A problemi complessi soluzioni complesse
Ieri l'attentato di Parigi ha lasciato l'Occidente, qualunque cosa sia, basito e in imbarazzo. Un attentato come questo mette alla luce numerosi nervi scoperti, le paure che serpeggiano in Europa ormai da anni, un misto di pulsioni, superstizioni, dicerie e verità. L'attentato a Charlie Hebdo diviene comodo strumento di propaganda per i partiti di estrema destra, islamofobi o aperrtamente nazifascisti, che hanno vita facile nell'alimentare queste paure. Quei partiti che fino all'altro ieri si sono battuti contro la satira del giornale, oggi ne divengono accaniti difensori. Quei partiti, quei movimenti, quelle persone che fino a poche ore fa si battevano contro i diritti delle donne e degli omosessuali, oggi si scoprono garanti delle conquiste del pensiero illuminista, contro una teocrazia islamica indefinita, un califfato, quello dell'ISIS contro cui in realtà non hanno mosso un dito. Le stesse persone che vorrebbero lasciare le cooperanti in mano ai loro rapitori in Siria, quelli dell'aiutiamoli a casa loro, ma se qualcuno lo fa è un cretino e un untore, come il medico di Emergency ammalatosi di Ebola, ecco questi oggi sarebbero i nostri baluardi. Non c'è poi molto da domandarsi il perché dell'estremismo islamico.
L'estremismo non ha religione, si fonda su interpretazioni che pretendono di essere totalizzanti. E genera altro pensiero totalizzante, la paura del diverso che diviene indistinto. Occorre sempre ricordare che a problemi complessi si risponde con risposte complesse, che richiedono tempo e perseveranza. La paura genera odio, l'odio genera ulteriore paura, in un circolo vizioso. Occorre essere razionali, comprendere, analizzare, studiare, storicizzare, conoscere cause ed effetti, distinguere, discernere, dialogare. Rispondere oggi all'odio con altro odio non farebbe altro che alimentare il circolo degli estremismi, degli autoritarismi, dei totalitarismi. Dietro l'odio religioso si nascondono ragioni economiche, politiche e sociali, dobbiamo essere in grado di analizzarle e risolverle, anziché arrivare per l'ennesima volta al tentativo di imporre una cultura e una civiltà, qualsiasi esse siano, su altre.
Ci terrei a precisare alcune cose: l'islam è talmente complesso che parlarne genericamente sarebbe come parlare di cristianesimo senza distinguere tra cattolici, ortodossi, protestanti, testimoni di Geova, pentecostali, etc.. Ma al di là di questo Il fenomeno estremismo islamico, da condannare senza appello, va contestualizzato e storicizzato. Dire che l'Islam è una religione violenta è una imprecisione: lo è nella misura i cui, come il cristianesimo o l'ebraismo o qualsiasi altra religione, non ammette l'esistenza di altri credi. È totalizzante, come qualsiasi religione. Nell'Islam manca una figura come quella del Papa per in cattolici, una figura istituzionale, mancando i sacerdoti, la stessa ortodossia islamica è discussa fra sciiti e sunniti. Insomma, attenzione a generalizzare.
Da un punto di vista storico l'estremismo islamico nasce nel Novecento, con il panarabismo e le rivendicazioni contro l'Impero Ottomano e nell'Impero Ottomano, e poi contro la mancata realizzazione da parte dei paesi occidentali di quanto promesso durante la grande guerra. Ad aggravare il tutto subentrano poi la questione israelopalestinese e la spartizione russo-americana delle aree di influenza, in cui di volta in volta si sono armate fazioni contro le altre ad uso e consumo delle maggiori potenze e per l'accesso a petrolio e gas.
Oggi il mondo islamico vive un periodo di transizione: arricchimento vertiginoso e mal distribuito, immigrazione e mobilità interna accentuate, paura per quanto potrà accadere con la scomparsa degli idrocarburi, transizione demografica con una minore natalità, sviluppo stentato ma presente di sistemi democratici; il tutto sempre e comunque sotto forti influenze occidentali. È una situazione davvero complessa in cui si mescolano aspetti religiosi, culturali, ma soprattutto socioeconomici e politici. Si pensi alla rivolta di Tunisi di qualche anno fa o a quella egiziana, parliamo sempre di mondo islamico, eppure nei ragazzi che hanno occupato le piazze sfido a trovare esclusivamente estremisti islamici. Insomma facciamo attenzione a non fare di tutta l'erba un fascio e a non cercare (e creare) a tutti i costi un nemico perché è ciò che l'estremismo, qualsiasi estremismo, vuole. Ultima precisazione: nella Repubblica centrofricana sono i cristiani ad ammazzare con i maceti i musulmani e gli animisti, e questo non giustifica assolutamente nessuno, né nessuno è giustificato o giustificabile perché 15 anni fa nel Kosovo erano i cristiani a praticare la pulizia etnica sui musulmani. Sono fatti, ma sono fatti che si alimentano tra di loro.
