No, non si può né si deve riaprire gli edifici scolastici (per ora)



È di questi giorni sui media, soprattutto sul Corriere della sera, il dibattito sulla necessità di riaprire le scuole. In effetti, definirlo dibattito sarebbe impreciso: sui media mainstream sono apparsi solo interventi a favore della riapertura, più o meno argomentati e più o meno elaborati da figure competenti. Tuttavia, a seguire i ragionamenti fino ad ora espressi (per esempio Ernesto Galli Della Loggia o gli ingegneri del Politecnico di Milano) non ci sarebbe neanche da discuterne. Eppure, invece, con questo intervento cercherò di chiarire perché non andrebbero riaperte le scuole (per ora).
Forse però occorre chiarire una cosa: sono gli edifici che sono chiusi, ma la scuola intesa come dipendenti e istituzione, ha continuato a funzionare. Quindi il vero tema del dibattito è se occorre riaprire gli edifici scolastici.
Chi sostiene questa tesi dice che la scuola non ha solo un valore culturale ma ha anche una finalità sociale e che riaprendo le scuole si permetterebbe ai genitori di tornare a lavoro; inoltre la riapertura permetterebbe di evitare il contatto tra anziani e minori; infine la riapertura delle scuole permetterebbe relazioni sociali agli alunni. Queste affermazioni sono tuttavia errate, false o quanto meno imprecise: per quanto riguarda la possibilità di tornare a lavoro per i genitori degli studenti, questa comunque sarebbe limitata solo alle ore mattutine se gli studenti rientrassero tutti a scuola contemporaneamente, e il problema non verrebbe risolto per le ore pomeridiane; se si rientrasse con i doppi turni quotidiani o con sistemi integrati dalla didattica a distanza di fatto il problema non verrebbe risolto se non per poche ore e pochi giorni alla settimana; se guardiamo alla possibilità di evitare contatti tra minori e anziani, va tuttavia osservato che la questione viene affrontata in maniera miope. Di quali anziani o adulti stiamo parlando? Occorrerebbe dire che si tratta dei contatti all’interno della famiglia, non dei contatti in sé, infatti il 20% circa dei docenti italiani ha circa 60 anni, il 52% circa 50, quindi comunque una fetta considerevole del corpo docente si trova tra le fasce di età più a rischio contagio; guardando infine alla riapertura delle scuole come occasione per le relazioni sociali fra gli studenti, emerge nuovamente una contraddizione frutto della scarsa conoscenza delle condizioni degli edifici scolastici: gli alunni dovrebbero rimanere distanziati tra di loro, e ipotizzando  distanze di un metro e mezzo tra i banchi, prevedendo che gli alunni non possano essere schiacciati contro i muri, una classe di 15 alunni (quindi con pochi alunni) dovrebbe essere grande circa 25 metri quadri, considerata anche la presenza di uno o più insegnanti (caso dei docenti di sostegno e delle compresenze), mentre nelle nostre scuole la media è di 20 mq. Insomma, di fatto l’esperienza sociale che si immagina, non esisterebbe, a meno che non si preveda in realtà l’infrangimento degli obblighi di distanziamento sociale da parte di allievi e docenti. C’è poi da discutere di per sé l’argomentazione iniziale, quella della funzione sociale della scuola: è vero che l’istituzione scuola ha anche una funzione sociale parallela a quella culturale, ma, ora soprattutto, deve essere chiaro che o il valore culturale della scuola rimane preminente o viene in automatico sminuito, come del resto ci insegna la storia stessa dell’istituzione: quando nella cultura popolare sono diventati preminenti altri usi della scuola questi hanno comportato un peggioramento generale del sistema, come quando la Scuola è stata strumento di propaganda nel Ventennio, o quando è stata immaginata come strumento di emancipazione sociale a basso costo per le donne, o infine, si pensi agli anni ‘80 del XX secolo, quando è stata adoperata come ammortizzatore sociale attraverso le assunzioni generalizzate di docenti impreparati e poco motivati all’aggiornamento.
Andando più su un piano pratico, chi sostiene la riapertura delle scuole talvolta si limita ad immaginare di aprire le scuole dell’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado (ovvero le scuole con gli alunni più giovani e quindi dipendenti dalla presenza di adulti anche a casa) in quanto diffuse in praticamente ogni paese, per cui non si dovrebbero ippotizzare aggravi sul sistema di trasporto. Tuttavia, anche immaginando che sia possibile che tutti gli studenti di queste scuole si  spostino a piedi (e non è sempre così), è vero che le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado sono diffuse in maniera capillare, ma, vista l’età degli studenti citati, non è possibile ipotizzarne per forza movimenti autonomi; anzi la movimentazione di questi studenti e dei loro insegnanti comporterebbe comunque la movimentazione anche dei genitori, e quindi la circolazione e l’incontro di adulti nei pressi delle aree limitrofe alle scuole, comportando quindi il rischio di assembramenti.
Un’altra argomentazione che capita di leggere suona più o meno così: se gli adulti possono mantenere le distanze di sicurezza, lo possono fare anche gli studenti. Ora, come è chiaro a chi abbia esperienza nel lavorare con dei minori, soprattutto con i più piccoli, prevedere che dei minori, anche molto piccoli, possano tenere gli stessi comportamenti degli adulti, è irresponsabile: del resto, anche per gli adulti è difficile osservare le distanze di  sicurezza, ancor di più lo è per dei bambini.

