Rozzano, Benedetto Croce, Oriana Fallaci e i fondamentalismi
Dopo il caso del dirigente scolastico di Rozzano, gli interventi sul valore del Natale, sul Cattolicesimo a scuola, sul presepe e il crocifisso in classe non si sono fatti attendere. Dai sondaggi effettuati sull'opinione pubblica a partire da un caso montato ad arte (perché di questo si tratta, come chiarito da diverse testate giornalistiche e non, per esempio Butac), viene fuori un'Italia radicalizzata nella sua identità cattolica, fortemente legata all'idea che la cultura italiana si identifica nel Cattolicesimo (finanche l'intero Occidente, ad essere precisi). Fra gli altri, a fondamento di questa idea condivisa addirittura dall'ottantasette per cento della popolazione, viene citato Perché non possiamo non dirci "cristiani" di Benedetto Croce.
Ecco, Benedetto Croce si incacchierebbe alquanto. Per chi non lo sapesse, Croce era un laico, un po' come Montale, sempre tenutosi lontano dalle due croci, quella nera e quella rossa, che parimenti guardava dall'alto in basso. Si potrebbe discutere a lungo dell'Idealismo crociano, del suo valore culturale e dei suoi limiti, ma ciò che qui preme fare è ricondurre le idee del filosofo ai loro limiti. Quando Croce diceva che non possiamo non definirci cristiani intendeva dire che, di certo, la rivoluzione culturale del Cristianesimo ha impregnato profondamente l'Occidente. Finché ci limitiamo a questa idea, non si può non condividere la tesi. Tuttavia, con Croce, ci si ferma qui. Se la storia dell'Occidente si è caratterizzata, negli ultimi duemila anni, anche del Cristianesimo, essa tuttavia non si limita ad esso. Sia perché c'è un prima del Cristianesimo, almeno trentamila anni di homo sapiens in Europa, sia perché ci sono un durante e un dopo il Cristianesimo. Se consideriamo l'eterna dialettica tra tesi, antitesi e sintesi in cui lo stesso Croce credeva, l'Occidente di oggi non è solo il Cristianesimo, bensì la sintesi, contorta e magmatica, del Cristianesimo e della sua antitesi, antitesi che non sta in altre religioni, ma nella negazione del sentimento religioso, relegato ad elemento privato a partire dalla rivoluzione scientifica del Seicento. Dove si trova questa sintesi? La si scorge nei valori, contraddittori anch'essi, proclamati dall'Illuminismo, nella sua estensione relativista che giunge fino ai giorni nostri, fino ai postulati ludici e nichilisti del Postmodernismo. È con l'Illuminismo, lo ripeto, un modello culturale che ci culla ancora oggi, che possiamo dire che, è vero, gli europei non potevano non definirsi cristiani, e tuttavia non lo sono più. O almeno, non lo sono nei presupposti, sebbene continuino ad esserlo nei fatti.
Perché risulta così difficile osservare come i valori dell'Illuminismo, pur nascendo anche da quelli cristiani, li superino, non certo in maniera pacifica o priva di contraddizioni?
Perché non abbiamo gli occhi per osservare. Come nessuna cultura ha gli occhi per osservare se stessa.
Già nel terzo secolo d.C. i Persiani chiamavano l'impero romano come l'impero dei cristiani, eppure i romani stessi faticavano a considerare il Cristianesimo come il tratto culturale che li caratterizzava. Allo stesso modo ogni cultura vive dando valore a certi tratti culturali e ignorandone altri, che tuttavia, nella pratica, possono essere parimenti importanti, se non addirittura fondamentali. Qualsiasi induista giurerà la sacralità delle vacche, nessuno riconoscerà che, in una qualche maniera, anche gli animali sacri vengono fatti morire: eppure accade; in certi quartieri del Brasile le donne sono pronte a giurare che, con l'aiuto di Dio, cureranno alla stessa maniera tutti i loro figli, eppure alcuni di essi, caratterizzati da certi tratti ben precisi, vedranno tassi di mortalità molto più alti della media; la giustificazione sarà sempre la stessa: era incurabile, il Signore se l'è preso per farne un angelo.
