Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, Christiane F.
Il libro Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, scritto dai giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck, ripercorre parte della storia da tossicodipendente di Christiane F.. La vicenda, toccante e potente, ripercorre la vita di Cristiane, poco più che bambina, il suo trasferimento in un sobborgo di Berlino, luogo in cui la sua famiglia si disgregherà coinvolgendola insieme alla sorella in un divorzio doloroso, mentre la noia di una esistenza senza prospettive la incanalerà rapidamente nel giro delle droghe leggere prima, dell'eroina poi. Divenuta eroinomane, Christiane inizierà a vivere un rapporto sempre più travagliato con la madre e a vivere nell'illusione di potersi disintossicare in qualsiasi momento insieme al suo amato Detlef. Il bisogno delle dosi quotidiane di eroina spingerà i due insieme ai loro amici alla prostituzione, ai furti e alla ricettazione, mentre madre e padre di Christiane tenteranno inutilmente e non senza errori di chiedere aiuto allo Stato e di muoversi autonomamente per poter disintossicare la figlia. Nella Germania della fine degli anni 70 vedremo così susseguirsi le morti di giovanissimi a causa dell'eroina, finché le vicende di Christiane la porteranno a essere portata via da Berlino e a finire nei sobborghi di Amburgo, dove lentamente cercherà di allontanarsi dal giro dell'eroina.
Il libro nasce da un'inchiesta giornalistica condotta dei due autori che li porta a intervistare e a riportare fedelmente le parole di Christiane, della madre, degli assistenti sociali che con lei hanno avuto a che fare. La stessa inchiesta in realtà un'origine giudiziaria, a causa dello scandalo suscitato in Germania dalla giovanissima età delle ragazze e dei ragazzi coinvolti in un giro di prostituzione e ricettazione venuto a galla dopo la denuncia subita da uno dei clienti di Christiane, un certo Heinz, nonché dopo la morte di una delle amiche della protagonista, Babette.
Come si può intuire quindi l'impatto emotivo del libro e del film che da esso è stato tratto è indubbiamente forte: ne scaturisce l'immagine di una generazione incolta, sconsolata, sperduta, senza prospettive e ideali, tanto da far rimpiangere alla protagonista Il nazionalsocialismo, che sebbene fosse una ideologia che lei stessa riconosceva sbagliata e orribile, almeno produceva degli ideali; ragazzi con esperienze e vissuti da adulti, ma che allo stesso tempo non hanno mai superato l'infanzia perché troppo presto coinvolti in cose troppo più grandi di loro, e che per questo presentano tutti i tratti psicologici del bambino involuto. Emerge anche come la società dell'epoca fosse impreparata, incapace e fondamentalmente disinteressata a osservare e cercare di capire quanto stava accadendo nelle sue strade più degradate.
Tuttavia, da un punto di vista letterario, va osservato come il libro risulti alla lunga pesante, se non addirittura noioso: in un certo senso, metabolizzati lo stupore e l'amarezza per il destino di questi ragazzi, verso la metà del libro subentra la noia per il continuo ritornare degli stessi temi, prostituzione, pere, bisogno di nuove dosi, speranza di una disintossicazione mai realmente cercato davvero. Ciò non toglie che per le tematiche trattate, per l'importanza storica e per le considerazioni che ne possono essere tratte, questo rimane uno dei libri più importanti prodotti in Europa negli ultimi 50 anni.
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