La differenza tra legalità e giustizia

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Questi i fatti: il ministro degli interni Matteo Salvini ordina, in accordo con la sindaca di Roma Raggi, lo sgombero di un campo nomadi. È da notare che nessun piano è stato studiato per il post sgombero, in pratica si compie un atto di forza, adducendo come motivazioni l'ordine pubblico e il rispetto della legalità, ma le persone che saranno sgomberate saranno di fatto sfollate, per cui, a meno che non si pensi ad una qualche "soluzione finale", finiranno comunque per allestire un altro campo nomadi, magari solo a qualche centinaio di metri da quello sgomberato. Alcuni fra gli sgomberati avevano tuttavia fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che aveva dato ragione ai ricorrenti e imposto la sospensione dell'attuazione del provvedimento fino alla giornata di venerdì, in attesa di una decisione definitiva. Ugualmente il ministro nella giornata di oggi ha deciso di imporre lo sgombero, definendo i Rom presenti nei campi come dei parassiti.
Di fatti gravissimi ce ne sono tanti: la definizione degli abitanti dei campi nomadi come parassiti; la violazione di un'ordinanza della più alta corte europea, quella che era nata per difendere i diritti di ogni persona, in quanto tale, contro ogni violazione dei diritti umani, a seguito degli orrori della Seconda guerra mondiale; i commenti entusiastici e razzisti in rete; la violenza verbale nei confronti di chi si oppone al provvedimento.
La questione, se vogliamo, è anche più alta, più profonda, e se possibile più paurosa. Sempre di più stiamo slittando dal concetto di giustizia a quello di legalità, che va di pari passo con quello di ordine. Sia chiaro, normalmente questi tre concetti dovrebbero andare di pari passo. Quando però alcuni prevalgono sugli altri, allora siamo in presenza di una deriva autoritaria. Nell'Apologia di Socrate Platone ricorda un episodio della vita del suo maestro: i Trenta tiranni, oligarchi, alcuni dei quali anch'essi discepoli di Socrate, ma espressione della volontà politica di Sparta, città vincitrice nello scontro contro Atrene, chiamarono l'anziano filosofo al loro cospetto. Egli aveva già espresso critiche nei loro confronti, così essi, per domarlo o eliminarlo, gli imposero con un atto di legge di andare ad arrestare un oppositore politico per essere condannato a morte. Socrate, udito l'ordine, si allontanò dai Trenta e si ritirò a casa sua, senza eseguire quanto impostogli dalla legge. Socrate aveva deciso di seguire la giustizia anziché la pura legalità. Ne sarebbe seguita la sua condanna a morte, se i Trenta tiranni non fossero stati deposti di lì a breve, e nondimeno la voce di Socrate rimase critica anche nei confronti dei restauratori della democrazia, tanto da essere condannato a morte proprio dal regime che con il suo esempio aveva difeso, ed essere condannato a morte, ancora, per la sua scelta di seguire giustizia anziché legalità.
Su cosa si fonda la scelta di Socrate?
Può l'atto di legge di colui che sta sovvertendo i fondamenti della democrazia essere considerato valido, quando esso stesso viola i fondamenti del potere da cui trae origine? L'atto dei Trenta tiranni è ingiusto perché, se la legge fonda il suo potere sulll'essere espressione non della volontà popolare, ma della volontà popolare normata dal diritto nel superiore interesse della Persona (concetto che invero nella filosofia greca non esiste se non in nuce) in quanto tale e come fondamento dello Stato, ecco, in questo senso l'atto di legge può anche essere legale, tuttavia è ingiusto. Al contrario, il non rispettare la legge da parte di Socrate, ponendo al centro il valore della Persona come base stessa dello Stato, è atto illegale e tuttavia più giusto della legalità.

Certo, Socrate è esempio lontano, lontanissimo. Ma di giusti ne abbiamo conosciuti altri nel corso dei secoli. Si pensi ai giusti tra le nazioni, coloro che hanno disobbedito alle leggi razziali difendendo gli ebrei e non solo dalla deportazione e dallo sterminio nazifascista.
Cosa accomuna i giusti dei vari secoli e Socrate? La decisione di agire a proprio rischio e pericolo. Perché è molto più semplice sbandierare la legalità che agire secondo giustizia. La giustizia richiede sforzo, richiede capacità di mediazione, la comprensione del fatto che eguaglianza non vuol dire equità, che ripartire in parti uguali tra diseguali è atto di ingiustizia; molto più semplicemente, la legalità richiede la forza per essere attuata, e la forza, primigenea manifestazione di una virilità più millantata che reale, è da sempre attrattiva per chi non vuole andare oltre una rapida occhiata, come due grossi seni sono a prima vista più interessanti di una mente ben fatta.
Tuttavia, quando l'applicazione della forza nell'imposizione della legalità segue criteri di giustizia, allora si crea uno Stato ben ordinato e democratico; ma se l'applicazione della forza nell'imposizione della legalità è il fine, non il mezzo, allora non si crea uno Stato ordinato e democratico, ma ci si avvicina a passi veloci verso una dittatura, che la si chiami o no con questo nome poco cambia.

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