La lezione di anatomia, Philip Roth
Uscito nel 1983, Le lezione di anatomia di Philip Roth conclude la trilogia che vede come protagonista l'ebreo americano Nathan Zuckerman. In questo romanzo Zuckerman, dopo aver lottato per affermarsi come scrittore, si trova a perdere a poco a poco contatto con la propria arte e con gli stessi scopi della propria precedente vita. A scatenare le danze della trama, l'improvviso malessere che ha colpito il protagonista, un dolore inspiegabile che lo colpisce alla nuca e che da lì si espande verso il cranio, le spalle, la schiena, impedendone i movimenti e, soprattutto, la concentrazione. A Zuckerman non restano che due cose: le droghe per ingannare il dolore, il sesso per ingannare la noia.
A questo punto il protagonista, novello inetto postmoderno, è costretto a fare i conti con il passato che, ad un'interpretazione psicologistica, parrebbe aver originato il dolore a cui è soggetto: i matrimoni falliti, la sofferenza inferta ai propri familiari dileggiando le tradizioni ebraiche nelle proprie opere. Così Nathan scopre di non voler fare più lo scrittore, di non sapere o volere più vivere la propria vita. Ritorna a Chicago per iscriversi, lui ormai uomo maturo, alla facoltà di medicina. Ma il vero contatto con il mondo della medicina arriverà in altro modo: strafatto di antidolorifici, Zuckerman darà di matto accompagnando al cimitero l'anziano padre di un suo amico, e così, ricoverato, inizierà ad aggirarsi per l'ospedale accompagnando i medici, quelli veri, tra una visita e l'altra. Anche quella della medicina sarà un'illusione, una finzione, l'ultima per Zuckerman.
Romanzo di una scrittura piacevole, volutamente sguaiata e al contempo letteraria, brillante, citazionista, ironica, La lezione di anatomia è fra le opere di Roth meglio accolte dalla critica. L'autore, attraverso il suo protagonista, si confronta con il panorama letterario americano e soprattutto con le contraddizioni della cultura ebraica americana, integrata nel sistema economico ma rinchiusa nelle sue tradizioni religiose. È con questa chiusura che Zuckerman si scontra ma, novello Edipo, nel momento in cui seppellisce il padre e la cultura che rappresenta, non può non subirne la maledizione, l'onta, nonché il rimpianto.
Si diceva che Zuckerman è anche un novello inetto, autoironico, certamente: potenzialmente ha tutto, soldi, successo, fama, donne, ma non sa cosa farsene. Non per scrupolo morale: semplicemente ha perso la capacità di vivere la sua vita. Il suo continuo ricercare una cura al suo male, ricerca sempre fallimentare, e la sua fuga verso una nuova vita da medico non sono altro che questo, l'espressione di un uomo in fuga dalla vita che ha voluto e che ora scopre di non saper vivere. Tuttavia, se per l'inetto della tradizione la scoperta della propria incapacità aveva un risvolto tragico, Zuckerman è semmai, come si diceva, personaggio autoironico, se vogliamo parodistico, parodia dell'inetto, parodia dell'ebreo, parodia dello scrittore, parodia dell'esteta.
In Zuckerman quindi sembra quasi trovare il suo culmine un genere, quello del romanzo dell'inettitudine, e la storia di un tipo di personaggio. Quasi fuori tempo massimo, l'America e l'Occidente degli anni 80 sono terre per uomini di successo, o per reietti che destino scandalo, Un uomo di successo dipendente dagli antidolorifici, pur rappresentando in pieno quella temperie culturale, non coincide con quello che quegli anni vogliono raccontare di se stessi. Una distanza dalla propria epoca, troppo tardi per parlare di inetti e troppo presto per dire chiaramente quanto alienante fosse la società che Roth osservava, utile a capire perché fra le opere dell'autore questa sia una di quelle che riscosse meno successo di pubblico. Immeritatamente.
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