Inoltre, siamo proprio sicuri che quanto successo sia poi esclusivamente frutto dell'odio intereligioso? Sembra che i tre attentatori siano tre miei coetanei, nati in Francia, cresciuti in Francia e istruiti in Francia. Eppure i tre evidentemente odiavano la Francia. La domanda è: a che punto i nostri sistemi educativi e di trasmissione dei valori hanno fallito? Nel farli sentire francesi? Nel far loro condividere i valori della Francia? L'idea che l'integrazione sia semplice assimilazione, come se i valori passino per osmosi, quella ha fallito. Faccio l'esempio della realtà italiana, e sospetto che quella francese sia in questo senso più avanzata. I miei alunni vedono realmente poco i loro genitori, tanto che, letteralmente, molti di questi genitori non sanno neanche che scuola i loro figli frequentino. La maggior parte delle loro ore i ragazzi le passano a scuola, in giro per gli spostamenti, in attività "ricreative" come oratori, centri sportivi etc., o con gli amici. Certo l'influenza dell'ambiente familiare è grande, ma non così importante come in passato. Sospetto lo stesso avvenga in Francia. Questi ragazzi che diventano terroristi, in primis, sono ragazzi che si sono sentiti soli, abbandonati dallo stato, e che in qualcos'altro, come la religione, hanno trovato un loro rifugio. Non per niente sono in molti anche i convertiti all'Islam. Tutto ciò è una mia idea, eh, sia chiaro, non ho reali dati alla mano che la confermino o la smentiscano. Ci sarebbe da vedere la percentuale di donne islamiche che lavora nei paesi occidentali, giusto per capire quanto è veramente forte questo retaggio familiare o se, invece, come sospetto, molto di questo fanatismo viaggi attraverso la solitudine della rete. Ma a giudicare dal numero di occidentali che si convertono all'Islam ogni anno, dal numero di convertiti che decidono di immergersi nel mondo dell'estremismo islamico, di mettersi a disposizione delle organizzazioni terroristiche in questo o quel territorio di frontiera culturale e e religiosa, sospetto che stiamo ignorando i problemi sociali che alimentano questo terrorismo di ritorno. Molti di questi ragazzi erano e sono esclusi della e nella società, senza appigli, figli dei quartieri più poveri, senza prospettive o futuro. L'Islam, come il neofascismo, è per loro l'esperienza totalizzante che il capitalismo occidentale oggi non è. La parcellizzazione, l'individualismo sfrenato di cui ha parlato ancora ieri qualche mio contatto, è la causa, o almeno una delle cause del fenomeno. È il ritorno ad un fondamento religioso cristiano la soluzione? Personalmente credo di no, da laico, credo che dobbiamo essere in grado di costruire una società realmente inclusiva in cui i diritti e i doveri non siano un'imposizione ma un patto sociale realmente condiviso. Per fare questo prima che le armi servono strumenti culturali nuovi, nuovi tipi di mediazione, occorre mettersi tutti in gioco. Ma tutto ciò è un altro discorso, il discorso del giorno dopo.
Inoltre, siamo proprio sicuri che quanto successo sia poi esclusivamente frutto dell'odio intereligioso? Sembra che i tre attentatori siano tre miei coetanei, nati in Francia, cresciuti in Francia e istruiti in Francia. Eppure i tre evidentemente odiavano la Francia. La domanda è: a che punto i nostri sistemi educativi e di trasmissione dei valori hanno fallito? Nel farli sentire francesi? Nel far loro condividere i valori della Francia? L'idea che l'integrazione sia semplice assimilazione, come se i valori passino per osmosi, quella ha fallito. Faccio l'esempio della realtà italiana, e sospetto che quella francese sia in questo senso più avanzata. I miei alunni vedono realmente poco i loro genitori, tanto che, letteralmente, molti di questi genitori non sanno neanche che scuola i loro figli frequentino. La maggior parte delle loro ore i ragazzi le passano a scuola, in giro per gli spostamenti, in attività "ricreative" come oratori, centri sportivi etc., o con gli amici. Certo l'influenza dell'ambiente familiare è grande, ma non così importante come in passato. Sospetto lo stesso avvenga in Francia. Questi ragazzi che diventano terroristi, in primis, sono ragazzi che si sono sentiti soli, abbandonati dallo stato, e che in qualcos'altro, come la religione, hanno trovato un loro rifugio. Non per niente sono in molti anche i convertiti all'Islam. Tutto ciò è una mia idea, eh, sia chiaro, non ho reali dati alla mano che la confermino o la smentiscano. Ci sarebbe da vedere la percentuale di donne islamiche che lavora nei paesi occidentali, giusto per capire quanto è veramente forte questo retaggio familiare o se, invece, come sospetto, molto di questo fanatismo viaggi attraverso la solitudine della rete. Ma a giudicare dal numero di occidentali che si convertono all'Islam ogni anno, dal numero di convertiti che decidono di immergersi nel mondo dell'estremismo islamico, di mettersi a disposizione delle organizzazioni terroristiche in questo o quel territorio di frontiera culturale e e religiosa, sospetto che stiamo ignorando i problemi sociali che alimentano questo terrorismo di ritorno. Molti di questi ragazzi erano e sono esclusi della e nella società, senza appigli, figli dei quartieri più poveri, senza prospettive o futuro. L'Islam, come il neofascismo, è per loro l'esperienza totalizzante che il capitalismo occidentale oggi non è. La parcellizzazione, l'individualismo sfrenato di cui ha parlato ancora ieri qualche mio contatto, è la causa, o almeno una delle cause del fenomeno. È il ritorno ad un fondamento religioso cristiano la soluzione? Personalmente credo di no, da laico, credo che dobbiamo essere in grado di costruire una società realmente inclusiva in cui i diritti e i doveri non siano un'imposizione ma un patto sociale realmente condiviso. Per fare questo prima che le armi servono strumenti culturali nuovi, nuovi tipi di mediazione, occorre mettersi tutti in gioco. Ma tutto ciò è un altro discorso, il discorso del giorno dopo.
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