Ecco perché Galiano ha torto sull'insegnamento a distanza (ma ha ragione sull'insegnamento) o della scuola ai tempi del Coronavirus
Da quando il ministero ha chiesto/ordinato alle scuole di attuare la didattica a distanza, fioriscono le prese di posizione contro questa scelta. Per fare ordine fra le varie posizioni, potremmo dire che la fazione dei contrari alla didattica a distanza motivano la propria posizione con le seguenti argomentazioni:
- alunni e docenti non hanno per forza a disposizione una buona connessione ad internet;
- ci sono problemi di privacy e di gestione dei dati sensibili dei minori;
- alunni e docenti non sono stati formati adeguatamente;
- la didattica a distanza non è vero insegnamento.
Volendo seguire le argomentazioni proposte, si possono obiettare una serie di dati e fatti.
- Riguardo alla prima argomentazione, ISTAT riporta che il 95% delle famiglie con un minorenne in casa hanno accesso ad internet con una rete a banda larga: insomma, se fra i vostri alunni avete qualcuno che appartiene al 5% di coloro che non dispongono di accesso ad internet, è giusto certo tutelare quegli alunni, ma questo non può impedire agli altri di esercitare il proprio diritto allo studio;
- In un momento di emergenza sanitaria, mi sembra quanto meno improbabile che i genitori dei nostri alunni, a fronte del rischio di vedere invalidato l'anno scolastico o compromessa l'ammissione all'anno successivo, obiettino sulla privacy. Inoltre gli ambienti di apprendimento online richiedono sempre l'assunzione di responsabilità da parte dei docenti e la conferma dell'iscrizione da parte di un adulto nel caso di alunni minorenni. Essendo poi sistemi chiusi, sono tendenzialmente protetti.
- Riguardo alla formazione, verrebbe da dire che chiunque abbia un attestato che certifichi la propria formazione sul digitale e oggi si rifiuti di fare didattica a distanza dovrebbe stracciare quell'attestato. Nel mio piccolo, faccio miseramente notare che io, un docente qualunque, ho fatto per la prima volta formazione su queste cose durante il mio primo anno di insegnamento perché avevamo un'alunna ospedalizzata; non sono più un giovincello e dal mio primo anno d'insegnamento sono passati una decina di anni, per cui mi chiedo perché ogni volta ci diciamo che vada fatta formazione ma in tutto questo tempo questa formazione l'abbiano fatta solo le anime pie. Di didattica a distanza, di ambienti di apprendimento digitali, di nativi digitali e analfabeti digitali si parla da anni, non sono novità dell'ultima ora, non si può sempre allontanare la palla dicendo che bisogna fare formazione e poi quando si fanno i corsi di formazione ci sono 20 docenti su 150 di un collegio docenti.
- Sull'ultima questione, posta da alcuni insegnanti anche molto preparati su altri campi, come Galiano, mi permetto di obiettare che forse, nello specifico, sanno poco di cosa parlano. Sono certamente d'accordo sul fatto che insegnare a distanza a dei ragazzi non si possa risolvere, ad andar bene, con il creare dei MOOC; però gli strumenti permettono ormai ben altro (e lo so, ci voleva la formazione prima), con una videoconferenza su Jitsi, meet o tokbox ormai riesci ad avere un'interazione, a dare dei feedback. Certo, non è come stare in classe, ma relazione, interazione e confronto ci sono. E se è questo quello che crediamo essere insegnamento, questo si può fare anche a distanza, al netto di tutti i problemi riguardanti la privacy, la gestione dei dati sensibili e le autorizzazioni per i minorenni. Indubbiamente è difficile da fare alla secondaria di primo grado o con gli alunni ancora più piccoli, e indubbiamente andrebbe contestualizzato di realtà in realtà, però dire che non si può fare è un'esagerazione.
C'è poi un'ultima categoria di oppositori, se volete la peggiore: ci sono colleghi che sono convinti di essere in vacanza o che, in maniera pretestuosa, hanno stabilito che a) loro non devono adoperare il digitale, cioè possono non conoscere quello che ormai è uno degli strumenti del loro lavoro, come se un chirurgo potesse permettersi di dire che lui non adopera i nuovi protocolli perché quelli di venti anni fa a lui piacciono di più, e b) neanche gli altri devono adoperare i nuovi strumenti perché altrimenti loro sfigurano. Però adoperare correttamente gli ambienti di apprendimento virtuali razionalizzerebbe questa fase in cui tutti stiamo procedendo più o meno a casaccio. Vi faccio un esempio: ho sentito gli alunni della classe di cui sono coordinatore e tutti mi riferiscono la stessa cosa, ovvero che tutti i docenti del Consiglio di classe, presi dall'ansia della didattica a distanza, gli hanno caricato bordate di compiti e attività sul registro elettronico, senza scadenze chiare, senza pensare che, se fossimo in una situazione normale, quelle attività sarebbero cadenzate in maniera diversa anche tenendo a mente che quella classe non studia una materia, bensì tredici. E ovviamente il problema vale anche per i docenti, perché stiamo correggendo quintali di compiti, fatti male perché i nativi digitali sono anche analfabeti digitali, con scarsa possibilità di feedback formativo. Queste cose gestite correttamente con gli ambienti di apprendimento virtuali, e in maniera collegiale, funzionano. Andando in ordine sparso, o addirittura come fanno altri, rifiutandosi, no.
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