Annibale e Scipione, del titanismo e di Nemesi
Annibale Foto: Wikipedia |
La storia di Annibale e Scipione l’Africano è una di quelle storie che, come direbbe Baricco, sembra fatta a posta per diventare la sceneggiatura di un film o di un romanzo. Nelle vicende di questi due grandi dell’antichità non si può non avere l’impressione che agisca la mano di un regista occulto, che a volte vuole condurre la vicenda in maniera talmente iperbolica da creare corrispondenze che apparirebbero persino banali in un romanzo d’avventura. Come nella loro entrata in scena nelle vicende dei rispettivi popoli. L’uno si chiama Hanniba'al, sarà più famoso come Annibale. Ha diciassette anni, è troppo giovane per essere un soldato, eppure sta sul campo di battaglia da quando ha nove anni. Ha seguito il padre Amilcare Barca in giro per la penisola iberica mentre ricostruiva il potere cartaginese distrutto dai Romani, quei Romani che il padre gli ha fatto giurare di odiare in eterno. Amilcare gli ha dato i migliori maestri, Greci, è gli ha fatto fare esperienza bellica: gli ha fatto vedere cosa vuol dire guadagnarsi l’onore militare, lui, Amilcare, a cui persino i Romani, sconfiggendolo, avevano riconosciuto l’onore delle armi. Eppure a diciassette anni Annibale vedrà morire il padre sul campo e non potrà farci niente: si erano spinti troppo oltre ed erano stati presi di sorpresa attraversando un fiume. Lui, Annibale, si era salvato, ma per il padre non c’era stata speranza.
Anche Publio Cornelio Scipione entra in scena a diciassette anni, anche lui al seguito dell’esercito, romano questa volta, di cui il padre è comandante in quanto uno dei due consoli. Alla battaglia del Ticino Annibale si scontra proprio con il padre del futuro suo vincitore; la vittoria arride ai Cartaginesi, ma Publio, al contrario di Annibale, riuscirà a salvare il padre, ferito gravemente, trascinandolo via dal campo di battaglia.
Le vicende dei due si incroceranno di nuovo: a Canne, lì dove si realizzerà una delle più grandi disfatte della storia romana, solo due anni dopo la battaglia del Ticino, tutti e due i nostri protagonisti saranno sul campo. Sarà a Canne che Annibale metterà a segno per la prima volta la sua innovativa azione avvolgente: avanzando con le truppe più deboli, che rinculeranno all'indietro, darà ai Romani la sensazione di una vittoria facile, facendoli avanzare verso una formazione che, ad un comando, prese invece, con i veterani ai lati, una forma ad imbuto, inghiottendo le legioni romane e annientandole, accerchiate anche dalla cavalleria; ma anche questa volta, pur nell’enorme massacro di Romani, Publio Cornelio Scipione si salverà, riuscirà a scappare e, addirittura, a riorganizzare e riportare a Roma una parte della cavalleria.
Gli schieramenti della battaglia di Canne Foto: Wikipedia |
Dopo Canne apparentemente le strade dei due si dividono: Scipione apparentemente diventa figura di second’ordine, Annibale devasta il meridione dell’Italia. Eppure…
Eppure poi Scipione ripercorre i passi di quello che, a questo punto, diventa il suo odiato maestro. Se la gloria del Barcide era nata in Spagna, era dalla Spagna che andava fatta concludere, arrivando a rubare tutte le tecniche e le strategie del Cartaginese. E così, per la prima volta fra i Romani, ma come era già per i soldati di Annibale, Scipione crea un legame indissolubile con le sue truppe. Di nuovo le vicende dei due si incrociano: le truppe assegnate al Romano sono quelle, superstiti, che Annibale ha già sconfitto, le truppe di Canne, che ora vedono in questo giovane generale la possibilità di rifarsi un nome e una dignità.
Annibale era stato maestro dell’inganno, e allora anche Scipione, per la prima volta fra i suoi, prende Cartagena, nella penisola iberica, non rispettando le regole della cavalleria.
