Ma quindi, come sta andando a scuola?




Se volessimo partire dal titolo del post, dovremmo onestamente dire che non c'è una risposta unica e definitiva. Decliniamo quindi il ragionamento: occorrerebbe dire una volta per tutte che fare scuola nella scuola dell'infanzia non è la stessa cosa che fare scuola alla primaria, men che meno alla secondaria di primo grado o addirittura nella secondaria di secondo grado; per questa ragione, pensare di poter applicare le stesse regole in tutto l'enorme mondo della scuola pubblica ha poco senso.
Se guardiamo alla scuola dell'infanzia o della primaria, probabilmente potremmo dire che il ritorno alla scuola in presenza sta funzionando. C'è anche da dire che nella scuola dell'infanzia non è previsto distanziamento degli alunni, cosa che contribuisce a ridurre la sensazione di straniamento dei bambini e a dare una parvenza di normalità in una situazione oggettivamente anormale.  Rimane il fatto che per gli adulti, educatori e maestre che lavorano in queste scuole, la gestione dell'aula, soprattutto nel caso in cui gli alunni non possiedano o non abbiano portato con sé i materiali scolastici, a volte risulta difficoltosa. 
Tuttavia, sebbene la didattica in presenza per queste fasce di età sia praticamente l'unica prevista, va anche detto che, nel caso di impossibilità di frequenza da parte dei bambini, anche solo perché in attesa di tampone o in isolamento cautelare, non esiste nessuno strumento codificato per il coinvolgimento nelle attività: in soldoni, se l'alunno è a casa con la famiglia, e non per sua scelta  o scelta della famiglia, è lasciato da solo.
Nella scuola secondaria la situazione si complica: nel primo grado viene, ancora, previsto dalle scuole quasi esclusivamente il ricorso alla didattica in presenza; questa scelta nasce dal fatto che gli alunni di quest'età non sono ancora abbastanza autonomi per lavorare da remoto da casa, inoltre, essendo ancora nella scuola dell'obbligo, risulta particolarmente grave la difficoltà nel raggiungere a distanza gli alunni potenzialmente più fragili perché già vittima di digital divide o, più in generale, perché in condizioni socio-culturali precarie. Dall'altro lato però gli studenti della secodaria di primo grado sono a volte fruitori dei mezzi pubblici locali, per cui, potenzialmente più a rischio dei bambini più piccoli (che comunque potrebbero essere compagni di scuola in istituti comprensivi) e statisticamente più impegnati in attività extrascolastiche o in una vita sociale più attiva rispetto agli alunni della primaria. Insomma, alle medie, malgrado l'obbligo di distanziamento (spesso difficilmente perseguibile) e di mascherine in situazione statica (più un concetto astratto che la realtà dello svolgimento di una lezione) la situazione si complica e così le condizioni di pericolo aumentano.
Nella scuola secondaria di secondo grado le cose cambiano: molte scuole, soprattutto fra i licei, hanno scelto l'alternanza fra frequenza a distanza e  in presenza o lo smezzamento delle classi. Questa scelta si giusitifica con la maggiore autonomia degli studenti, le maggiori competenze informatiche e, nel caso degli alunni oltre i 16 anni, nel superamento dell'obbligo scolastico e quindi il venir meno degli obblighi della scuola in merito alla dispersione scolastica. C'è poi da dire che nell'esperienza dell'anno scolastico passato, è in quest'ordine scolastico che la didattica a distanza ha dato i migliori risultati, tanto è vero che è fra i docenti e gli studenti di  quest'ordine che è più diffusa la richiesta di un ritorno, totale o parziale, alla didattica a distanza. C'è poi da dire che gli alunni di queste scuole sono anche quelli potenzialmente più a rischio, sia perché di età più avanzata (numerosi studi dimostrano che l'incidenza del contagio da Covid sia molto superiore fra i ragazzi vicinoi ai 18 anni rispetto ai bambini) sia perché socialmente più attivi, e infine perché i maggiori fruitori dei mezzi pubblici locali e interprovinciali. Tuttavia nel caso di queste scuole rimangono diversi scogli che emergeranno durante l'anno scolastico: per le scuole professionali e tecniche la difficoltà di gestire l'accesso ai laboratori, spesso aule non abbastanza capienti per l'accesso di una intera classe in presenza; se si considera che in una giornata una classe può trascorrere in un laboratorio professionale