Se invece volessimo ragionare sul perché non sia né conveniente né utile riaprire gli edifici scolastici, potremmo osservare che riaprire le scuole comporta adeguamenti strutturali impossibili in brevi periodi come quelli di cui si sta parlando: le aule delle scuole italiane sono troppo piccole, come già detto, quindi si dovrebbero mettere in moto adeguamenti edilizi i cui tempi non potrebbero di certo coincidere con una riapertura a maggio o a giugno di quest’anno, forse neanche a settembre; se l’obiettivo è invece favorire la didattica, come sarebbe auspicabile in base a quello che abbiamo detto prima, sarebbe meno costoso e più rapido investire nelle infrastrutture digitali per potenziare la didattica a distanza.
Ancora, da un punto di vista  organizzativo movimentare 8 milioni di studenti e un milione di docenti risulterebbe complicato e pericoloso: complicato perché ne conseguirebbero aggravi nei costi dei trasporti pubblici: occorrerebbero corse dei mezzi pubblici più frequenti vista l’impossibilità di mantenere le distanze di sicurezza con lo stesso numero di veicoli attualmente a disposizione per gli studenti, inoltre occorrerebbe anche rafforzare i controlli a tutte le fermate (se si viaggia con i bus gli studenti salgono sui veicoli scaglionati) e sui mezzi di trasporto per garantire il mantenimento delle distanze di sicurezza e le condizioni sanitarie dei passeggeri; pericoloso perché è irrealistico credere che gli studenti (soprattutto i più piccoli, ma non solo) siano in grado di mantenere in aula le distanze di sicurezza, per esempio negli spazi comuni o durante gli intervalli, e inoltre perché accessi e strutture scolastiche non sono immaginati per il distanziamento sociale: come si può contingentare l’ingresso di mille studenti all’orario di inizio delle lezioni in un istituto medio grande che si trovi in centro in una qualsiasi città italiana?
Infine, anziché imbarcarci in piani complicati dai punti di vista organizzativo, economico e sanitario, con scarsi o nulli benefici sulla didattica, sulla vita sociale e con un impatto sull’economia del paese molto più limitato di quel che comunemente si pensa, la riflessione critica su ciò che è avvenuto in questi mesi con la didattica a distanza permetterebbe aggiustamenti normativi e procedurali a costo zero ed evidentemente meno pericolosi della riapertura delle scuole. C’è del resto da notare che riaprire le scuole e organizzare le classi su doppi turni o modalità miste in presenza e online comporterebbe un aggravio ingiustificato delle ore di lavoro dei docenti e degli studenti, e a questo aggravio dovrebbe corrispondere un aumento dei salari, già ora tra i più bassi d’Europa.
Certo, tutto questo varrebbe se si pensasse davvero anche al valore culturale della scuola (e se non si pensasse, come fa Galli Della Loggia, che il valore culturale è direttamente proporzionale alla quantità di sacrifici e privazioni a cui docenti e studenti devono essere sottoposti). Se invece il ragionamento che sta dietro la richiesta di apertura delle scuole è la necessità di trovare una risposta a basso costo alle istanze economiche del paese, abbiamo già visto che lo si può fare soltanto immaginando che, anche capitasse, non ci interessa se negli edifici scolastici non si dovesse rispettare il distanziamento sociale, cosa di per sé molto probabile.
Un’ultima nota: la richiesta di riapertura arriva anche da docenti che, certo in buona fede, immaginano che riaprire le scuole vorrà dire ritornare esattamente alla pratica scolastica che conoscevano prima; ecco, forse sarebbe l’ora di dirci che non sarà così, che c’è un errore prospettico evidente, che, se torneremo in classe in maniera coscienziosa, non faremo quello che facevamo prima, che potremo avere alunni fisicamente tanto distanti da noi da essere legittimati a dirci, ogni due minuti, che non ci sentono, che non vedono la lavagna, altro che didattica a distanza (una classe da 30 alunni dovrebbe avere le dimensioni di una metà di un campo di calcio, per dire); che non ci potremo avvicinare ai loro banchi per controllare come stanno svolgendo i compiti, che non ci potremo accostare per ascoltarli mentre ci chiedono un chiarimento, che sarà tutto diverso, perché si fa presto a dire facciamo scuola all’aperto: sì, ma dove? 8 milioni di studenti al parco? E per fare cosa e come?

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