Utopie, distopie, eterotopie e nonluoghi tra filosofia, architettura e letteratura.


Nella percezione del territorio spazio e tempo spesso si intrecciano, così come il luogo geografico sovente si mescola o si contrappone al luogo astratto. Nelle diverse combinazioni della nostra sensorialità e della nostra capacità di astrazione, siamo stati fino ad ora capaci di definire diverse forme di luoghi fisici o irreali. Nell'antichità era per esempio possibile ambientare una visione o un'opera letteraria in locus amoenus, un luogo, reale o immaginario, comunque caratterizzato per la propria irresistibile grazia e piacevolezza: al riguardo si pensi per esempio ai paesaggi di Teocrito o alle Bucoliche di Virgilio per avere un'idea del genere di paesaggio immaginato e definito da questa categoria.
Tuttavia, più entra in gioco la percezione dello spazio e del tempo, più il rapporto con il luogo fisico può divenire metaforico o analogico: entrano così in scena nuove categorie. La prima, senza dubbio, anche da un punto di vista cronologico, è quella dell'utopia. La parola compare nel Libellus ... de optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia di Tommaso Moro (1516) ad indicare un luogo immaginario capace di un'organizzazione sociale, politica, religiosa, culturale talmente progredita e concorde da risultare altamente desiderabile nonché difficilmente raggiungibile. Il problema del concetto di utopia, a ragionarci bene, è che ciò che può essere altamente desiderabile e difficilmente realizzabile per un pensatore o per un autore può essere anche quanto di più detestabile per un altro, e costituire quindi il paesaggio di una distopia. Sia che si consideri comunque quel luogo immaginario come desiderabile o esecrabile, quel luogo, nel tempo, non è, o meglio, non è ancora o non è più: infatti quasi mai nelle formulazioni delle utopie e delle distopie i luoghi sono immaginati come esistenti ora; sono semmai prossimi o remoti; comunque il rapporto che istituiscono con il reale è metaforico: sono termini di paragone di ciò che non è ancora o non è più e dovrebbe o non dovrebbe essere nel futuro. In particolare, quando l'utopia è ambientata nel passato, assume il nome di retrotopia. Se guardiamo quindi a queste categorie, ci accorgiamo che un primo esempio di utopia/distopia risale già alla formulazione filosofica della Grecia classica, alla Repubblica immaginata da Platone. Sotto certi aspetti, ancora prima, la Costituzione ateniese pseudosenofontea e l'Epitaffio di Pericle riportato da Tucidide nelle sue Storie nella loro descrizione della società e della politica ateniese costituiscono esempi di costruzione di un'utopia o di una distopia, a seconda ovviamente del punto di vista che si adootta. In tempi moderni il romanzo distopico ha preso largamente il sopravvento sulle visioni utopiche: 1984 di Orwell, Il signore delle mosche di Golding, Fahrenheit 451 di Bradbury, finanche 1Q84 di Murakami, sono esempi eccellenti di visioni distopiche della realtà.
