con spese totalmente a carico dello Stato; la ratio della proposta sta nel fatto che diverse ricerche internazionali mettono in relazione migliori risultati di apprendimento nel tempo con una precoce scolarizzazione: in sostanza, se inizi la scuola a sei anni e hai compagni di classe che hanno iniziato ad essere scolarizzati prima, è probabile che nel lungo periodo loro andranno meglio. Ma le proteste sorte contro la proposta del PD dicono tante cose: intanto, che la nomenclatura moderna degli ordini scolastici è per molti materia confusa, fermi ancora alla scuola gentiliana; inoltre le proteste, giunte dal mondo conservatore, ignorano il beneficio sociale della diffusione degli asili, ovvero il consentire alle donne di svincolarsi dall'accudimento mattutino dei figli per poter lavorare, nonché la più facile integrazione di figli e genitori stranieri. Non per niente Carfagna fa notare che sei donne su dieci al Meridione non lavorano, come se ciò sia una cosa naturale, invertendo l'ordine dei fattori: forse sei donne su dieci al Meridione non lavorano anche perché la loro ricerca è limitata dalla necessità di accudire la famiglia, soprattutto se non hanno a disposizione una forte rete di supporto data dal welfare familiare.

Sulla stessa linea della proposta di Letta è quella di Civati di Possibile: obbligo scolastico dai 3 ai 18 anni, nonché diffusione del tempo pieno (40 ore di scuola settimanali) non solo alla scuola primaria (elementari) ma anche alla secondaria di primo grado (le scuole medie, per intenderci). Di nuovo, la proposta parte dagli studi sui benefici di una precoce scolarizzazione, nonché sui benefici sul piano occupazionale e dell'integrazione sociale.  Si consideri che il tempo pieno alla primaria dove già esiste è un grande strumento di inclusione sociale, perché permette ad entrambi i genitori di lavorare, mentre lì dove con dei figli molto piccoli la scuola finisce alle 12:30 o alle 13:00, di fatto uno dei due genitori non può avere un lavoro se non part-time oppure bisogna ricorrere per forza al welfare familiare, cioè nonni o altri parenti che non è detto che ci siano sempre. Inoltre il tempo pieno se è fatto bene è un grande strumento di parificazione tra gli studenti, perché, almeno in teoria, nelle ore pomeridiane gli studenti dovrebbero essere accompagnati nello svolgimento dei compiti loro assegnati, ma questo accompagnamento viene fatto insieme ai loro stessi insegnanti, quindi gente preparata per farlo; invece, dove non c'è il tempo pieno, sono i genitori a dover accompagnare gli studenti nello svolgimento dei compiti pomeridiani, e, nel caso di famiglia dal basso livello di istruzione, nel caso degli stranieri non alfabetizzati o non ancora alfabetizzati nella lingua italiana o nel caso di genitori lavoratori questo non è sempre possibile, e in questo modo già dalle elementari si inizia a creare il divario tra le famiglie economicamente e culturalmente di un livello più alto che possono quindi sostenere i figli e accompagnate nello studio, e le famiglie di tenore economico più basso o di livello socio culturale più basso, che invece non possono accompagnare i figli nello studio adeguatamente.

A queste proposte ha risposto il leader della Lega Salvini chiedendosi: "Ma perché uno a 16 anni, che vuole andare a lavorare, deve essere costretto ad andare a scuola? Perché un bambino di 4 anni deve essere costretto ad andare all'asilo statale?". Ovviamente i quesiti posti d Salvini sono falsi problemi, formulati in modo da compiacere un pubblico che ha già un'idea dell'istruzione ben definita, così come dell'educazione. Alle domande comunque si potrebbe rispondere con altre domande: "perché uno di 16 anni deve poter scegliere e uno di 14 no? O uno di 13? E perché non a 10 anni? Il punto non è l'età, ma a cosa pensiamo serva un sistema di istruzione, se questo sia in antitesi o complementare (o addirittura preliminare) all'ingresso nel mondo del lavoro e persino alla cittadinanza; semplicemente Salvini pensa che studiare per qualcuno sia una perdita di tempo, e che non ci sia motivo per smentire questo preconcetto. Per quanto riguarda l'asilo, la proposta del PD non obbliga alla scelta di un asilo statale, anzi propone il finanziamento pubblico anche per la scelta dell'asilo privato, ma propone l'obbligo a 3 anni perché questo genera un vantaggio per il singolo bambino e per la società, a meno che non si pensi che avere cittadini istruiti sia un problema. Sempre Salvini poi ci ha deliziati con la seguente dichiarazione "Adesso purtroppo qualche genitore se arriva il figliolo a casa con la nota vanno a chiedere conto alla maestra, c’è un po’ da insegnare rispetto ed educazione, lo dico in terra di alpini, anche reintrodurre un anno di servizio militare e servizio civile per i nostri ragazzi un po’ di educazione lo reintrodurrebbe nel nostro paese". Al di là del merito della questione, Salvini si esprime come i miei alunni di prima superiore, per intenderci, come uno che ha a stento le competenze linguistiche per superare l'esame di terza media, e pure male. Nel merito, tra l'laltro, Salvini non centra l'obiettivo: l'obbligo del servizio militare o civile può avere tanti vantaggi, in primis quello di obbligare almeno una volta nella vita il maschio italico ad un controllo andrologico, ma non ha nulla a che fare con l'acquisizione di una maggiore o minore, migliore o peggiore educazione, a meno che Salvini non intenda per educazione una forma estremistica di indottrinamento verso certo tipo di valori...

