Opinioni, tesi e argomentazioni: l'ignoranza italiana della logica deduttiva
In questo mio intervento di oggi cercherò di chiarire quale sia la differenza tra un'opionione e una tesi argomentata. Per fare ciò partirò dalle definizioni di opinione, tesi e argomentazione fornite dal dizionario Treccani online, per discutere poi di come nel nostro paese ci sia al riguardo tutt'ora molta confusione.
Come si evince dalle definizioni, la prima e più evidente differenza fra un'opinione e una tesi è il criterio di veridicità: l'opinione, anche se di buon senso, esclude la possibilità di verifica della veridicità di quanto espresso. In questo senso, possiamo immaginare un insieme di opinioni, anche discordanti o antitetiche fra di loro, come un insieme di elementi di pari valore. Proprio per l'assenza della possibilità di verifica, l'opinione non assume nessun criterio scientifico, limitandosi ad uno stadio prescientifico, di impressione.
La tesi trova invece la sua stessa ragione di esistere nella possibilità di verifica. Una tesi esiste solo se dimostrabile, tramite argomentazioni che agiscono sugli ordini qualitativi e quantitativi. Non esiste tesi senza dati verificabili e, almeno nel campo delle scienze esatte, riproducibili. Una tesi, se verificata, non sta sullo stesso piano di tutte le tesi possibili sullo stesso argomento. Così come possiamo immaginare un'insieme di opinioni come un piano orizzontale in cui tutti gli elementi stanno sullo stesso livello, la tesi sta su un piano verticale più in alto rispetto alle opinioni, possiede un maggiore valore, dato dalla verificabilità delle sue premesse.
La tesi esiste solo se è in grado di confutare la sua antitesi. Se l'insieme delle opinioni esiste come un “et-et”, quello delle tesi è un “aut-aut”, o l'una o l'altra.
Ne consegue anche un altro principio: di fronte alla impossibilità di accreditare in maniera assoluta una tesi nei confronti dell'antitesi, il ricercatore dovrà prendere in considerazione la possibilità che non siano le tesi malformulate, ma che al contrario sia il quesito a cui la tesi risponde ad essere malposto.
La tesi fonda la sua forza euristica sulle argomentazioni che la reggono, da cui la tesi nasce per deduzione. Più le argomentazioni saranno probanti, incontrovertibili e riproducibili, maggiore sarà la forza della tesi. In questo senso si pone, in ordine d'importanza, la distinzione tra argomentazioni di autorità e di fatto. Le prime rappresentano, dal latino auctoritas, l'autorità di chi ci ha preceduto e studiato l'argomento: ipse dixit. Al di là della forza data dalla stessa importanza dell'autorità citata, le argomentazioni di autorità non possiedono un particolare valore euristico.
Maggiore importanza hanno invece le argomentazioni di fatto: rientrano in questo insieme i dati materiali raccolti, frutto di esperimenti, di raccolta documentaria, i dati statistici, archeologici, le notizie riportate dalle fonti, etc. Dalla comparazione di questi dati, corroborata dall'autorità delle argomentazioni di fatto, si deduce una tesi che ha nel processo che l'ha generata il suo stesso valore euristico, oltre alla possibilità di divenire essa stessa argomentazione alla base di nuove e successive tesi, in una catena euristica virtualmente infinita.
Questo metodo, nato nell'ambito delle scienze esatte ma applicabile con rigore metodo a qualsiasi ambito del sapere, dalle scienze storiche agli studi sociali, noi chiamiamo metodo logico-deduttivo e metodo scientifico.
Ogni metodo che non voglia basarsi sulla deduzione logica fondata su dati misurabili e/o riproducibili non è da considerarsi un sapere scientifico, fermandosi ad un livello ascientifico o prescientifico.
Data una definizione di opinione, argomentazione e tesi, procedo ora ad affrontare il problema della scarsa consapevolezza delle differenze fra questi concetti, e i metodi che sottendono, nel nostro paese.