Accanto alla visione metaforica, tuttavia, esiste un rapporto analogico con la realtà: in questo caso, a partire dal 1967, con Foucault parliamo di eterotopie. Un'eterotopia è un luogo esistente, in genere un luogo connotato per la sua funzione culturale, sociale, istituzionale, che ha però con la realtà che lo circonda in qualche modo un rapporto disturbante, quasi quello di uno specchio deformante, capace di mettere in luce le contraddizioni della realtà mentre tuttavia mantiene una funzione reale e spesso molto importante. Sono perciò eterotopie per esempio le scuole, gli ospedali, le carceri, i cimiteri: luoghi che mantengono l'organizzazione talvolta anche rigidamente gerarchizzata della società che li realizza e che necessità delle loro funzioni basilari, pur non avendone effettivamente necessità o che al contrario destabilizzano quei rapporti altrimenti considerati incondizionatamente sacri e inviolabili, mostrandone l'inconsistenza. Un esempio di eterotopia è quindi per esempio il nosocomio/manicomio de La giornata dello scrutatore di Italo Calvino: un luogo in cui, mentre si adempiono le funzioni ritenute fondamentali dalla società che sta fuori dall'edificio, in special modo il rito collettivo del voto, se ne mettono in luce le contraddizioni di fronte alla sofferenza o anche solo alla vita pressoché annullata di molti degli ospiti dell'ospedale/ospizio. Sebbene il concetto di eterotopia nasca nell'ambito della scienza e della filosofia dell'architettura e dell'urbanistica, esso quindi travalica quel settore degli studi per penetrare a suo modo nella letteratura mondiale: a loro modo per esempio possono essere considerate eterotopie La biblioteca di Babele di Borges e Le città invisibili (e la mappa commissionata da Kubilai Khan) di Calvino. Al confine tra utopia, distopia ed eterotopia si pongono L'Ohio e la città di East Corinth de La scopa del sistema, di D. F. Wallace. Tuttavia, è nel genere cyberpunk che l'eterotopia diviene particolarmente funzionale alla rappresentazione della realtà descrivendo la deflagratoria contraddizione fra luoghi fisici che mostrano modelli di ordine e organizzazione, come le sedi di grandi istituzioni quali le multinazionali, e il caos circostante (Dick, Ricordiamo per voi o Ma gli androidi sognano pecore elettriche?). Sempre nel genere l'eterotpia per eccellenza diviene la rete internet, luogo fisico in cui però i rapporti gerarchici e gli stessi ordinamenti sociali possono annullarsi, fino alla cancellazione e alla creazione ex novo di identità, generi sessuali, religioni e ordinamenti (Gibson, Neuromante, per citarne uno). Tuttavia, ancor più potente è l'uso dell'eterotopia nelle opere fumettistiche e cinematografiche legate a questo genere: Akira di Otomo, Ghost in the shell di Masamune Shirow o anche Atto di forza, di Verhoeven, ispirato al già citato Ricordiamo per voi di Dick, e Robocop, sempre di Verhoeven, in cui distopia ed eterotopia convergono, attraverso la potenza dell'immagine mettono in scena la contraddittorietà delle eterotopie: nei primi due casi tra l'altro sottintendendo sempre un doppio rapporto tra le contraddizioni della società gerarchizzata e caotica dell'uomo, e l'alterità della natura, specchio deformante delle scene più forti ambientate a Neo Tokyo nel primo caso, in una immaginaria New Port City, largamente ispirata ad Hong Kong nel secondo caso; nei film di Verhoeven è invece il tono sempre sopra le righe della recitazione e dell'immaginazione stessa, assieme alle scenografie, a costruire la contraddizione delle eterotopie.
Più di recente, legata alle concezioni relativizzanti del postmodernismo, nasce la definizione di nonluogo, coniata dall'antropologo Marc Augé nel 1992. Anche in questo caso, tra nonluogo e realtà si istituisce un rapporto analogico: un nonluogo è un luogo fisico realmente esistente che, per la sua stessa funzione, è assolutamente spersonalizzante (senza dare a questo aggettivo un'accezione per forza negativa) e deidentitario. Sono nonluoghi tutti quegli edifici che pur in territori e all'interno di comunità e culture profondamente diverse sorgono con pressoché le stesse forme architettoniche e funzioni, specie se di transito (o transazione) e di svago. Sono quindi nonluoghi i centri commerciali, le stazioni, gli aeroporti, ma anche ascensori, centri di accoglienza e campi profughi, in cui le relazioni fra utenti sono minime o inesistenti e in cui il sentimento identitario per questo si annulla. È per esempio ambientato in un nonluogo Novecento di Baricco, ma ancor meglio troviamo la descrizione letteraria di un nonluogo in un'altra splendida opera di Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più.
In conclusione possiamo affermare che il rapporto che l'uomo istituisce con lo spazio e con il tempo ha spesso poco a che fare con la quantificabilità del reale, più spesso è attinente alla percezione dello spazio e del tempo nelle loro relazioni e funzioni. Questa percezione ha sempre la forma della figura di significato: è un confronto che può avvenire come metafora o come analogia; nel primo caso il luogo percepito è metafora di ciò non è o non è più e che si vorrebbe o non si vorrebbe che fosse; nel secondo caso il luogo percepito è in rapporto analogico con l'altro, ma questo rapporto è sovente deformante e disturbante, oppure è un rapporto che si fonda sulla perdita e la scomparsa di tratti non utili, come quelli identitari, o della stessa possibilità di relazione.

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