Il mondo di Raymond Carver
Ci sono alcuni autori che, una volta che hai iniziato a conoscerli, ti accompagnano per lungo tempo, pian piano ti conducono nel loro mondo, ti aiutano a ragionare e a vedere i fatti in maniera sempre un po' diversa da quella a cui sei abituato. Questo è il caso di Raymond Carver, colui che per molti ha reinventato il racconto moderno.
Una caratteristica costante del racconto di Carver è la narrazione in prima persona. Questa scelta stilistica ovviamente facilita l'immedesimazione del lettore con il narratore. Quasi sempre i narratori dei racconti di Carver ne sono anche i protagonisti, sempre immersi in vicende che si snodano negli ambienti urbani della piccola provincia americana a cavallo degli anni '80. Pochi tratti fisici, perché ciò che conta è l'analisi psicologica, sempre approfondita, sfrondata di tutto ciò che può essere eccessivo. Un linguaggio piano, quasi basico, privato di ogni orpello retorico, che vuole giungere al succo della vicenda, non perché pretenda di coglierne la realtà, quello di Carver non è mero realismo, ma per giungere al paradosso nella maniera più limpida possibile.
Ciò che è chiaro alla fine di ogni racconto di Carver è come l'incomprensione sia sempre dietro l'angolo, come non sia data mai realmente la possibilità di esprimere e sentire l'amore o l'affetto altrui, come la realtà stessa nella sua materialità inquini fino a distruggere ogni prospettiva sentimentale, spirituale o metafisica
Quello di Carver è un mondo di piccole cose, di lavori da niente, di disoccupati, di disadattati, di alcol, a volte di canne, di macchine. È un mondo in cui televisione e radio sono lo sfondo perenne, in cui le strade dell'America profonda sono il paesaggio, in cui la vita quotidiana è il rumore di fondo che, costante, impedisce ogni profondità fino alla rottura dell'equilibrio; fino a quando un dettaglio, un'immagine, una parola, una lettera, un documentario, qualcosa non buca lo schermo di un mondo stilizzato per risplenderne l'irrazionalita.
L'io narrante dei racconti di Carver ne è quasi sempre una proiezione autobiografica, ma questo non deve far pensare che nei suo racconti l'autore scriva la sua autobiografia. Piuttosto Carver, come dovrebbe fare ogni buon scrittore, parla di ciò che conosce bene, di affetti conchiusi, di soldi che non bastano mai, di lavori ripetitivi. Proprio per la conoscenza che ha di questo mondo, finali come quello di Cattedrale divengono ancora più emblematici, la riscoperta di un senso in un mondo, quello della fine del Novecento, che di senso, anche per noi uomini del Ventunesimo secolo, sembra non averne.
Commenti
Posta un commento