La società del rischio di Beck e la perdita dello status sociale
Nel suo volume La società del rischio, Ulrich Beck analizzava, nel 1986, i mutamenti a cui stava assistendo nell'ambito di quel mondo in cambiamento che sempre più veniva definito postmoderno. Nella sua analisi Beck parlava di una società che si avviava a superare la società industriale, per divenire invece società fondata sul rischio, naturale o sociale che fosse. Il rischio era, nella visione dell'autore, democratico, colpiva tutti, abbattendo le differenze di classe o ceto sociale o i confini geografici. Ovviamente erano ben vive, per il lettore dell'epoca, l'immagine di Chernobyl, il rischio nucleare o la paura per il perenne rischio di una terza guerra mondiale. Nella società del rischio quindi, abbattute le classi sociali, Beck scovava una seconda caratteristica, ovvero il disincanto, la perdita di fiducia nelle vecchie autorità, leggi e norme sociali che non sono più in grado di scongiurare il rischio diffuso. Questo disincanto era preceduto e seguito da una più diffusa alfabetizzazione, oltre che da una conoscenza delle scienze più massificata; di fronte ad una popolazione meno incolta, ma non per questo più competente, autorità come quelle degli scienziati, dei medici, degli insegnanti, della magistratura vacillano, sono messe in discussione da chi sa, o crede di sapere, e da chi sa, o crede di sapere, come reperire le informazioni. Un'ulteriore spinta verso questo disincanto è venuta poi dai moderni mezzi di comunicazione, la rete, per esempio. Di fronte alla perdita di credibilità delle vecchie autorità, l'uomo di Beck si trova solo, ed ecco quindi che compare il terzo concetto fondante la sua teoria, ovvero l'individualizzazione. L'uomo, solo, senza più alcun paracadute sociale, che sia il welfare, la famiglia, la classe sociale, non può che affidarsi a ciò che ha egli stesso messo in discussione, la conoscenza tecnica, il progresso economico, resisi unici veri valori fondanti della società postmoderna. Così è solo il progresso economico ad essere soluzione per una crisi, economica, che esso stesso ha creato; è il progresso tecnico ad essere, solo. soluzione verso i rischi da esso creati, come i disastri ambientali di cui Chernobyl è esempio. L'uomo individualizzato quindi, non è più libero di prima, ha semplicemente cambiato padrone; ma mentre la differenza fra il potente e il sottomesso erano ben evidenti in epoca feudale e industriale, questa linea di demarcazione appare meno netta (ma non è detto che poi non lo sia realmente) in epoca postmoderna.
Come si è detto, uno dei concetti fondanti questa teoria è quello del disincanto. Disincanto verso, dicevamo, ogni autorità, classe sociale e norma acquisita. La causa del disincanto è, si diceva, la sensazione di diffusa insicurezza verso cui le risposte tradizionali non sono più valide. Gli effetti di questo disincanto sono ben visibili ogni giorno: ciascuno di noi quotidianamente mette in discussione quanto detto dai medici, se la diagnosi non ci convince (immediatamente ricerchiamo su google i sintomi per controllare che il medico non sia un incompetente), cerchiamo su qualche sito conferma a quanto espresso dal politico (soprattutto, cerchiamo qualcosa che, ad ogni costo, lo smentisca e lo smascheri), cerchiamo le contraddizioni nelle dottrine religiose, nelle teorie filosofiche, senza magari accorgerci delle sonore cantonate che stiamo prendendo. Se il disincanto è, entro una certa misura, cosa buona e giusta e sintomo del progresso culturale di una società, lo stesso disincanto, quando raggiunge forme estreme e disgreganti, diventa patologico. Quando il disincanto colpisce la stessa fiducia nelle norme e nello stato di diritto, come per l'iconico caso Scattone, esso costituisce la premessa per la dissoluzione dello stato.
Fra le classi sociali che più hanno sofferto il disincanto dell'età postmoderna, sicuramente una delle più colpite è quella degli insegnanti. Si osservino le recenti polemiche sulla categoria, a partire dalla foga con cui da ogni parte se ne chiede una valutazione sistematica (senza che però si faccia mai realmente riferimento agli studi scientifici sul come e cosa valutare negli insegnanti, perché quegli stessi studi scientifici godono di poca fama) o alla caccia alle streghe sulla presunta teoria gender. Si guardi a come vengano rigorosamente ignorati documenti ufficali, prese di posizione, studi e testi rigorosi sull'inesistenza di questa teoria. Si osservi come, finanche oggi sul Corriere venga riportato un sondaggio sulla riforma chiamata Buona scuola, e come per l'ennesima volta vengano riferiti dati sul mestiere dell'insegnante più volte smentiti da studi accurati.
Eppure non si può fare a meno di insegnanti e di scuola, perché l'uomo è animale altriciale, che ha bisogno di molto più della famiglia per poter formare i suoi cuccioli; e ha bisogno di pensiero divergente per poter evolversi costruire qualcosa di nuovo, creare progresso. Anche in questo caso, ciò che è vittima di disincanto è esso stesso fautore della propria conservazione.
Forse sarà solo quest'esigenza di una scuola libera e di insegnanti liberi a poter salvare la scuola stessa e gli insegnanti stessi dalla forca della società del rischio.
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