Musk è un imprenditore del XIX secolo
Elon Musk: da alcuni venerato, da altri temuto. Più probabilmente frainteso.
L'ultima uscita di Musk contro lo smartworking è solo l'ennesima conferma rispetto a quanto serpeggia nella mente di molti.
“Chiunque desideri lavorare da remoto, deve essere in ufficio per un minimo (e intendo *minimo*) di 40 ore a settimana o lasciare Tesla”,"
Infatti negli ultimi anni Musk se ne è uscito sempre più frequentemente con posizioni che ne hanno radicalmente mutato il profilo pubblico. Se per anni Musk è apparso quale l'innovatore tecnico che realmente è, a questa immagine è stata, probabilmente a sproposito, associata l'idea del Musk progressista. La realtà dei fatti pare invece dire altro.
È infatti di pochi giorni fa l'attacco alla celebrazione del mese dell'orgoglio LGBTQ,
che segue l'attacco a Netflix per i suoi contenuti, giudicati eccessivamente di sinistra (con un termine che nel vocabolario dell'estrema destra americana risulta particolarlmente spregiativo, "woke"). Del resto è nota l'avversione di Musk per la cultura liberale e inclusiva, nonché per la pratica di un uso politicamente corretto della lingua.
Che Elon Musk abbia un'alta opinione di sé è cosa ovvia: basti pensare a come dispensa consigli a governi e a popolazioni intere, come la raccomandazione data agli italiani a fare più figli, la sua pretesa di risolvere il problema dell'inquinamento o di essere l'unico ad aver capito come vada difesa la libertà d'opinione. Il problema è che ad ogni posizione espressa da Musk corrisponde la difesa di un privilegio.
Per esempio, la giusta ambizione a sostituire i mezzi di trasporto a combustibili fossili con sistemi a motore elettrico, si accompagna alla pretesa necessità di eliminare il trasporto pubblico: bus, metropolitane, tram, sono dei pesi, dei fardelli per Musk, ed il motivo è evidente: limitano le vendite delle sue auto e quindi la possibilità di fare businness.
La libertà di parola che Musk difende è la libertà di parola di chi si vede oggi contestati i privilegi e non tiene minimamente in conto di chi correrebbe più rischi dall'azione dell'imprenditore, ovvero le comunità intrinsecamente deboli e scarsamente difese. Non per niente l'acquisizione di Twitter da parte di Musk riceve il plauso di Donald Trump e dei gruppi di destra o estrema destra americani, mentre è temuta dai gruppi più marginalizzati e, se privi di difesa, privi anche di una voce pubblica, come le minoranze etniche, religiose, politiche o di orientamento sessuale. La libertà di parola che Musk difende è la libertà del forte di sbraitare contro il debole. Tra l'altro, dando in mano all'uomo più ricco al mondo, e a chi lo sostiene politicamente, i dati e la privacy di una platea di utenti enorme.
Ma che Musk abbia negli ultimi anni sempre più avvicinato le proprie posizioni a quelle del partito repubblicano a guida Trump è evidente osservando i comportamenti tenuti da Testla e dal suo ceo nel bel mezzo dell'epidemia da Covid19. Musk, critico nei confronti delle politiche messe in atto per contrastare la diffusione della pandemia, ha ricalcato sulla questione le peggiori fake news diffuse da Donald Trump e dal partito repubblicano; l'imprenditore ha apertamente contestato e violato le restrizioni all'apertura delle fabbriche di beni non essenziali o limitatamente essenziali, minacciando prima, e realizzandolo poi, lo spostamento della sede dell'unica fabbrica americana di Tesla dalla California (stato a guida democratica) verso il Texas (stato a guida repubblicana), in barba alla crescente all'epoca preoccupazione per il diffuso contagio. Ma che per Musk la produzione venga prima delle condizioni di sicurezza dei propri dipendenti risulta evidente dalla violazione del lockdown imposto dalla Cina a Shangai per l'insorgenza di nuovi focolai di Covid: in questo caso Musk ha sostanzialmente costretto i propri dipendenti a risiedere in fabbrica pur di non sospendere le attività produttive.
Questa visione della politica di Musk si traduce, nell'ultimo anno, in una serie di tweet molto controversi. Ad aprile l'uomo più ricco del mondo ha aperto le danze con un meme decisamente contestabile che, secondo lui, dovrebbe spiegare lo spostamento a sinistra del partito democratico.
Tuttavia, come notato da molti osservatori, quanto sostiene da Musk (e immeditamante ripreso da tanti suoi adoratori, ad esempio in Italia Matteo Renzi) è semplicemente scorretto nel metodo e nel merito.
Anche al netto dell’iperbole ricercata per ottenere l’effetto comico, la vignetta condivisa da Musk è «semplicemente sbagliata» nella sua comprensione di come gli Stati Uniti siano cambiati negli ultimi anni, ha scritto il giornalista Philip Bump sul Washington Post. Se si tiene conto di alcuni indicatori che prendono in considerazione gli orientamenti delle persone scelte durante le riunioni dei dirigenti dei partiti (i caucus) e poi elette al Congresso, ha scritto Bump, la realtà è abbastanza chiaramente l’opposto di quanto presentato nella vignetta di Musk. I maggiori cambiamenti hanno interessato il Senato, dove dall’inizio del 2009 sono stati eletti tra i Repubblicani senatori mediamente più conservatori, più di quanto dalla parte opposta fossero progressisti i senatori Democratici.
