Da animali a dei, Yuval Noah Harari

Immagine: Bompiani
Nel suo Da animali a dei, Yuval Noah Harari approccia la storia dell'uomo secondo una prospettiva globale. Ecco quindi scomparire temi e argomenti cari alla ricerca storica tradizionale, la cronologia delle battaglie, i minuti spostamenti degli eserciti e finanche la cronistoria delle azioni di questo o quel leader politico, per affrontare il dipanarsi degli eventi umani sotto una prospettiva macroscopica.
In questo senso diventa per l'autore molto più importante cercare di spiegare come, nel corso di milioni di anni, da ominidi siamo divenuti uomini, come delle diverse razze di uomini presenti sulla terra fino a cinquanta mila anni fa ne sia sopravvissuta solo una, e come tutto questo abbia avuto a che fare con la rivoluzione cognitiva legata a complessi mutamenti neurologici alla base del linguaggio umano e della sua capacità di vivere in gruppi sociali sempre più ampi e interconnessi.
Dalla rivoluzione cognitiva alla rivoluzione agricola il salto è a questo punto più breve di quanto si immagini, sebbene venga messo in luce l'inganno alla base dell'agricoltura, ovvero che questa creazione umana abbia portato ad un miglioramento della vita: un inganno a punto, a meno che non si assuma una prospettiva evoluzionistica, per cui non è il singolo uomo a migliorare la sua condizione, semmai l'intera specie.
È questa la prospettiva che ci spiega anche il continuo ricorrere dell'uomo a costruzioni intersociali e a verità intersoggettive, atte a giustificare l'eterno rincorrere di verità assolute che assolute non sono mai davvero, se non per chi ci voglia credere: che queste verità si chiamino Comunismo, Capitalismo o Cristianesimo poco cambia.
Fino ad arrivare all'uomo contemporaneo e ai suoi miti: il primo paradossale, la convinzione di essere sull'orlo dell'estinzione proprio mentre è in vita la generazione che, più di ogni altra, vive nella prosperità di una tecnologia apparentemente perennemente capace di creare nuove risorse.
Harari spiega arriva perciò a spiegare l'inganno della felicità: era più felice un servo della gleba o è più felice un medio borghese di oggi? Dipende, ma con ogni probabilità il primo. Non perché stesse effettivamente meglio, ma perché si aspettava molto meno dalla sua vita rispetto al secondo, soprattutto non si attendeva miglioramenti nella sua condizione di vita.

Gli ultimi capitoli dei libro, a dirla tutta, sono la negazione di quanto uno storico normalmente farebbe: previsioni, congetture, ipotesi riguardo al futuro costruite sulla base dell'osservazione del presente. È in queste ultime pagine che il volume di Harari si trasforma da saggio sulla storia globale in pamphlet per un'interpretazione realistica e avulsa da ogni ideologia del prossimo futuro, pur sapendo, come  lo stesso autore afferma, che ogni volta in cui l'uomo si libera da una verità intersoggettiva imposta, lo fa solo perché una più forte si sta impoendo.

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