The game, Alessandro Baricco

The game di Alessandro Baricco è un libro interessantissimo; non tanto e non solo per la precisione dell'analisi, che anzi talvolta è deficitaria, quanto per l'acume di alcune intuizioni. Nella sua disamina sulla rivoluzione digitale, Baricco nota con genio felice che questo fenomeno nasce come reazione alla cultura novecentesca (ma manca qualsiasi riferimento al fenomeno più ampio che è stato il postmodernismo): in particolare l'autore osserva come all'immobilismo della tradizione, la rivoluzione digitale contrapponga la mobilità del gioco, nell'apprendimento, nelle dinamiche combinatorie e destrutturate della società, dell'organizzazione del lavoro, della politica e dell'informazione (mancando, come già detto, il confronto con la destrutturazione del sapere nell'arte postmoderna). Baricco osserva poi che la rivoluzione digitale si sviluppa con l'introduzione di nuove tecnologie che inconsapevolmente rispondono all'esigenza di superare la cultura novecentesca, sviluppando, attraverso internet, la piena realizzazione della sinergia tra cultura e tecnologia, quella che a vario titolo viene chiamata postverità o verità aumentata o post-esperienza. La rivoluzione è così il campo delle possibilità e della rapidità, al contrario di una tradizione fondata su di certezze uniche, monolitiche, profonde. Tuttavia le possibilità della post-esperienza richiedono abilità e competenze complesse e spesso contestate nella nostra società e formazione, basti citare la guerra, mossa in primis dalla scuola, all'esposizione agli schermi in giovane età e al multitasking. Proprio la difficoltà della post-esperienza genera una sorta di reflusso, oggi facilmente osservabile nelle dinamiche della tecnologia e della società: in contrapposizione al massimo delle possibilità fornite dalla libertà del web nascono le app e i portali chiusi o legislazioni sempre più stringenti, come in contrapposizione all'idea di un mondo totalmente aperto e globalizzato oggi si arranca alla ricerca di confini ormai anacronistici.
Baricco osserva poi come la rivoluzione digitale si stia evolvendo verso una serie di monopoli non in contrasto tra di loro, ma ricorda come questi monopoli siano comunque in grado di garantire un pluralismo che la cultura del primo Novecento aveva negato; al contempo muta il carattere del singolo individuo, non più riconoscibile come membro di in gruppo sociale, ma dominato dall'individualismo di massa.
Due considerazioni finali: Baricco afferma che alla rivoluzione digitale è mancata la cult
ura umanistica, ma in questo o sbaglia o mente, sottostimando largamente il ruolo che la letteratura cyberpunk e postmoderna hanno avuto nell'anticipare i successivi sviluppi sociali e tecnologici; sarebbe per ciò più preciso dire che gli intellettuali main stream come lui hanno a lungo mancato di comprendere quanto stava accadendo. Seconda considerazione, e più importante: la società della rivoluzione digitale non è la società dei nativi digitali, se assumiamo come date simboliche per questa definizione il 1993 negli USA e il 1999 in Italia, cioè i momenti in cui le connessioni veloci ad internet sono diventate disponibili e diffuse a tutti; prese per buone queste date, come fa gran parte degli studiosi, quanto vediamo è stato pensato e creato da chi si è nutrito dei paradossi della cultura novecentesca, mentre chi nel digitale è nato e cresciuto, per questioni anagrafiche, deve ancora scrivere le sue pagine in questa storia. Per qualcuno forse questa sarà una prospettiva terrificante, ma per chi, come me, con i nativi digitali lavora ogni giorno, questa è fonte di speranza, perché fra i nativi sembrano nascere gli anticorpi alle apparenti attuali degenerazioni di un fenomeno che, comunque, cambierà grandemente la storia della nostra specie.


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