Odissea, Omero
La contraddizione dicevamo è insita nel personaggio: discendente da un celebre ladro, Odisseo è l’eroe dell’inganno, della metis, dell’intelligenza funzionale, del relativismo; ma è anche l’eroe del rancore, a riprova ne sta la storia che, in controluce, viene accennata da Omero ma mai dettagliatamente narrata, e che pure doveva essere nota e diffusa: la narrazione dell’odio provato nei confronti di Palamede, l’eroe più intelligente fra gli Achei, odio che conduce Odisseo ad ordirne l’omicidio.
La contraddizione sta nella famiglia di Odisseo: Telemaco è l’eroe che non è ancora un eroe, un Odisseo in fieri; Penelope è il corrispettivo al femminile di Odisseo: la moglie che non è moglie, vedova che non è vedova, futura sposa che non sceglie il pretendente, colei che cuce per non cucire.
È la stessa Odissea l’opera quindi che celebra la contraddizione: nello scontro tra il protagonista e i proci la narrazione assume il tono della battaglia epica, eppure il campo di Odisseo è composto da un eroe ormai stanco e anziano, un giovane inesperto, un bovaro e il guardiano dei porci; dall’altro lato, i pretendenti sono stati caratterizzati per tutta la narrazione per la loro ingordigia e lascivia, ma il loro valore militare appare nullo. La risoluzione finale dell’opera quindi è consequenziale: l’intervento finale di Atena che sana il conflitto tra le famiglie dei pretendenti e quella dell’eroe è l’anticipazione del deus ex machina del teatro greco, una soluzione che non può venire dal personaggio, egli stesso contraddittorio, ma che deve giungere dall’alto, ad indicare una mutazione della società che sta intorno al protagonista.
Odisseo dovrà compiere un ultimo viaggio, giungere ad una terra che non conosce il mare, e lì celebrare Poseidone; solo allora potrà tornare a casa per concludere la propria vita con Penelope in pace e morire anziano di morte naturale. In questa morte si celebrerà anche la fine dell’epoca eroica e il nascere della società arcaica greca. La fine di un mondo, la nascita di un altro
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