A questo tweet è poi seguito la dichiarazione di voto di Musk (nel bel mezzo della comrpaventita di Twitter).
Torniamo però al punto di partenza del post: Musk contro lo smartworking. Nel suo attacco al lavoro da remoto Musk intraprende una via decisamente diversa rispetto ad altre grandi compagnie americane, giustificando la scelta con la premessa - più un postulato non dimostrato che una verità - che solo Tesla fra le grandi aziende stia producendo reale innovazione, e che l'innovazione non si realizza con "sole" 40 ore di lavoro a settimana. Ora, che tutto questo sia un discorso fortemente ideologizzato, non necessità neanche di dimostrazione. Ma c'è un di più: sostanzialmente Musk fonda il suo attacco allo smartworking sull'idea che questa pratica induca a battere la fiacca. Eppure negli ultimi due anni la crescita di Tesla, sia nella produzione che nel valore, è stata enorme. Una crescita impossibile se davvero, come si sostiene, in azienda si fosse battuta la fiacca. Forse occorrerebbe strappare il velo retorico che, come abbiamo osservato, spesso copre le azioni dell'imprenditore: a Elon Musk semplicemente non piacciono i diritti dei lavoratori (e i diritti delle minoranze in genere). Se i suoi manager, i suoi creativi non avessero lavorato in smartworking, come si sostiene, Tesla non sarebbe diventata leader mondiale nel settore proprio nel periodo in cui più si è diffusa la pratica. Certo, i bene informati in realtà sostengono che l'avviso riguardi più i manager e i dirigenti di Twitter, quelli più contrari all'acquisizione, proprio perché Twitter aveva concesso al 100% lo smartworking: si tratterebbe quindi di un vero e proprio repulisti nell'azienda che più ha contestato il modello di libertà d'espressione e di businness di Musk (e che per questo lui acquisisce). Che il lavoratore in smartworking stia su YouTube anziché lavorare è un pregiudizio, che o viene provato o è diffamatorio. Se Musk ha le prove che i suoi manager lo hanno "preso in giro", li deve licenziare, perché semplicemente il patto fiduciario non c'è più; se invece la produttività di Tesla non è calata, o addirittura è aumentata con lo smartworking, la sua richiesta dimostra che il patto fiduciario non c'è mai stato, che lui sta tracciando una linea netta tra il padrone e i dipendenti, tra chi decide e chi subisce le decisioni. Entrambe le strade comunque mostrano che quella del legame affettivo-fiduciario con l'azienda è più una forma di retorica aziendale che una realtà. Musk in realtà qui mescola il legittimo desiderio del datore di lavoro di creare profitto con le manie di controllo. Peggio, lo fa giocando su un non meglio spiegato senso di appartenenza (il patto fiduciario e sentimentale che, come dimostrato, in realtà serve a nascondere un patto fondato su termini contrattuali che o sono o non sono) che il lavoratore dovrebbe provare verso l'azienda. Sul senso di appartenenza, addirittura sulla gratitudine (gratitudine per cosa? Il lavoro non è grazia ricevuta, è un reciproco scambio di prestazioni e mezzi di lavoro: qui siamo ad una concezione seicentesca e preindustriale dei rapporti lavorativi) etc: queste sono strategie che hanno un solo obiettivo, legittimare retoricamente e in maniera emotiva le richieste del datore di lavoro (tipo il senso di appartenenza verso l'azienda e la gratitudine verso il megadirettore generale di Fantozzi), perché o al senso di appartenenza corrisponde una messa in comune degli utili e dei mezzi di produzione, o dal miglioramento delle prestazioni aziendali il datore di lavoro guadagna i profitti e il lavoratore guadagna pacche sulle spalle. Quando infatti si stabilisce un rapporto di lavoro il datore di lavoro patteggia una prestazione da una persona in base a competenze dichiarate e/o possedute. Anche perché, altrimenti, il discorso meritocratico tanto caro al liberismo verrebbe meno. L'appartenenza, il sentimento, queste sono strategie retoriche che non c'entrano davvero con quello che accade. (Questo non esclude che io possa o meno avere fiduca o stima per il mio datore di lavoro, così come possa disprezzarlo: il punto è che io lavoro per un datore di lavoro che mi mette in condizione di lavorare bene e guadagnare il dovuto, e il datore di lavoro dovrebbe giudicare il mio lavoro a prescindere da pregiudizzi). Certo è che l'imprenditore nel fare impresa rischia il proprio capitale, ma nel medesimo rappporto di lavoro il dipendente rischia la sua fonte di reddito, spesso l'unica in una famiglia, comunque rischia la fame.
La visione ch Musk ha del mondo è una visione elitista, come quando sostiene che università e scuole non servano e che basti cercare informazioni in rete, senza considerare la funzione sociale della scuola. Occorre essere chiari quando si parla dell'uomo più ricco al mondo come uno dei fari del progresso del pianeta: dalla vicinanza alle posizioni transumaniste, passando per la feroce critica dei diritti dei lavoratori e delle minoranze, Musk rappresenta un deciso passo indietro nel mondo dell'imprenditoria, ricordando piuttosto uno di quei ricchi imprenditori della fine del XIX secolo, appartenenti alle ricchissime famiglie che si spartivano l'attività industriale nell'Occidente e nelle colonie. Un uomo che confonde progresso e carità, elemosina con assistenza sociale, per il quale l'attività produttiva viene sempre e comunque prima dei suoi lavoratori, e per cui la critica alla propria visione del mondo è un pericolo all'unica libertà d'opinione e parola che gli interessi, la sua.
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