Questo metodo scientifico di cui si è sopra parlato, sebbene trovi le sue basi già nel sillogismo aristotelico e nella tradizione filosofica occidentale, nasce e si sviluppa tra le scienze esatte, trovando, soprattutto in Italia, una storica resistenza nell'applicazione alle scienze umane. Rivalità tra intellettuali, prevalenza di un sapere induttivo, autorità della verità rivelata, sono tutte cause della scarsa conoscenza e rilevanza nel corso dei secoli del metodo scientifico. Si può pensare che la stessa grande influenza sul nostro mondo culturale sull'immaginario collettivo di personaggi, per il resto meritori, come Leopardi e la sua poetica dell'indefinito, Verga e il Verismo italiano, lontani dagli scopi progressivi del Naturalismo francese, Pascoli e D'Annunzio e tutta la poetica del simbolismo fondata su un processo conoscitivo analogico e alogico, abbiano fondato un sostanziale rifiuto nelle classi dirigenti italiane tra Ottocento e Novecento di un rigoroso metodo di ricerca euristico. Non diversa l'influenza di altre autorità che hanno influito sull'immaginario collettivo nostrano, come Montale, nel Novecento. In questo contesto vanno ovviamente poste delle eccezioni: per non citarne altre, quella di Manzoni e della sua ricerca storica e quella di Calvino, con la sua definizione di esattezza.
Ma questi esempi possono valere per le classi sociali più alte, per delle élite; per quanto riguarda le classi sociali meno colte, l'incapacità di distinguere tra opinione e tesi, con tutti i fraintendimenti e i misconoscimenti della realtà che ne seguono, nascono da due fattori: il sistema dell'istruzione italiana e il mondo dell'informazione.
Partendo da quest'ultimo, è evidente la pratica diffusa di accreditare come fatti delle semplici opinioni, di modificare dati o evitare di citarli in maniera corretta per rendere più credibile una notizia di scarso fondamento o uno scoop: si pensi alla recente polemica sulle presunte correlazioni tra vaccinazioni obbligatorie e autismo, polemica nata sulla carta stampata e su siti internet privi di ogni preparazione metodologica e scientifica, in cui i dati vengono volutamente omessi o amplificati con lo scopo di procurare allarme, vendere più copie, ricevere più contatti, etc..
Ancora più grave è la scarsa pratica con il metodo logico-deduttivo o scientifico di chi si occupa di formazione nella nostra scuola. A causa di quelle influenze già citate sopra, per lungo tempo la scuola pubblica italiana ha posto al centro del suo sistema di formazione lo studio umanistico, compiendo una scelta, di per sé non inefficace, ma che ha messo da parte la diffusione del metodo scientifico, tra docenti e discenti.
Al contrario di quanto avviene negli altri paesi sviluppati, nella nostra scuola fino alle soglie degli anni 2000 si è potuto scientemente non insegnare, se non nello studio delle scienze esatte, l'uso della logica deduttiva, l'uso e l'analisi dell'argomentazione. Di più: molti dei nostri insegnanti, essi stessi ignoranti del metodo deduttivo, sono ancora oggi refrattari alla sua acquisizione e alla sua trasmissione.
L'ignoranza del metodo logico-deduttivo, le scarse competenze logico-linguistiche e matematiche rendono oggi l'Italia il fanalino di coda fra i paesi sviluppati, ponendo le basi tristemente reali per i dati emersi nello studio Ipsos MORI sull'ignoranza della realtà diffusa nella nostra popolazione.
