Sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

Così il primo provvedimento del Parlamento in epoca Renzi è l'abolizione del finanziamento pubblico partiti. Tutto bello, come da copione, come da volontà popolare, un perfetto happy end insomma. Insomma.
Perché quando si toccano certi principi che sono sacrosanti e radicati nelle democrazie, occorrerebbe prendersi il tempo di studiare davvero cosa si sta facendo e non lasciare le decisioni alla pancia della volontà popolare. Machiavelli lo diceva,  "il popolo molte volte desidera la rovina sua ingannato da una falsa specie di bene; e come le grandi speranze e gagliarde promesse facilmente lo muovono." (Discorsi sulla prima decade di Tito Livio, I, 53). Avete raccontato al popolo che avrebbe risparmiato del denaro abolendo il finanziamento pubblico, bene, ma solo ora emerge che si tratta di un euro e cinquanta a testa all'anno. Ma al di là della cifra, di per sé pressoché simbolica, avete spiegato quali saranno le conseguenze? Proviamo a pensarci.
In una democrazia la politica ha dei costi, è inutile che ci si dica il contrario. E l'esempio del M5S, cioè del partito che più ha propugnato l'abolizione del finanziamento, lo rende ancora più evidente. Il M5S è frutto di un compromesso per certi versi (ci si augura) irripetibile. Vero è che il Movimento non ha chiesto, o meglio, non ha potuto chiedere, a norma di legge, neanche una lira per il suo finanziamento, ma esso si autofinanzia grazie alla commistione fra la ricchezza personale di un miliardario, il suo fondatore, Beppe Grillo, nonché proprietario a titolo legale, e le aziende di Casaleggio che ne gestiscono il principale canale d'informazione, il sistema di consultazione, etc. Va poi ricordato come sin da subito la raccolta di denari che ha permesso al Movimento di sopravvivere è venuta grazie al carisma, alle capacità istrioniche di Grillo, oltre che, almeno in parte, dai proventi dei suoi spettacoli. Insomma, se dovessimo immaginare la democrazia italiana organizzata sul modello del M5S dovremmo avere il coraggio di dirci che i partiti dovrebbero tutti ruotare intorno a ricchi finanziatori e mecenati che, almeno in principio, ne finanzino le attività e raccolgano attenzioni su di essi. Insomma, una democrazia che parte dall'alto, dalle élite, dalla ricchezza gentilmente concessa.
Non senza rischi, perché da che mondo è mondo, chi caccia la grana in politica vuole qualcosa in cambio. Ecco che si ripresenta uno spettro che da vent'anni cerchiamo di cacciare dalla finestra, spettro che ora ricompare dalla porta principale, quello del conflitto di interessi. Se i partiti non potranno più attingere ai finanziamenti pubblici per poter sostenere le loro attività sul territorio, a partire, banalmente, dagli affitti delle sedi (o pensiamo di abolire del tutto il confronto dal vivo, escludendo dalla vita politica quei 4 Italiani su 10 che non hanno accesso ad Internet o non sanno come si adoperi la rete?), come potranno agire se non grazie a sponsor privati sempre più interessati nell'indirizzarne le linee programmatiche ed i provvedimenti in caso di governo?
Il rischio è che per seguire l'ennesima ondata populista di un paese che non sa ragionare ma che comprende solamente le spinte a furor di popolo (si pensi solamente alla scandalosa manipolazione della realtà anche da parte di partiti politici come Fratelli d'Italia sulla questione Stamina) si stia consegnando la democrazia, imperfetta e corrotta quano vogliamo ma con degli anticorpi per i suoi mali che ora abbiamo cancellato, ad una oligarchia e a quei poteri forti che, con la scusa del combatterli, vengono così favoriti.

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