In regione la discriminazione inizia dai bambini

Forse non tutti sanno che il 14 febbraio del corrente anno, il 2017, la regione Veneto, su proposta di Maurizio Conte e Giovanna Negro, ha approvato la proposta di revisione della legge 23 che regolamenta le precedenze nell'accesso agli asili nido. Se la legge 23 del 1990 aveva come obiettivo l'inclusione e, attraverso l'istituto degli asili nido, il facilitare il reinserimento delle mamme nel mondo del lavoro, la revisione approvata dalla giunta regionale ha come obiettivo evidente la discriminazione. Nella suddetta revisione leggiamo infatti che hanno la precedenza, oltre ai bambini disabili (e meno male)
i figli di genitori residenti in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni.
 La ratio del provvedimento sarebbe il ritenere che
si debbano privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un serio legame con il territorio della nostra Regione, vuoi perché vi risiedono da almeno quindici anni, vuoi perché vi lavorano da almeno quìndici anni.
A leggere queste parole potrebbe venire da ridere, se non fosse che, di fatto, stiamo parlando di discriminazione nel senso letterale del termine. Traducendo dal politichese e facendo un po' di rapidi calcoli, si dice infatti che vengono esclusi (visti gli scarsi posti a disposizione) dagli asili nido, tutti coloro che, facendo una media, non vivono in Veneto almeno dall'adolescenza. Se pensiamo infatti che la fascia d'età media in cui si fanno figli va dai 25 ai 35 anni circa, dire che hanno la priorità coloro che vivono in regione o lavorano in Veneto da quindici anni, vuol dire che in realtà bisogna essere nati o essere arrivati in regione entro i quindici anni di vita per poter sperare, un giorno, di avere un posto negli asili nido.

Che l'intento sia discriminatorio è chiaro a tutti, sia alle opposizioni sia a chi ha votato sulla base, dichiarata, del voler dare priorità a chi è un veneto doc. In questo modo si fanno fuori dalle graduatorie in primis i migranti extracomunitari o comunitari, vittime della sempre più pressante propaganda politica xenofoba che anima le campagne elettorali in regione, ma si mettono in coda nelle graduatorie anche altri cittadini italianissimi che, magari, hanno la colpa di essere arrivati in Veneto, non dico dalla Sicilia (come è il mio caso), ma magari dalle confinanti Emilia e Trentino troppo tardi. Il tutto per un posticcio attaccamento al territorio che è in realtà provinciale paura del diverso: anziché investire nel miglioramento delle infrastrutture, escludiamo dai servizi quelli che non ci piacciono. Ancora di più: viene ribaltato il principio della legge regionale 23. La donna che giunge oggi in Veneto, o che magari è giunta 14 anni fa ed ora ha un figlio, in questa situazione si troverà a faticare ancora più del normale nel reinserirsi nel mondo del lavoro (e dovrà probabilmente farlo a costi molto alti, pagando baby-sitter o asili nido privati); se non riuscirà, perché per esempio già in condizioni di marginalità sociale, verrà ancor di più messa in condizione di esclusione dalla società e, se straniera, nell'impossibilità di ogni vera integrazione nel tessuto sociale di riferimento. Lo stesso accadrà ai bambini, alimentando quel circolo che poi permetterà di lamentare nelle future campagne elettorali la scarsa integrazione dello straniero che non vuole essere come noi. La politica che alimenta le paure per poter sopravvivere.

Interrogato sulla questione dalla deputata Pia Locatelli del PSI, il ministro Per gli Affari Regionali Enrico Costa ha ricordato che il governo nazionale avrà tempo fino al 25 aprile per impugnare la legge regionale. Tuttavia la questione non sembra all'ordine del giorno.

È un fatto che, attraverso la campagna elettorale e una serie di provvedimenti di legge, la regione Veneto sta conducendo una politica discriminatoria: da un lato la proclamazione del bilinguismo italiano-veneto e della tutela della minoranza etnica veneta con lo scopo dichiarato di escludere dall'amministrazione pubblica funzionari non provenienti dal veneto e non graditi attraverso l'escamotage della mancata conoscenza della lingua e, ad un tempo, lo stravolgimento del principio di tutela delle minoranze, che avrebbe dovuto difendere le vere minoranze etniche come quelle rom e sinthi, tutelandone anche la cultura, e che ora invece prevede la difesa etnica e linguistica della maggioranza sulle minoranze eventualmente presenti; dall'altro con il primo vero tentativo di esclusione dai servizi primari di coloro i quali non possano vantare una presenza in regione configurabile come la nascita in loco. Sono piccoli passi, ma il percorso intrapreso è chiaro e per molti aspetti preoccupante.

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