opinióne (ant. oppinióne) s. f. [dal lat. opinio -onis, affine a opinari «opinare»]. –
1. Concetto che una o più persone si formano riguardo a particolari fatti, fenomeni, manifestazioni, quando, mancando un criterio di certezza assoluta per giudicare della loro natura (o delle loro cause, delle loro qualità, ecc.), si propone un’interpretazione personale che si ritiene esatta e a cui si dà perciò il proprio assenso, ammettendo tuttavia la possibilità di ingannarsi nel giudicarla tale: fino a che non sia dimostrata la verità, tutte le o. possono essere ugualmente vere o false; o. valida, probabile, assurda; l’o. dei più, della maggioranza; o. radicata,inveterata; è ormai o. invalsa, prevalente, comune, generale, unanime,universale; formarsi un’o. propria; dire, esprimere la propria o.; io la penso così,ma, ripeto, questa è solo una mia o. (o una semplice o., nulla più che un’o.);secondo la mia modesta o., oppure la mia debole o. sarebbe che ..., modi di presentare modestamente il proprio giudizio, di esprimere un parere o di affacciare una proposta; non mi sono fatto ancora un’o. in merito; sono convinto della mia o.; mi confermo sempre più nella mia o.; nonostante la smentita dei fatti, rimango della mia o.; anche questa è un’o., frase (spesso iron.) con cui ci si mostra disposti ad accordare credito alle ipotesi e ai giudizî altrui; qual è la tua o. in proposito?; ha delle o. tutte sue; non è possibile rimuoverlo dalla sua o.; difendere, sostenere le proprie o.; confutare, combattere un’o.; voler imporre agli altri le proprie o.;conflitto d’opinioni; accedere, aderire all’o. di qualcuno; condivido la tua o.; credo che anche tu sia della mia o., che anche tu la pensi come me. In partic., essere d’o. (o dell’o.), espressione con cui s’introduce la manifestazione del proprio punto di vista circa provvedimenti da prendere, sulla condotta da seguire, e sim.: sono d’o.che si debba insistere ancora (cfr. le locuz. equivalenti essere del parere, essere d’avviso); non sono di questa o., per affermare chiaramente il proprio disaccordo su quanto altri giudica o propone o ritiene opportuno. Nel linguaggio giur. è dettao. comune l’opinione prevalente dei giuristi in una determinata questione di diritto. È direttamente contrapposto a «fatto certo, positivo» nella frase prov. l’aritmetica(o la matematica) non è un’o., a proposito di verità inoppugnabili o fatti certi e provati, che bisogna accettare per quello che sono. Talora ha senso più vicino a convinzione, principio, soprattutto in materia morale, religiosa, politica, sociale:avere o. sospette, poco ortodosse; gente che cambia opinioni a ogni mutar di vento; non avere opinioni, essere privo di personalità morale; professare un’o., manifestarla abitualmente e francamente con le parole e nei fatti; avere il coraggio delle proprie o., sostenerle a viso aperto e comportarsi in modo coerente con esse;reati di o., denominazione di una categoria di reati, che comprende gran parte dei delitti contro la personalità dello stato, con particolare riferimento ai reati di propaganda e apologia sovversiva, nonché di vilipendio della Repubblica e delle istituzioni costituzionali. Con valore collettivo, l’o. corrente, l’o. dominante, l’atteggiamento ideologico, politico, morale, prevalente in un determinato momento storico: fu dunque il segretario dell’o. dominante, il poeta del buon successo (F. De Sanctis, con riferimento a V. Monti).
2. Stima, considerazione che si ha di una persona (cfr. l’uso analogo di concetto):ho buona o. di lui; non ho mai avuto grande o. delle sue capacità; ha un’alta o. di sé, del proprio ingegno, e sim., di persona presuntuosa.
3. Opinione pubblica: il giudizio e il modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini, o anche questa maggioranza stessa, in quanto ha esigenze, convinzioni, atteggiamenti mentali comuni: avvenimenti che muovono, che interessano l’o. pubblica; l’o. pubblica ha diritto di essere informata; i giornali si fanno spesso interpreti dell’o. pubblica; guidare, influenzare, condizionare l’o.pubblica; essere assolto, condannato dall’o. pubblica. In qualche caso l’espressione allude piuttosto ai pregiudizî, alle convenzioni sociali: essere schiavo dell’o.pubblica; sfidare l’o. pubblica, disinteressarsi del giudizio della gente. Con riferimento all’opinione pubblica, sondaggio d’opinione, indagine statistica compiuta su un campione della popolazione per saggiare opinioni e reazioni su argomenti varî (divorzio, partiti, elezioni, personaggi pubblici e sim.).
tèṡi s. f. [dal lat. thesis, gr. ϑέσις (propr. «posizione, cosa che viene posta»), der. del tema di τίϑημι «porre, collocare»]. –
1.
