Quasi tre anni fa parlavate di deportazione
Immagine: Lettera43.it |
Quasi tre anni fa, era la fine dell'agosto 2015, infuriava la polemica sulla riforma della scuola. In particolare una parola andava di moda: deportazione. Era il termine con cui tanti insegnanti, assunti a tempo indeterminato, appellavano il loro infausto destino, l'obbligo di trasferirsi da un capo all'altro della penisola per ottenere la cattedra sperata dopo anni di sacrifici. Quel termine, il cui uso era incoraggiato da tanti sindacalisti che oggi si sono convertiti al nazionalpopulismo gialloverde, e dagli stessi partiti oggi al governo, venne ampiamente criticato da politici della maggioranza, nonché da figure di spicco della comunicazione e dei media, come per esempio il direttore del TG de La7, Enrico Mentana. All'epoca io e Giulio Iraci scrivemmo questo articolo per l'associazione di cui facevamo parte, Gessetti Rotti:
Gentile direttore Enrico Mentana,
in una celebre scena di “Palombella rossa”, Mariella Valentini, nel ruolo di una giornalista, intervista Michele Apicella, alias Nanni Moretti. Quel dialogo è scolpito nella mente di tutti:
- Io non lo so, però senz'altro lei ha un matrimonio alle spalle a pezzi.
- Che dice?
- Forse ho toccato un argomento che non...
- No...no...è l'espressione. Non è l'argomento, non è l'argomento, non è l'argomento...è l'espressione. Matrimonio a pezzi. Ma come parla...
- Preferisce rapporto in crisi ? Ma è così kitch...
- Kitch! Dove le andate a prendere queste espressioni, dove le andate a prendere...
- Io non sono alle prime armi!
- Alle prime armi...ma come parla?
- Anche se il mio ambiente è molto cheap…
- Il suo ambiente è molto...?
- È molto cheap,
- (schiaffeggiandola) Ma come parla?
- Senta, ma lei è fuori di testa!
- E due. Come parla! Come parla! Le parole sono importanti. Come parla!
Le parole, è vero, sono importanti. Proprio per questo, prendiamo le distanze dall’uso del termine “deportazione”, che tante volte, in questi giorni, è stato associato alla mobilità forzata dei precari della scuola coinvolti nel piano straordinario di assunzioni. Una transumanza voluta dall’attuale governo, presieduto da Matteo Renzi, e realizzata attraverso la legge 107/2015, la cosiddetta “Buona scuola”.
Il termine “deportazione”, come Lei ricorda, rimanda a ben altre migrazioni forzate, incommensurabilmente più tragiche, che rimarranno per sempre nella memoria collettiva.
Vogliamo dunque manifestarLe la nostra solidarietà per le accuse e gli insulti che Le sono stati rivolti per aver esternato, non senza coraggio, il Suo disappunto sull’uso improprio di quella parola.
Ci preme ricordarLe, tuttavia, che le parole sono importanti sempre, e che l’invito a una maggiore precisione non può giungere solo da una parte, o a seconda delle circostanze.
Il termine “deportazione”, a cui Lei ha fatto giustamente riferimento, è molto in voga tra voi giornalisti, ed è spesso usato fuori luogo, senza neppure la pseudo-giustificazione di un dramma esistenziale o familiare.
Il pressappochismo è ciò contro cui gli insegnanti lottano ogni giorno in classe e - non ce lo nascondiamo - l’esempio peggiore viene spesso da chi fa il Suo mestiere.
Sarebbe inutile, e penoso, stare qui a ricordarLe quante volte, anche durante le edizioni del telegiornale che Lei dirige, ci si trova a dover ascoltare espressioni ormai vuote, frasi fatte, notizie poco approfondite, se non addirittura mistificate. Eppure, quante volte ancora dovremo sentir parlare di “emergenza sbarchi”, di “esodi estivi”, di teorie pseudoscientifiche e ricostruzioni storiche in stile colossal di serie B?