Quando anni dopo, presa la Spagna, Scipione si volgerà all’Africa, a Cartagine, Annibale avrà soggiornato a qualche centinaio di chilometri da Roma per ormai più di un decennio. Allora il generale Cartaginese dovette rammaricarsi di come, pur sotto mille pericoli, i Romani inviassero le proprie truppe lontano dalle proprie terre mentre la propria città, Cartagine, al primo pericolo lo richiamasse in patria. Eppure il pericolo c’era: ai Campi Magni, poco lontano la capitale africana, Scipione aveva dimostrato di aver raggiunto il pieno possesso delle strategie militari di Annibale, aveva reso le armate di Roma molto più mobili. Aveva eguagliato il maestro, sbaragliando il nemico. Eppure…
Eppure a Zama i due scontreranno, alla fine. Ma prima si incontreranno, si fiuteranno, cercheranno l’uno di capire l’animo, la disposizione dell’altro. E Annibale capirà che no, ancora Scipione non l’ha eguagliato.
Sul campo siamo arrivati al momento della resa dei conti: Annibale con i suoi veterani, con i mercenari e con i cittadini di Cartagine, Scipione con i suoi veterani, cioè gli sconfitti di Canne, e gli uomini che ha racconto in Spagna, in Italia e in Africa.
Eppure poi Scipione ripercorre i passi di quello che, a questo punto, diventa il suo odiato maestro. Se la gloria del Barcide era nata in Spagna, era dalla Spagna che andava fatta concludere, arrivando a rubare tutte le tecniche e le strategie del Cartaginese. E così, per la prima volta fra i Romani, ma come era già per i soldati di Annibale, Scipione crea un legame indissolubile con le sue truppe. Di nuovo le vicende dei due si incrociano: le truppe assegnate al Romano sono quelle, superstiti, che Annibale ha già sconfitto, le truppe di Canne, che ora vedono in questo giovane generale la possibilità di rifarsi un nome e una dignità.
Annibale era stato maestro dell’inganno, e allora anche Scipione, per la prima volta fra i suoi, prende Cartagena, nella penisola iberica, non rispettando le regole della cavalleria.
Quando anni dopo, presa la Spagna, Scipione si volgerà all’Africa, a Cartagine, Annibale avrà soggiornato a qualche centinaio di chilometri da Roma per ormai più di un decennio. Allora il generale Cartaginese dovette rammaricarsi di come, pur sotto mille pericoli, i Romani inviassero le proprie truppe lontano dalle proprie terre mentre la propria città, Cartagine, al primo pericolo lo richiamasse in patria. Eppure il pericolo c’era: ai Campi Magni, poco lontano la capitale africana, Scipione aveva dimostrato di aver raggiunto il pieno possesso delle strategie militari di Annibale, aveva reso le armate di Roma molto più mobili. Aveva eguagliato il maestro, sbaragliando il nemico. Eppure…
Eppure a Zama i due scontreranno, alla fine. Ma prima si incontreranno, si fiuteranno, cercheranno l’uno di capire l’animo, la disposizione dell’altro. E Annibale capirà che no, ancora Scipione non l’ha eguagliato.
Sul campo siamo arrivati al momento della resa dei conti: Annibale con i suoi veterani, con i mercenari e con i cittadini di Cartagine, Scipione con i suoi veterani, cioè gli sconfitti di Canne, e gli uomini che ha racconto in Spagna, in Italia e in Africa.
Gli schieramenti della battaglia di Zama Foto: Wikipedia |
Annibale provoca il più giovane avversario, lo saggia, lo induce a battaglia: quello è talmente sicuro di poter prevedere tutte le mosse del Cartaginese da non aver paura. Quando questi gli lancia contro i suoi elefanti da guerra, Scipione è lesto a disporre le sue truppe in colonne, creando dei canali di sfogo per le belve. Eppure…
Eppure in questo modo ha dovuto perdere la disposizione favorevole a tentare rapidamente l’accerchiamento. Certo, intanto le sue cavallerie hanno già sconfitto le cavallerie altrui, ma il Romano confida talmente nei suoi legionari da non richiamarle indietro: basteranno i fanti. E invece i fanti non bastano, perché quando Scipione inizia la manovra di accerchiamento scopre che Annibale ha tenuto uno stadio più indietro i suoi fidatissimi veterani: certo, ha mandato al massacro i cittadini, ma erano inesperti, non avrebbero potuto nulla; se la vittoria sarà cartaginese, lo sarà grazie ai veterani. E così Scipione scopre che è lui che sta per essere accerchiato, deve allungare le sue truppe, le deve incitare alla resistenza. L’allievo non ha superato il maestro. Sono minuti, ore di fuoco, di sangue, di paura. Ed è solo il caso, o la sceneggiatura, a beffare, per la prima e ultima volta, Annibale. Le cavallerie romane ritornano indietro, prendono i veterani Cartaginesi alle spalle. Accerchiati, impossibilitati alla fuga, vengono massacrati. Questa è la fine della potente armata che per anni ha tenuto sotto scacco Roma.