anche quattro ore, decidere lo smezzamento della classe per la frequenza del laboratorio vuol dire o raddoppiare il numero di laboratori impegnati (spesso non disponibili nelle scuole) o impegnare in una giornata un singolo laboratorio esclusivamente per una classe. Entrambe le soluzioni, per gli istituti tecnici e professionali con molti iscritti sono situazioni che creano un cortocircuito nell'organizzazione scolastica difficilmente risolvibile. D'altro canto, il passaggio alla didattica a distanza esclude a priori la possibilità di svolgere le attività pratiche nei laboratori. Un secondo nodo che emergerà nel corso dell'anno sarà lo svolgimento dei PCTO, l'alternanza scuola lavoro, per cui scuole e aziende dovranno garantire lo svolgimento in condizioni di assocluta sicurezza per gli studenti, sempre sperando che improvvisse impennate dell'andamento dei contagi non ne impediscano lo svolgimento. Molte scuole si stanno attrezzando per far svolgere i PCTO prima possibile, ma questo ha delle conseguenze sulla didattica: se si considera che il primo mese di scuola è stato impiegato dalla gran parte dei docenti per riprendere, come da indicazioni ministeriali, quanto fatto l'anno scorso a distanza, e tenuto conto che molti alunni andranno in PCTO già dalla metà di ottobre o da novembre, in alcune classi i docenti si troveranno a poter concretamente svolgere il proprio programma da dicembre o addirittra da gennaio, situazione particolarmente grave per le classi terminali.
Rimanendo sulla didattica, occorre dire una cosa: è esperienza di molti insegnanti la sensazione di una didattica castrata. Al di là dei casi di Covid e delle chiusure improvvise, in classe spesso si lavora male. Dover avere sempre la testa a mantenere le distanze, l'insegnante che si può muovere solo intorno alla cattedra o, meglio, dovrebbe trascorrere tutte le sue ore seduto senza muoversi (infatti le ultime indicazioni delle aziende sanitarie prevedono sempre per il docente una distanza obbligatoria di due metri dagli studenti, per cui, un eventuale contagio del docente sarebbe una sua responsabilità dovuta ad un comportamento scorretto in classe); il dover evitare in ogni modo lo scambio di materiali con gli studenti (è vero che il CTS dice che non c'è problema negli scambi di materiali se ci si disinfetta le mani, ma le indicazioni burocratiche poi dicono altro), i quali non possono avvicinarsi alla lavagna, stare sempre sul chi va là sui sintomi degli alunni; la didattica digitale integrata con gli alunni a casa e i docenti a scuola con connessioni wifi scolastiche che non reggono il carico, audio incomprensibile, lavagne impossibili da leggere attraverso lo schermo, sono tutte condizioni per cui si può affermare che, allo stato attuale, spesso si fa male scuola. 
Mentre l'anno scorso è stata data ai docenti la possibilità di sperimentare medotologie e tecniche innovative nella didattica a causa di una circostanza che nessuno si sarebbe mai augurato e mai si augurerà di rivivere, quest'anno si ha l'impressione di tornare indietro alla scuola di 100 anni fa. Tra l'altro senza poter meglio aiutare gli alunni in difficoltà, date le condizioni dette in cui deve lavorare l'insegnante. 
In conclusione, non c'è un modo per tenere aperte le scuole che possa funzionare per tutti e in tutte le condizioni, e la gestione delle scuole risulta particolarmente complessa anche in ragione della retorica che ha accompagnato la riapertura delle scuole. La riapertura delle scuole come edifici scolastici (dato che gli insegnanti non hanno mai smesso di fare scuola, sebbene a distanza) ha portato a condizioni difficilmente gestibili. Si aggiunga il perdere tempo nel potenziare i trasporti pubblici da parte delle regioni e dei comuni, specie quelli governati dall'opposizione al governo nazionale, per capire come l'apertura degli edifici scolastici porti con sé problemi che non possono essere risolti con slogan populisti come "gli studenti vogliono stare a scuola" o "le scuole sono in sicurezza". In entrambi i casi si tratta di ipersemplificazioni che dicono solo una parte della verità e che ci raccontano un mondo che parla di scuola, ma che si occupa pocco e male del bene della scuola e di chi ci sta dentro nonché della reale funzione e del reale funzionamento dell'istituzione.

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