Se le nuove generazioni non credono (ancora) a tutte le stupidaggini che girano in rete, è forse anche merito di chi fa il nostro mestiere, e insegna a spulciare fra le fonti.
Non è nostra intenzione incolpare l’intero giornalismo italiano; così come, vogliamo sperare, il Suo post non intendeva additare l’intera categoria degli insegnanti.
I giornalisti a cui ci riferiamo - e sono tanti - sono quelli, ad esempio, che hanno fatto cattiva informazione sulla scuola.
Parlare della riforma scolastica (come ha fatto la redazione scuola di Metro) avrebbe voluto dire, innanzitutto, approfondire l’argomento, e non semplicemente inseguire la notizia. Avrebbe voluto dire spiegare cosa è stato il precariato della scuola statale italiana: una piaga che, in alcuni casi, esiste da oltre vent’anni. Avrebbe voluto dire specificare che i docenti non vanno in ferie per tre mesi, e che lavorano, come dimostrano studi accreditati, almeno 36 ore settimanali, in linea con la media dei paesi europei ma con una tra le retribuzioni più basse. Questo sarebbe stato approfondire.
Un approfondimento serio avrebbe comportato la condanna delle parole di una Ministra che definisce i suoi dipendenti squadristi, abulici, sindacalizzati (come se questo fosse un insulto); avrebbe significato spiegare che i docenti ‘vogliono’ essere valutati, ma prima gradirebbero sapere come, da chi e con quali strumenti. Approfondire sarebbe stato spiegare che i test INVALSI, da voi giornalisti acriticamente difesi, sono invece, nel resto mondo, sempre più contestati o, quanto meno, ridimensionati nel loro valore; sarebbe stato rimarcare come molti dati sulla scuola statale e non statale, considerati scontati, scontati non sono: come, ad esempio, quelli sulla maggiore qualità dell’istruzione privata (anche in Europa), o sulla differenza tra scuole del Nord e del Sud.
Ma soprattutto, un vero approfondimento avrebbe spiegato perché la mobilità realizzata da questa riforma, oltre che inutile e caotica, sarà anche dannosa e, in molti casi, crudele.
Insomma, gentile Direttore, comprendiamo davvero il Suo rammarico per l’uso del termine “deportazione”. Nondimeno, ci auguriamo che la Sua richiesta di onestà intellettuale non si esaurisca in quella coraggiosa ramanzina, ma La spinga, con la dedizione che persino la parodia di Maurizio Crozza Le riconosce, ad esplorare quegli argomenti che il Suo telegiornale, fino ad ora, ha trattato in maniera tristemente sommaria.
Se servisse, Le offriamo la nostra collaborarazione.
In attesa di un Suo cortese riscontro, Le porgiamo distinti saluti.
(Fonte dell'articolo: Gessetti Rotti)
Oggi quell'articolo e quella polemica mi tornano in mente. Sono passati tre anni, di migrazioni forzate ne giungono ben altre, siamo in epoca di respingimenti illegali, di ricollocamenti (aka, deportazioni reali) richiesti e rifiutati, di lager libici e di spari sui "diversi", siamo in un'epoca in cui il diritto di critica viene stroncato con il furbo motto del "lasciateli lavorare".
Oggi dove sono quegli insegnanti che gridavano alla deportazione? Dove sono quelle piazze che hanno gridato allo scempio delle vite, alle famiglie distrutte, ai sacrifici e ai sentimenti villipesi?
È una domanda retorica: quegli insegnanti stanno aspettando di raccogliere l'obolo sperato per il consenso al nazionalpopulismo, e di fronte al vero dramma della migrazione stanno muti e si voltano dall'altra parte.
In primis quei sindacalisti che all'epoca hanno fomentato la piazza e che, oggi, forti delle loro posizioni nei sindacati di base, ringraziano il ministero del tutto per le sue politiche contro i migranti, quelli veri.
Ecco, di tutto cuore, mi fate schifo.
Commenti
Posta un commento