Rileggere Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, ora
Rileggere Sostiene Pereira nel 2020, a quasi trent'anni dalla sua pubblicazione, può risultare quasi anacronistico rispetto ai ritmi del consumo letterario contemporaneo. Eppure il romanzo, uno dei veri classici della nostra letteratura recente, mantiene una sua attualità nella misura in cui la narrazione di Tabucchi, anche nell'affrontare un tema storico spinoso come quello del sorgere delle dittature nazionaliste nell'Europa degli ani Trenta, ha la capacità di spaziare su più piani, stilistici, tematici, culturali.
Il continuo refrain del "sostiene Pereira", che fornisce anche il titolo al romanzo, è il primo fra questi elementi, se non il più evidente. Scritto in pieno Postmondernismo, Sostiene Pereira deve fare i conti conn la frantumazione della realtà, la perdità dell'oggettività: e così, di fronte a fatti che appaiono infinitamente più grandi e complessi rispetto al protagonista, un giornalista in pensione e ormai lontano dalla conoscenza della realtà che lo circonda, non è possibile conoscere oggettivamente il reale; e tuttavia qualcosa rimane, l'autorevolezza di una fonte, Pereira, che anche di fronte alla morte, il convitato di pietra che aleggia sempre fra le pagine del romanzo, persino quando crede di essere in balia degli eventi, cerca di mantenere una superiore lucidità.
C'è la letteratura e soprattutto il discorso sulla letteratura, in Sostiene Pereira: sull'attualità della letteratura come arte, sul riuso nel tempo degli autori, e sul bisogno di una letteratura che sia d''impegno, che si batta per il mantenimento della civiltà, che non tema di alzare la voce di fronte alle storture, che sia coraggiosa. Da questo il confronto contiuo e costante nel romanzo tra una letteratura, quella francese, avvertita come coraggiosa e capace di lottare, e quella portoghese, o meglio, quella che la dittatura portoghese vuole patrocinare, celebrativa di un passato glorioso e volta esclusivamente al culto nazionalistico e razzista. Ci sono poi i giudizi sferzanti, come quello della ricorrenza su D'Annunzio:
Esattamente cinque mesi fa, alle otto di sera del primo marzo 1938, moriva Gabriele D'Annunzio. In quel momento questo giornale non aveva ancora la sua pagina culturale, ma oggi ci sembra venuto il momento di parlare di lui. Fu un grande poeta Gabriele D'Annunzio, il cui vero nome per inciso era Rapagnetta? È difficile dirlo, perché le sue opere sono ancora troppo fresche per noi che siamo suoi contemporanei. Forse converrà piuttosto parlare della sua figura di uomo che si mescola con la figura dell’artista. Innanzitutto fu un vate. Amò il lusso, la mondanità, la magniloquenza, l'azione. Fu un grande decadente, dissolutore delle regole morali, amante della morbosità e dell'erotismo. Dal filosofo tedesco Nietzsche desunse il mito del superuomo ma lo ridusse a una visione della volontà di potenza di ideali estetizzanti destinati a comporre il caleidoscopio colorato di una vita inimitabile. Fu interventista nella grande guerra, convinto nemico della pace fra i popoli. Visse imprese bellicose e provocatorie come il volo su Vienna, nel 1918, quando lanciò manifestini italiani sulla città. Dopo la guerra organizzò un'occupazione della città di Fiume, dalla quale fu successivamente sloggiato dalle truppe italiane. Ritiratesi a Gardone, in una villa da lui chiamata Vittoriale degli Italiani, vi condusse una vita dissoluta e decadente, segnata da amori futili e da avventure erotiche. Guardò con favore al fascismo e alle imprese belliche. Fernando Pessoa lo aveva soprannominato 'assolo di trombone', e forse non aveva tutti i torti. La voce che di lui ci giunge non è infatti il suono di un delicato violino, ma la voce tuonante di uno strumento a fiato, di una tromba squillante e prepotente. Una vita non esemplare, un poeta altisonante, un uomo pieno di ombre e di compromessi. Una figura da non imitare, ed è per questo che lo ricordiamo.
È qui evidente come per Tabucchi non possa esistere una letteratura che si ritiri sulla torre d'avorio dell'estetica, ma che la letteratura sia sempre e comunque anche impegno, e che l'impegno non possa prescindere dall'essere impegno politico.
Sostiene Pereira è anche un romanzo sull'incomunicabilità, si pensi a tutto quello che la nostra fonte, lo stesso Pereira, si astiene di raccontarci perché, a suo avviso, non attinente e non utile (strumento stilistico per acquisire autorevolezza attraverso l'omissione). Ma, come si diceva, Sostiene Pereira è anche un romazo sulla morte e sul ricordo, sul passato che può divenire prigione e che può rendere un uomo un morto che cammina, e di come l'unico antidoto per questa morte in vita sia l'abbracciare la vita, certo in un modo vitalistico che, alla lontana, ricorda il vitalismo degli anni Venti del Novecento, ma soprattutto un abbracciare la vita come darsi agli altri e al proprio tempo.
Sostiene Pereira oggi ci ricorda come i fumi del nazionalismo spesso nascondano i lacci dell'oppressione; ci ricorda come senza una libera informazione, un'informazione di qualità che non sia sporcata e infangata dagli interessi più biechi, non esista vivere civile. Ma Sostiene Pereira ci ricorda anche come vita e morte si intreccino, come ciascuno di noi sia depositario di un piccolo brandello di verità e che solo nel vivere con gli altri questa vverità si depositi e possa crescere; soprattutto, Sostiene Pereira ci insegna ad avere coraggio e a non vivere schiavi del passato.
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