Amori ridicoli, Milan Kundera




Amori ridicoli, di Milan Kundera, non è una bella raccolta di racconti.
E così, tagliata la testa al toro, possiamo dedicarci con calma a spiegare il perché di un giudizio così drastico.
I sette racconti che compongono la raccolta sono tutti accomunati dal tema comune, quello dell'amore, e in due casi si ripete anche il protagonista delle vicende, il dottor Havel. Ad un'attenta lettura tuttavia è subito chiaro che, se di amore si parla, si tratta dell'amore a cui ci ha abituato Kundera: un amore esclusivamente maschile e maschilista, mascolino, possessivo, che tratta la donna quasi come una preda amorfa, sempre bisognosa di essere plasmata dall'azione dell'uomo cacciatore, anche solo nei suoi sogni, salvo poi scoprire la vanità della propria caccia.
Il tema della vanità della caccia amorosa è proprio quello che sta sullo sfondo di uno dei racconti più riusciti, "La mela d'oro dell'eterno desiderio", ma il senso di vanità della seduzione ritorna anche nel migliore dei due racconti con protagonista il dottor Havel, "Il dottor Havel vent'anni dopo". In altri casi invece ciò che dà senso (o lo toglie) alla ricerca dell'appagamento sensuale è l'incomunicabilità che sta al fondo delle relazioni umane, l'impossibilità, secondo Kundera, di provare e pensare la stessa cosa nello stesso momento, incapacità che affligge le relazioni amorose ("Il falso autostop" e "Così i vecchi cedano il posto ai giovani"). In ogni caso la donna è oggetto d'amore, se è soggetto, lo è in forme parodistiche o francamente semplicistiche e banali ("Il simposio" e, ancora "Così i vecchi cedano il posto ai giovani").
Sia chiaro, la critica che qui si  muove a Kundera non è fondata su un banale senso del politicamente corretto o sull'idea che occorra dare pari rappresentanza ai generi secondo una sorta di par condicio letteraria: è che è palese che Kundera non vuole, non sa e non prova a pensare che l'amore possa essere diverso da quello che propone, da decenni, nei suoi libri; un amore, appunto, esclusivamente maschile, sensuale e che ha come unico senso l'appagamento del desiderio di conquista. Non esiste altra forma di amore tra le trame di questi racconti, e per quanto questa caratteristica dia una coerenza di fondo alla raccolta, alla lunga stanca.
Non per niente il migliore dei racconti è "Eduard e Dio", in cui, pur ripetendo lo stantio tema dell'espressione della giovinezza e della mascolinità di non una, bensì due donne estremamente diverse tra di loro, almeno l'autore intreccia brillantemente lo sviluppo della narrazione con l'analisi di tematiche sociali e religiose della Boemia dei suoi anni. Un po' poco per essere un capolavoro.
La narrazione quindi, spesso banale, raggiunge in alcuni casi la vividezza e la brillantezza degli scritti migliori dell'autore, ma non trova la capacità di rinnovarsi o, almeno, di analizzare fino agli estremi limiti i temi che costellano la scrittura di questi testi.

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