I sette a Tebe, Eschilo
G. Silvagni, Eteocle e Polinice
Rileggere l'opera Omnia di Eschilo dopo 2500 anni dalla sua stesura può risultare a tratti disarmante: è quello che succede per esempio leggendo tragedie come I sette contro Tebe o Le supplici, indubbiamente fra le opere di gusto e stile più arcaico fra quelle dell'autore. Nella prima di queste tragedie, opera legata al ciclo tebano (il cui eroe più conosciuto, per diversi motivi, è forse Edipo) assistiamo alla lotta tra i due fratelli, figli del personaggio che troverà grande successo nel ciclo sofocleo,cper il diritto al governo della città di Tebe, ereditato direttamente dal padre attraverso la sua maledizione. Difatti la tragedia di Edipo e prima ancora di suo padre si trasmette ai suoi figli che finiranno per uccidersi a vicenda in battaglia, lasciando solo alle sorelle il compito di piangerli mentre già si affaccia sul soglio del governo della città la figura di Creonte. In questa tragedia risulta chiaro come per Eschilo sia indiscutibile l'ereditarietà delle colpe all'interno della famiglia, questione che troverà una soluzione solamente nelle tragedie di Agamennone e Oreste. Lo stile ed il gusto, come dicevo, fanno di questa tragedia un'opera minore agli occhi del lettore o dello spettatore moderno, e tuttavia è innegabile la potenza dello spirito tragico che inebria i due protagonisti vicendevolmente convinti delle proprie ragioni, fino alla descrizione ultima della loro morte in battaglia.
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