Su Umberto Eco, Tsipras e la manica di imbecilli da Web (o della complessità)
Su Umberto Eco e la storia degli imbecilli sul web tanto si è scritto e detto. Per chi non ricordasse, basti leggere per esempio l'articolo su La Stampa di Torino. Non ho di certo la voglia o la possibilità di commentare, per condividere o smentire, le posizioni di Eco. Quello che qui mi interessa è piuttosto un ragionamento più ampio sul rapporto tra web e complessità.
Prendiamo il referendum greco del 6 Luglio: il web s'è scatenato in una folla di sfegatati schierati per il sì o per il no della Grecia verso il piano proposto dai creditori. Ma quanti, non dico fra i Greci, ma fra i tifosi dei due schieramenti, sanno realmente cosa prevede il piano proposto dai creditori? Quanti conoscono le eventuali conseguenze per la Grecia? Quanti fra quelli che invocano provvedimenti simili per il nostro paese, sanno cosa realmente potrebbe accadere uscendo dalla zona Euro, o addirittura dalla UE? Basti pensare alle posizioni espresse in ogni dove dalla Lega Nord e dai suoi sostenitori: un convinto No come scelta per il referendum, per poi scoprire che in fondo la Lega dà ragione ai creditori, considerando la Grecia e i Greci un paese di insolventi e fannulloni, e urlando in ogni salotto televisivo come non ci si debba più azzardare a prestare denaro agli Ellenici. Se questa posizione ricorda a qualcuno il classico "Aiutiamoli a casa loro", esatto, avete ragione.
Esiste, e su questo ha ragione Umberto Eco, un malcelato fastidio nell'opinione pubblica nei confronti di un tema, quello della complessità. Eppure, perché un problema possa essere risolto, occorre prima ammettere che esiste. Di fronte alla crisi greca gli Italiani si sono scoperti economisti; di fronte all'avanzata (?) del califfato, gli Italiani si sono scoperti esperti di Islam; di fronte all'educazione all'affettività gli Italiani si sono scoperti antropologi tanto da discettare di famiglia naturale e di stepchild adoption. La questione non è la legittimità della discussione, ci mancherebbe; semmai il problema è il mancato riconoscimento delle competenze delle autorità (da auctoritas, latino, il saperne di più) nelle singole materie. Vengono in mente le parole di Orfini, di qualche mese fa, quando "scoprì" che nei governi tecnici si erano alternati delle pippe. Il punto è che la complessità non permette soluzioni semplici, non permette tifoserie. La complessità non dovrebbe usare l'indicativo, il modo della certezza, ma il congiuntivo, il modo del dubbio. Complessità non vuol dire non decidere, ma sapere che non per forza la decisione darà gli esiti previsti o sperati, perché non tutte le variabili sono intellegibili.
Di fronte alla complessità, al labirinto di Borges, alle città di Calvino, alla biblioteca di Eco, nel Ventunesimo secolo ci siamo scoperti spauriti, infastiditi. Riscopriamo il realismo perché, ingannandoci, pensiamo che ciò che vediamo, percepiamo immediatamente, a pelle, sia esattamente vero. E ciò che percepiamo a pelle è un incupimento dei tempi (reale? Immaginario? Conta davvero?), un peggioramento della condizione geopolitica dell'Italia e dell'Europa, un impoverimento generale. La nostra prospettiva storica tuttavia non supera il decennio, al massimo i vent'anni. Non guardiamo oltre una generazione, sicché, privi di un passato che sia reale termine di paragone, limitati al presente, ci appiattiamo nel sentire comune. Tifoserie alla mercé del populista di turno, qualsiasi sia il colore della sua casacca.
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