Non è la fine di Annibale, però. Lui riuscirà a salvarsi, a Cartagine, poi in Oriente, fino alla morte inseguito dai sicari romani, ancora nella lontanissima Bitinia, sempre a tramare contro l’odiato nemico, sempre con le proprie opere d’arte al seguito, e sempre inseguito dalla gloria politica e militare degli Scipioni.
C’è nella storia di Annibale e Scipione il fascino del titanismo, dell’uomo che, solo, è capace di tenere testa alla storia e, pare, rivoltarla a proprio diletto. Eppure Annibale, il monomakos, nella sua lotta senza quartiere a Roma alimenta infine l’imperialismo romano che, a quel punto, vedendo ovunque nemici, ovunque agirà per evitare un nuovo Annibale. Ma nella storia di Scipione sembra di scorgere l’esempio di Nemesi, la giustizia che ridistribuisce le fortune: troppa è stata la gloria del Barcide per durare, e sarà Scipione, che del nemico è emulo, a togliergli la vittoria, ma soprattutto saranno le truppe a cui Annibale aveva tolto la dignità.
Certo, c’è in questa storia anche tanta retorica: sin dall’antichità le fonti hanno adoperato questi due generali per costruire una storia che giustificasse l’ascesa romana e spiegasse il declino cartaginese, eppure non si può non assaporare, pur nel romanzesco, il gusto che solo le vicende storiche più emblematiche possono avere.
Eppure in questo modo ha dovuto perdere la disposizione favorevole a tentare rapidamente l’accerchiamento. Certo, intanto le sue cavallerie hanno già sconfitto le cavallerie altrui, ma il Romano confida talmente nei suoi legionari da non richiamarle indietro: basteranno i fanti. E invece i fanti non bastano, perché quando Scipione inizia la manovra di accerchiamento scopre che Annibale ha tenuto uno stadio più indietro i suoi fidatissimi veterani: certo, ha mandato al massacro i cittadini, ma erano inesperti, non avrebbero potuto nulla; se la vittoria sarà cartaginese, lo sarà grazie ai veterani. E così Scipione scopre che è lui che sta per essere accerchiato, deve allungare le sue truppe, le deve incitare alla resistenza. L’allievo non ha superato il maestro. Sono minuti, ore di fuoco, di sangue, di paura. Ed è solo il caso, o la sceneggiatura, a beffare, per la prima e ultima volta, Annibale. Le cavallerie romane ritornano indietro, prendono i veterani Cartaginesi alle spalle. Accerchiati, impossibilitati alla fuga, vengono massacrati. Questa è la fine della potente armata che per anni ha tenuto sotto scacco Roma.
Non è la fine di Annibale, però. Lui riuscirà a salvarsi, a Cartagine, poi in Oriente, fino alla morte inseguito dai sicari romani, ancora nella lontanissima Bitinia, sempre a tramare contro l’odiato nemico, sempre con le proprie opere d’arte al seguito, e sempre inseguito dalla gloria politica e militare degli Scipioni.
C’è nella storia di Annibale e Scipione il fascino del titanismo, dell’uomo che, solo, è capace di tenere testa alla storia e, pare, rivoltarla a proprio diletto. Eppure Annibale, il monomakos, nella sua lotta senza quartiere a Roma alimenta infine l’imperialismo romano che, a quel punto, vedendo ovunque nemici, ovunque agirà per evitare un nuovo Annibale. Ma nella storia di Scipione sembra di scorgere l’esempio di Nemesi, la giustizia che ridistribuisce le fortune: troppa è stata la gloria del Barcide per durare, e sarà Scipione, che del nemico è emulo, a togliergli la vittoria, ma soprattutto saranno le truppe a cui Annibale aveva tolto la dignità.
Certo, c’è in questa storia anche tanta retorica: sin dall’antichità le fonti hanno adoperato questi due generali per costruire una storia che giustificasse l’ascesa romana e spiegasse il declino cartaginese, eppure non si può non assaporare, pur nel romanzesco, il gusto che solo le vicende storiche più emblematiche possono avere.
Publio Cornelio Scipione l'Africano Foto: Wikipedia |
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