Perché l'attacco al politicamente corretto dovrebbe farci paura
Così Vittorio Feltri oggi su Libero, come riportato su Facebook da Antonella Rampino |
Ma cosa intendiamo quindi con politicamente corretto, e di conseguenza, cosa si sta attaccando? Il linguaggio politicamente corretto è un registro linguistico che si sforza di scegliere delle parole che, inserite nella loro serie dei campi semantici, possano essere il più possibile prive di una caratterizzazione negativa. Esempio: è politicamente corretto parlare di persone diversamente abili anziché di handicappati, così come è politicamente corretto parlare di persone di colore anziché di negri o gialli. Chi attacca il politicamente corretto sostiene che si tratti di una forma di ipocrisia che tende a nascondere il problema sotto il tappeto (per esempio se io definisco diversamente abile una persona con un ritardo mentale faccio finta di non vedere che probabilmente non riuscirà mai ad eseguire calcoli o ragionamenti particolarmente complessi, per cui sarebbe preferibile il termine disabile) o che siano scelte ipocrite (come dice un mio alunno, un negro è negro anche se lo chiamo persona di colore). Eppure il politicamente corretto, come dicevamo, ha l'enorme merito di spostare il ragionamento non sulle singole parole ma sui campi semantici: la parola negro rimanda alla lunga tradizione dello schiavismo, come invece non fa la definizione di comodo di colore, e la forma diversamente abile rimanda ad altre abilità che potrebbero essere caratteristica della persona con handicap, mentre la parola handicappato rimanda alla lunga tradizione di segregazione e vergogna nei confronti degli anche detti subumani, fino alla follia eugenetica nazista. Le parole quindi non esistono solo in sincronia, ma si portano dietro tutta la loro storia che ha un peso. Questo risolve i problemi, ovvero risolve l'handicap o la discriminazione razziale? No, ma aiuta a percepire i problemi in maniera più definita.
Tornando a Feltri e al suo intervento, cosa accade qui? In questo caso la scelta delle parole di Feltri conduce a spostare il giudizio dal ciò che hanno fatto/è accaduto al ciò che sono tutti i protagonisti per me, tra l'altro, con il potere di un medium, un giornale, che fa credere oggettivo ciò che oggettivo non è. Tutto questo in nome di un linguaggio che vuole essere politicamente scorretto. Si avvalora quindi un metodo che è quello della deumanizzazione, così come teorizzato da Volpato e Ravenna nei loro saggi sulla pratica della deumanizzazione nella propaganda hitleriana.
Va aggiunta un'altra cosa: in questo intervento si sta giocando con le parole pericolosamente estendendo, dicevamo, ad un insieme (nigeriani, ma potrebbe essere benissimo italiani) le caratteristiche di una persona (il colpevole di un reato), mentre il rapporto è inverso, essere un italiano o un nigeriano non fa di me in automatico una persona onesta o un delinquente, applicando quindi lo stilema della fallacia logica di composizione, un errore logico che viene spesso adoperato a posta per estendere caratteristiche individuali ad un gruppo sociale. Questo vuol dire cancellare il concetto di persona, variamente inteso nella società occidentale, sia che coincida con lo stesso esistere del singolo essere umano, sia che si tratti della sua capacità di adoperare il logos, il ragionamento. Spesso questo tipo di argomentazione si associa a quella utilitaristica, per cui il giudizio sulle persone (in questo caso i presunti colpevoli di omicidio) cambia a seconda dell'utilità dell'individuo all'interno della comunità. Una persona tuttavia, comunque la si intenda, non è tale perché è utile o inutile, secondo questo criterio anche la vitttima non era una persona, costituiva un costo sociale per la comunità con la sua riabilitazione e i conseguenti costi sanitari, e avrebbe allora ragione Feltri. Una persona è tale in quanto tale; nel momento in cui i criteri del nostro giudizio diventano invece A) soggettivi (passare dal ciò che ha fatto/fa al ciò che è per me) e B) utilitaristici stiamo attaccando il concetto stesso di persona, un concetto nato nell'antichità classica ma che ha caratterizzato soprattutto il nostro pensiero dal 1700 ad oggi; l'attacco al concetto di persona, per caratterizzare invece l'individuo in base alla sua appartenenza ad un gruppo etnico, religioso o sociale, o alla sua utilità, è stato storicamente alla base della propaganda totalitarista, come già detto. Non per niente gli storici, definendo, i totalitarismi, parlano anche di attacco al pensiero moderno in favore di uno premoderno. Per fare un esempio chiarificatore, Dante, autore premoderno, avrebbe giudicato un individuo in base alla sua appartenenza sociale e religiosa, per cui un pagano, prima di essere un giusto, era comunque un pagano, e per questo destinato al Limbo o all'Inferno.
Insomma attenzione alle parole che usiamo perché dicono molto di più di quello che crediamo. Lo sdoganamento del politicamente scorretto o, ugualmente, l'attacco al politicamente corretto possono costituire un tentativo di tornare ad un giudizio a priori sulla persona, in quanto appartenente ad una categoria definita dalla religione, dall'etnia, dalle caratteristiche fisiche o morali, con un conseguente arretramento concettuale dalle conseguenze senz'altro nefaste.
- Ravenna, M. (2006). Gli psicologi di fronte alle atrocita’ sociali. Aspetti del funzionamento psicologico dei perpetratori, in A. Chiappano e F. Minazzi (a cura di) Il paradigma nazista dell’annientamento. La Shoah e gli altri stermini, Firenze, Giuntina, pp.209-222, ISBN 88-8057-244-X
- Volpato,C. (2011) Deumanizzazione. Come si legittima la violenza, Laterza, Bari-Roma, pp. 180.
- https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10215334043448057&set=a.10211103936898037.1073741825.1344861785&type=3&theater
- http://libramenteblog.blogspot.it/2017/06/de-saussure-wittgenstein-dalla.html
- http://libramenteblog.blogspot.it/2017/07/linguaggio-e-senso-la-costruzione-della.html
- http://www.dif.unige.it/epi/did/fallacie.htm
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