a. Proposizione di argomento filosofico, teologico, scientifico, o attinente a un problema di critica letteraria o artistica, che si enuncia e si discute per dimostrarne la verità contro altre proposizioni contrarie: le 95 t. di Lutero, da lui affisse alla porta della chiesa d’Ognissanti di Wittenberg; enunciare, formulare una t.;svolgere, discutere, provare una t.; con sign. più ampio e generico, idea, opinione, valutazione personale: sostenere la propria t.; confutare, demolire una t.; secondo la t. di ..., stando alla t. di ... ; una t. insostenibile, una t. inconfutabile, ecc.Commedia, dramma, romanzo a tesi, nel linguaggio della critica letteraria, opere nelle quali l’autore si propone programmaticamente la dimostrazione di una tesi morale, sociale, politica, ecc.
b. In filosofia, affermazione e posizione teorica che si contrappone a un’altra, l’antitesi, in un’antinomia che nel pensiero kantiano e postkantiano idealistico e materialistico viene dialetticamente superata e composta nella sintesi.
argomentazióne s. f. [dal lat. argumentatio -onis]. –
1. L’argomentare; serie di argomenti a dimostrazione di un assunto: nel calore dell’a.; a. contorta, cavillosa; sono a. che non reggono.
2. Nella logica, con sign. più specifico, un insieme ordinato di proposizioni, una delle quali è posta come dedotta dalle altre.
Come si evince dalle definizioni, la prima e più evidente differenza fra un'opinione e una tesi è il criterio di veridicità: l'opinione, anche se di buon senso, esclude la possibilità di verifica della veridicità di quanto espresso. In questo senso, possiamo immaginare un insieme di opinioni, anche discordanti o antitetiche fra di loro, come un insieme di elementi di pari valore. Proprio per l'assenza della possibilità di verifica, l'opinione non assume nessun criterio scientifico, limitandosi ad uno stadio prescientifico, di impressione.
La tesi trova invece la sua stessa ragione di esistere nella possibilità di verifica. Una tesi esiste solo se dimostrabile, tramite argomentazioni che agiscono sugli ordini qualitativi e quantitativi. Non esiste tesi senza dati verificabili e, almeno nel campo delle scienze esatte, riproducibili. Una tesi, se verificata, non sta sullo stesso piano di tutte le tesi possibili sullo stesso argomento. Così come possiamo immaginare un'insieme di opinioni come un piano orizzontale in cui tutti gli elementi stanno sullo stesso livello, la tesi sta su un piano verticale più in alto rispetto alle opinioni, possiede un maggiore valore, dato dalla verificabilità delle sue premesse.
La tesi esiste solo se è in grado di confutare la sua antitesi. Se l'insieme delle opinioni esiste come un “et-et”, quello delle tesi è un “aut-aut”, o l'una o l'altra.
Ne consegue anche un altro principio: di fronte alla impossibilità di accreditare in maniera assoluta una tesi nei confronti dell'antitesi, il ricercatore dovrà prendere in considerazione la possibilità che non siano le tesi malformulate, ma che al contrario sia il quesito a cui la tesi risponde ad essere malposto.
La tesi fonda la sua forza euristica sulle argomentazioni che la reggono, da cui la tesi nasce per deduzione. Più le argomentazioni saranno probanti, incontrovertibili e riproducibili, maggiore sarà la forza della tesi. In questo senso si pone, in ordine d'importanza, la distinzione tra argomentazioni di autorità e di fatto. Le prime rappresentano, dal latino auctoritas, l'autorità di chi ci ha preceduto e studiato l'argomento: ipse dixit. Al di là della forza data dalla stessa importanza dell'autorità citata, le argomentazioni di autorità non possiedono un particolare valore euristico.
Maggiore importanza hanno invece le argomentazioni di fatto: rientrano in questo insieme i dati materiali raccolti, frutto di esperimenti, di raccolta documentaria, i dati statistici, archeologici, le notizie riportate dalle fonti, etc. Dalla comparazione di questi dati, corroborata dall'autorità delle argomentazioni di fatto, si deduce una tesi che ha nel processo che l'ha generata il suo stesso valore euristico, oltre alla possibilità di divenire essa stessa argomentazione alla base di nuove e successive tesi, in una catena euristica virtualmente infinita.
