Wallace, il soliloquio, Faulkner e Proust
Nell'immaginario comune, nella gran parte dovuto e modellato dalle esigenze scolastiche, le grandi innovazioni della letteratura contemporanea traggono origine nelle opere di Virginia Woolf, Joyce, Mann, Pirandello e Svevo (al massimo D'Annunzio). Lasciando perdere la sopravvalutazione dell'impatto e dell'importanza dei tre italiani, chi rimane fuori da questo panorama sono due autori, in realtà molto più influenti, ma di molto più difficile lettura. Parliamo ovviamente di Proust e Faulkner. La scrittura novecentesca, anzi, si forma ad imitazione o in contrapposizione al periodare di questi due grandi.
Quanto detto prima risulta evidente osservando il periodare di alcuni giganti contemporanei. Fra i grandi degli ultimi quindici anni, uno risulta particolarmente influenzato dalle sperimentazioni sopracitate: David Foster Wallace. Si legga per esempio il seguente soliloquio tratto da La scopa del sistema (capitolo V),
Mettiamo che qualcuno mi avesse detto, dieci anni fa, a Scarsdale, o magari in treno mentre andavo al lavoro, mettiamo che questo qualcuno fosse il mio vicino di casa, Rex Metalman, il consulente societario dotato di figlia incredibilmente ancheggiante, mettiamo che ciò avvenisse prima dell’aggravarsi della sua ossessione per il prato e dei conseguenti pattugliamenti notturni di tipo paramilitare a bordo di falciaerba dotato di fari, e dei settimanali bombardamenti aerei di ddt per radere al suolo tutt’al piú una misera tana di lombrichi, e della sua assoluta intransigenza di fronte alle ragionevoli e inizialmente garbate insistenze da parte prima di uno e poi di tutti i vicini tese a fargli mitigare magari anche gradualmente le ostilità contro i potenziali nemici del suo prato da cui si sentiva braccato, e altresí prima che tutto ciò scavasse nella nostra amicizia a base tennistica un solco largo quanto un sacco di fertilizzante Scott’s, mettiamo dunque che Rex Metalman avesse ipotizzato, allora, che dieci anni piú tardi, cioè a dire adesso, io, Rick Vigorous, mi sarei ritrovato ad abitare a Cleveland, tra un lago biologicamente defunto nonché oltraggiosamente fetido e un deserto artificiale da un miliardo di dollari, che mi sarei ritrovato divorziato da mia moglie e fisicamente esiliato dallo sviluppo di mio figlio, che mi sarei ritrovato a condurre un’azienda in società con una persona invisibile ovvero, come risulta ormai evidente, con poco piú che un’entità societaria interessata a perdite finanziarie a scopo fiscale, azienda dedita a pubblicare cose forse addirittura piú risibili del non pubblicare un accidenti di niente, e che appollaiato in cima a questa montagna di cose incredibili ci sarebbe stato il mio ritrovarmi innamorato, banalmente e pateticamente e furiosamente innamorato di una donna piú giovane di me di ben diciotto, diconsi diciotto, anni, una donna che appartenesse a una delle famiglie piú in vista di Cleveland, che abitasse in una città di proprietà del padre e che tuttavia sgobbasse come centralinista per uno stipendio di qualcosa come quattro dollari l’ora, una donna la cui tenuta consistente di vestito in cotone bianco e Converse nere modello alto fosse una costante conturbante e refrattaria a ogni analisi, una donna che si sottoponesse a un totale di docce giornaliere che sospetterei oscillare tra le cinque e le otto, che lavorasse nevroticamente come quei balenieri che in penuria di balene passano il tempo a incollar conchiglie per farne souvenir, che coabitasse con un uccellino schizofrenicamente narcisista e con un’amica stronza e quasi sicuramente ninfomane, e che in me trovasse, nascosto chissà dove, l’amante ideale... mettiamo che tutto ciò me l’avesse pronosticato un Rex Metalman in vena di chiacchiere, appoggiato alla staccionata che separava la sua proprietà dalla mia, lui con in mano il suo lanciafiamme e io col mio rastrello, mettiamo dunque che Rex mi avesse pronosticato tutto ciò: io quasi sicuramente gli avrei detto che le probabilità che queste sue profezie si avverassero equivalevano all’incirca a quelle che il giovane Vance Vigorous, all’epoca bimbo di otto anni eppure per certi aspetti piú uomo di me, che il giovane Vance, quel giovane Vance probabilmente lí accanto a noi in quel momento e intento a calciare su nel freddo cielo autunnale un pallone destinato poi a tornar giú e spaccare una finestra mentre la sua risata echeggiava all’infinito tra i gracili fusti degli alberi suburbani, che il ben piantato Vance diventasse un... un omosessuale, o qualcosa di altrettanto improbabile o assurdo o totalmente fuori discussione.
In questo passo tecnicamente mirabolante l'influenza di Faulkner e Proust si misura in un periodo che raggiunge livelli di subordinazione profondissimi; il narratore, per tenere assieme i pezzi del ragionamento, lavora sulle reiterazioni e sul magistrale uso dei connettivi. Il climax viene raggiunto attraverso il sommarsi degli elementi che compongono la protasi del periodo ipotetico, che poi si scioglie nelle rapide correlazioni dell'apodosi. La tensione crescente avvince il lettore mentre l'occhio allarga e restringe la sua visuale, dalla città al deserto al giardino del vicino di casa. Un movimento concentrico che si muove tra significato e forma che stupisce il lettore e lo costringe all'attenzione. La lezione proustiana e quella di Faulkner sono qui ammirevolmente apprese, portate all'estremo, in uno dei brani più iconici della letteratura contemporanea.
Wallace, David Foster., and Sergio Claudio. Perroni. La Scopa Del Sistema. Torino: Einaudi, 2015. Print.
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