Per favore, leggete l'Iliade
Con il passare dei decenni, una delle letture più importanti e che più aveva caratterizzato la scuola italiana, la lettura di brani scelti dell'Iliade, è andata sparendo in favore di altri testi ritenuti più attuali. Senza voler discutere la qualità artistica delle scelte fatte nella redazione delle antologie, viene da chiedersi però se queste decisioni siano state frutto di reale conoscenza dei testi proposti, o se siano piuttosto dipese dal volgere delle mode e degli eventi.
Una conoscenza dell'Iliade che vada oltre la lettura scolastica (quella che in genere si fa al biennio delle superiori, per intenderci), avrebbe forse potuto portare ad una maggiore tutela di quello che è, in primis, il testo fondativo delle letterature europee. Questo post quindi, lungi dal voler essere un'approfondita disamina dell'opera omerica, si propone piuttosto come tentativo di riscoperta e di dimostrazione d'affetto per un'opera ingiustamente sottovalutata.
Partendo dal primo canto dell'Iliade, ciò che pochissime antologie osservano è il distacco, l'ironia con cui narratore e autore guardano alla loro opera. Certo, non ci troviamo di fronte alla crassa risata di Euripide o a quella malinconica di Terenzio, eppure in molte parti del testo Omero o chi per lui gioca con il suo lettore, in particolare gioca con il suo lettore riguardo a ciò che il lettore, o meglio, l'ascoltatore di questi canti, già conosce, ossia la trama dell'opera. Sin dalle prime battute la questione che ci si pone non è quale sarà il destino di Achille o degli Achei, del resto nessuna delle due sorti troverà compimento nell'Iliade, bensì ciò che conta è il come e il perché i fatti si svolgono.
L'ira di Achille quindi come prima chiave di lettura dell'opera, certo, ma come chiave di lettura ironica. Perché l'ascoltatore del rapsodo sa già che non di una sola ira si parla, bensì di due: la prima, verso Agamennone, per una questione d'onore che troppo spesso è raccontata come questione d'affetti, che tante morti causerà agli Achei con il ritiro del figlio di Peleo dalla contesa; la seconda ira, questa sì, per una questione d'affetti, troppo spesso raccontata come figlia dell'onore colpito dalla morte ingiusta di Patroclo.
Continuando con le tecniche di rappresentazione dei personaggi, e volendo adoperare l'Iliade come strumento per un approfondimento narratologico, oltre che simbolico, Patroclo diventa uno dei personaggi più interessanti. L'amico, il mentore e l'amante di Achille è, fra le tante cose, anche l'agnello sacrificale della vicenda. Occorrerà la morte di Patroclo perché la vicenda possa passare dalla sua prima fase, quella della contesa tra il figlio di Peleo e l'atride Agamennone, alla sua seconda fase, la resa dei conti tra il campione degli Achei e quello dei Troiani, Ettore. Proprio perché vittima sacrificale Patroclo merita di morire nel massimo degli onori, vittima non di un uomo ma di una trinità umana e divina assieme (Apollo, Euforbo ed Ettore), mentre le sue azioni, ironicamente fraintese da parte di Ettore, muoveranno all'azione e al tanto agognato ritorno il protagonista più lungamente atteso della storia della letteratura. E a Patroclo, e solo a Patroclo, andrà la simpatia del narratore, unico fra i personaggi dell'opera a cui, almeno una volta, Omero si rivolgerà in un'invocazione dandogli il tu della confidenza e della compartecipazione.
L'Iliade è infatti storia corale, in cui si muove una pletora di personaggi, ciascuno caratterizzato a suo modo, talvolta in maniera contraddittoria. Ed è a suo modo opera che in nuce porta tanta sensibilità futura: nell'immagine della famiglia troiana, la sposa Andromaca che, alla presenza di Astianatte, implora l'amato marito di non tornare in guerra, o nelle parole varie di Elena vinta da un amore non mai ricercato e immaginato, si pongono le basi per la letteratura a tema amoroso che tanta importanza avrà nella storia europea.
Ma l'Iliade può essere anche specchio attraverso cui osservare l'evoluzione delle nostre idee e dei nostri costumi. Con le sue assemblee, con i suoi ideali rigidamente aristocratici, con la sua società fondata sul diritto non scritto, su convenzioni ataviche e su rapporti di forza, l'opera omerica ci ricorda quanto sia sbagliato pensare che l'uomo sia sempre stato uguale a se stesso e quanto le nostre idee siano mutevoli come le parole, sempre fuggenti, secondo l'epiteto omerico.
Ettore: l'eroe per cui qualsiasi lettore dell'Iliade si trova, in qualche maniera, a simpatizzare. Egli è solamente uomo di fronte al figlio di una dea, e come tale fugge. Egli cede al terrore prima, all'inganno poi, e affronta Achille. Ma la sua morte comincia ben prima, sul corpo quasi esanime di Patroclo, mentre lo accusa, a torto, di aver pensato possibile a lui, un eroe tutto sommato minore, di uccidere il campione di Ilio, di essere stato spedito nel massimo disprezzo da Achille stesso. Lì Ettore comincia a morire, e sono le parole premonitrici di Patroclo a dircelo. Non conta che muoia, conta il perché.
Ettore muore perché è destino che accada. Ettore muore proponendo un patto tra gentiluomini al suo rivale, avversario ma non nemico.Ma perché anche per Achille giunga la maturità occorrerà ancora del tempo e l'approssimarsi, anche per lui, della morte.
Su Ettore si sfogheranno ira violenta e amore perduto di Achille; vinto il nemico, ne inizierà lo scempio. Non conta la morte di Ettore per il lettore, essa era già annunziata ed è cosa nota nel patrimonio culturale di ogni buon greco prima ancora della lettura dell'Iliade: conta il come, conta il perché.
Perché è Achille il protagonista di questa vicenda? Perché l'eroe che più a lungo manca dalla battaglia è il centro del primo verso dell'opera? Perché l'Iliade è, soprattutto, la storia di una formazione, di una maturazione. L'Iliade è la storia in cui è impossibile definire chi sia il buono e chi sia il cattivo fra il protagonista, Achille, e l'antagonista, Ettore. Non sarà tanto la profezia di Ettore morente, l'annuncio dell'avvicinarsi della morte di Achille, ad avviare la formazione del figlio di Peleo; sarà piuttosto l'inaspettato confronto con il padre del nemico, Priamo, a costringere Achille a compiere il passo, trasformarsi dal passivo esecutore dei suoi istinti in un uomo saggio, colui che invita il re in ginocchio ai suoi piedi a mettersi ritto, ché non gli si addice quella posizione, e a piangere assieme, ma con moderazione, ciascuno le proprie disgrazie. Fino alla conclusione gnomica del dialogo, alla presa d'atto che è destino degli uomini la sofferenza, ma che è scelta dell'uomo saggio sopportarla, senza da essa lasciarsi vincere.
È nell'Iliade che comincia la rivolta, ironica, silenziosa, contro il destino, il fato, la divinità cieca che mali procura all'uomo per il suo diletto. Questa rivolta non è ancora titanismo, non è ancora laicità, ma è già sopportazione, in un'inversione di ruoli in cui la maturità e la saggezza spettano all'uomo, il capriccio e l'arroganza al dio.
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