Rimanendo sul tema, Giorgia Meloni ha di recente detto che FDI combatterà le devianze giovanili come anoressia, bulimia, obesità, bullismo attraverso la valorizzazione dello sport e della cultura. È chiaro che Meloni ha quanto meno sbagliato i termini con cui ha posto la questione devianze. Ha usato il termine devianze per riferirsi a patologie. Ora, uno le devianze in un certo senso se le sceglie, c'è un margine di autonomia, almeno agli inizi, se scegli o no di assumere certi tipi di comportamenti antisociali, per esempio. Le patologie no, le patologie ti affliggono come individuo, al di là di risultare poi un peso anche per il resto della società. Il problema è che le devianze le "rieduchi", le patologie le curi, e neanche tutte, perché alcune sono croniche. In generale, passare da patologie a devianze implica la colpevolizzazione del "deviato" (non per niente per molti devianza e depravazione sono sinonimi). Ancora sul tema istruzione, Meloni propone l'abolizione dei giudizi alla primaria e il ritorno al voto numerico. Questa scelta sottintende una concezione competitiva e meritocratica, dove con meritocrazia si intende una distopia, anziché un'idea collaborativa di scuola. Come dice il docimologo Corsini, il voto numerico è falsamente oggettivo, non mi dice nulla di educativo, serve solo a creare gerarchie. Al contrario una valutazione descrittiva aiuta l'alunno a capire cosa funziona e cosa no nella sua prestazione. Il numero aiuta a confermare uno status quo, la valutazione descrittiva ha come obiettivo la trasformazione del reale.

Sempre sul tema educazione, Calenda ha proposto il liceo obbligatorio per tutti. Il problema della proposta di Azione è che, anche se in buona fede, è profondamente classista. Intanto perché fa una classifica dei saperi, gerarchie che assomigliano a quelle degli studi medievali. Poi perché non ci si rende conto che la presenza degli istituti tecnici e professionali ha come obiettivo pratico, oltre a quello di fornire una valida istruzione, impedire una dispersione scolastica che altrimenti sarebbe altissima, costringendo gli alunni verso studi per cui non si sentono portati o motivati. Stesso discorso vale per i percorsi PCTO: personalmente non mi piacciono, spesso mancano di una vera finalità educativa; ma dove questi percorsi sono ben pensati, essi forniscono strumenti educativi validi nonché la possibilità di motivare agli studi degli alunni che altrimenti facilmente abbandonerebbero ogni forma di istruzione.

Infine, un bonus, non strettamente legato alla questione scuola e istruzione, ma in generale attinente al tema dei valori in campo: nella faccenda di Meloni e del video dello stupro le cose da attenzionare sono più di una. La prima, la noncuranza nei confronti del dolore della vittima, data in pasto allo stupro due volte attraverso la visione pubblica della sua aggressione. Ma poi ci sono altre cose: perché proprio quel video? Perché l'aggressore era straniero, un richiedente asilo; ma anche perché la vittima era straniera, una slava, una che, nell'ottica dello stereotipo italico, tutto sommato a certe cose deve aver fatto il callo, per cui che problema c'è a dare il video in pasto ad internet. Il problema che pone Meloni non è lo stupro di una donna in quanto tale, ma che in Italia certe cose gli stranieri non devono farle; se poi l'ottantacinque per cento degli stupri è commesso da italiani, ecco, quelli non contano, e comunque ci sono vittime e vittime: quelle italiane valgono più di altre.

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