Questo metodo, nato nell'ambito delle scienze esatte ma applicabile con rigore metodo a qualsiasi ambito del sapere, dalle scienze storiche agli studi sociali, noi chiamiamo metodo logico-deduttivo e metodo scientifico.
Ogni metodo che non voglia basarsi sulla deduzione logica fondata su dati misurabili e/o riproducibili non è da considerarsi un sapere scientifico, fermandosi ad un livello ascientifico o prescientifico.
Data una definizione di opinione, argomentazione e tesi, procedo ora ad affrontare il problema della scarsa consapevolezza delle differenze fra questi concetti, e i metodi che sottendono, nel nostro paese.
Questo metodo scientifico di cui si è sopra parlato, sebbene trovi le sue basi già nel sillogismo aristotelico e nella tradizione filosofica occidentale, nasce e si sviluppa tra le scienze esatte, trovando, soprattutto in Italia, una storica resistenza nell'applicazione alle scienze umane. Rivalità tra intellettuali, prevalenza di un sapere induttivo, autorità della verità rivelata, sono tutte cause della scarsa conoscenza e rilevanza nel corso dei secoli del metodo scientifico. Si può pensare che la stessa grande influenza sul nostro mondo culturale sull'immaginario collettivo di personaggi, per il resto meritori, come Leopardi e la sua poetica dell'indefinito, Verga e il Verismo italiano, lontani dagli scopi progressivi del Naturalismo francese, Pascoli e D'Annunzio e tutta la poetica del simbolismo fondata su un processo conoscitivo analogico e alogico, abbiano fondato un sostanziale rifiuto nelle classi dirigenti italiane tra Ottocento e Novecento di un rigoroso metodo di ricerca euristico. Non diversa l'influenza di altre autorità che hanno influito sull'immaginario collettivo nostrano, come Montale, nel Novecento. In questo contesto vanno ovviamente poste delle eccezioni: per non citarne altre, quella di Manzoni e della sua ricerca storica e quella di Calvino, con la sua definizione di esattezza.
Ma questi esempi possono valere per le classi sociali più alte, per delle élite; per quanto riguarda le classi sociali meno colte, l'incapacità di distinguere tra opinione e tesi, con tutti i fraintendimenti e i misconoscimenti della realtà che ne seguono, nascono da due fattori: il sistema dell'istruzione italiana e il mondo dell'informazione.
Partendo da quest'ultimo, è evidente la pratica diffusa di accreditare come fatti delle semplici opinioni, di modificare dati o evitare di citarli in maniera corretta per rendere più credibile una notizia di scarso fondamento o uno scoop: si pensi alla recente polemica sulle presunte correlazioni tra vaccinazioni obbligatorie e autismo, polemica nata sulla carta stampata e su siti internet privi di ogni preparazione metodologica e scientifica, in cui i dati vengono volutamente omessi o amplificati con lo scopo di procurare allarme, vendere più copie, ricevere più contatti, etc..
Ancora più grave è la scarsa pratica con il metodo logico-deduttivo o scientifico di chi si occupa di formazione nella nostra scuola. A causa di quelle influenze già citate sopra, per lungo tempo la scuola pubblica italiana ha posto al centro del suo sistema di formazione lo studio umanistico, compiendo una scelta, di per sé non inefficace, ma che ha messo da parte la diffusione del metodo scientifico, tra docenti e discenti.
Al contrario di quanto avviene negli altri paesi sviluppati, nella nostra scuola fino alle soglie degli anni 2000 si è potuto scientemente non insegnare, se non nello studio delle scienze esatte, l'uso della logica deduttiva, l'uso e l'analisi dell'argomentazione. Di più: molti dei nostri insegnanti, essi stessi ignoranti del metodo deduttivo, sono ancora oggi refrattari alla sua acquisizione e alla sua trasmissione.
L'ignoranza del metodo logico-deduttivo, le scarse competenze logico-linguistiche e matematiche rendono oggi l'Italia il fanalino di coda fra i paesi sviluppati, ponendo le basi tristemente reali per i dati emersi nello studio Ipsos MORI sull'ignoranza della realtà diffusa nella nostra popolazione.
Commenti
Posta un commento