Siamo pronti a far valere la nostra visione etica, nel senso antropologico del termine, nell'osservazione dei fanatismi e dei fondamentalismi altrui, ma non ci rendiamo conto di come, di fronte ai nostri fondamentalismi, prevalga la visione emica, empatica, che si riconosce nei valori che dovrebbe studiare. Non abbiamo gli occhi per vedere.
"Non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici", la frase scritta da Oriana Fallaci a seguito degli attentati di giorno undici settembre duemilaeuno è l'esempio evidente di questa contraddizione: presa come un mantra dalla gran parte dell'opinione pubblica, questa affermazione non è in grado di spiegare, ma neanche di categorizzare, i fondamentalismi cristiani, seppure essi esistano: si pensi alla chiusura nei confronti delle unioni omosessuali, delle adozioni da parte di coppie di fatto e omosessuali, nei confronti dell'aborto, si pensi al genocidio della minoranza islamica perpetuato in Bosnia e in Kosovo frino agli anni duemila, si pensi alle azioni di gruppi radicali negli USA o in Sud America, si pensi ai gruppi di terroristi africani nell'Africa centrale, alla persecuzione contro la popolazione musulmana sistematicamente portata avanti dalla Russia di Putini, infine si ricordi l'attentato di Anders Breivik in Norvegia, il più grave atto terroristico, dopo l'attentato del Bataclan, realizzato in Europa a partire dalla Seconda guerra mondiale.. Sono tutte situazioni che fanno il palio con i fondamentalismi di qualsiasi altra religione, ed elencarli in maniera analitica non vuole ridurre l'importanza del fondamentalismo islamico o di quello di altre fedi o ideologie, ma ricordare che i fondamentalismi si annidano dentro ogni cultura, e che solo un atteggiamento critico, capace di relativizzare, di mettere in discussione certezze secolari può fungere da medicamento contro i colpi che ogni estremismo può portare alla comune convivenza.
Si può rispondere al fondamentalismo con un fondamentalismo simile e contrario? È quello che una parte di Europa sta pensando di fare, a partire da chi vorrebbe costellare i nostri luoghi pubblici di simboli religiosi. Penso ai Salvini, Gelmini, La Russa, Gasparri, ma penso anche a giornalisti come Messori che, nel suo commento pubblicato su il Corriere Della Sera, catalogano ogni tentativo di affermare un'Europa diversa e lontana da ogni fondamentalismo religioso come segno di debolezza. Ecco che impedire che dei non docenti vengano ad insegnare canti di una religione a scuola pubblica e laica diventa attentato ai valori identitari, cedimento. Ma quali valori identitari? Valori, quelli cristiani, che non sono gli unici, come già detto, né, ormai quelli predominanti in Europa. Se proprio volessimo non mostrarci deboli, dovremmo avere il coraggio di proseguire nel nostro percorso, già avviato quattrocento anni fa con le scoperte di Copernico e Newton e con il metodo di Galilei, e giungere alla conclusione che nessun valore religioso potrà e dovrà segnarci come collettività, che quei valori dovrebbero essere simboli privati per essere realmente credibili. Mi avrebbe fatto piacere leggere commenti razionali, di uomini che, di fronte alla follia religiosa, rispondono con la tolleranza della ragione, riconoscendo come non è imponendo un simbolo sull'altro che si fa integrazione, ma accogliendoli tutti in una cultura ragionata, o ponendoli tutti nella sfera privata. Mi avrebbe fatto piacere che Messori, anziché cercare consensi, avesse chiesto la presenza di una Costituzione in ogni classe, avesse gridato allo scandalo non vedendo affissi ai muri dei nostri luoghi pubblici la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Valori che dovrebbero davvero caratterizzare l'uomo in quanto tale, a prescindere dalle fedi e dai credi politici. Ma non abbiamo gli occhi per vedere.
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