Memoria individuale e condivisa

Di recente sulle testate nazionali si è aperto un dibattito abbastanza interessante sul rapporto tra i nuovi media e la memoria storica. Al riguardo si sono contrapposte due posizioni, solo in parte antitetiche, quella di Eugenio Scalfari, che condanna la rete Internet e la accusa di essere la causa di una presunta perdita di memoria collettiva. Dall'altro lato Umberto Eco che, invece, indica nella rete una risorsa per i giovani da cui attingere per una ricerca sempre più approfondita di informazioni.

Ciò che mi sembra interessante di questo dibattito è innanzitutto l'approccio che i due intellettuali hanno all'argomento. Parliamo di due eccellenze del nostro paese che, però, con la rete Internet hanno relativamente poco a che fare: ne sono fruitori come gli altri, non degli studiosi. Se dovessimo essere estremamente coerenti, le loro argomentazioni non sarebbero più valide delle argomentazioni di un qualsiasi internauta medio alle prese con un uso semifrequente del web.

C'è poi un'altra questione, se vogliamo più interessante dal punto di vista delle scienze umane. Parliamo di Internet e memoria, ma i due intellettuali parlano dello stesso concetto di memoria? A mio avviso no.

La memoria a cui fa riferimento Eco è una memoria individuale, la possibilità per il singolo di attingere ad informazioni e immagazinarle sia per un uso pratico che per una costruzione del suo io a partire dal confronto/scontro con le esperienze e le ideologie pregresse. In questo senso, nella solitudine della sua navigazione in rete, effettivamente all'internauta si apre un mondo di informazioni, libere e per questo incontrollate, che pongono il problema del vaglio critico della loro credibilità e autenticità. In un certo senso, più che al rischio di assenza di memoria individuale, ci troviamo di fronte al rischio opposto, ovvero ad un eccesso non gestito di memoria tale da appiattire il tutto in un brodo primordiale e acritico.

Per quanto riguarda la memoria di cui parla Scalfari, sembra evidente come il giornalista faccia riferimento ad una presunta memoria collettiva, il ricordo sociale di fatti, avvenimenti e idee talmente importanti da plasmare un'idea di collettività. Secondo Scalfari nel mare magnum della rete sarebbe impossibile il depositarsi di questa memoria perché i nativi digitali, anziché depositare e tramandare questi fatti fondanti una società, ne demandano la trasmissione ad uno strumento neutro come la rete.
Trovo onestamente pretenzioso e miope il ragionamento di Scalfari, sembra quasi che parta dal classico presupposto del "si stava meglio...". Di quale memoria condivisa parliamo? Sin dall'epoca dei Greci la memoria condivisa, se poi realmente esiste, non appartiene alle masse, ma a piccoli gruppi che quelle masse manipolano: i versi di Omero venivano mandati a memoria da Aedi e Rapsodi, e se la collettività ne conosceva i contenuti, ciò non di meno la trasmissione di quel ricordo fondante una società era delegato. Se veniamo alle origini dell'italianità, per esempio alla conoscenza delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio, essa apparteneva ad una piccola elité, se ancora dopo il 1871 solo il 7 per cento della popolazione era alfabetizzato, mettendoci dentro anche coloro che sapevano solamente firmare con nome e cognome. Venendo ad epoche più recenti, il ricordo delle due guerre mondiali è stato, è vero, un esempio di memoria popolare, ma non unitariamente condivisa, se si pensa al dibattito ancora oggi aperto sui reali avvenimenti delle persecuzioni naziste e alle diverse forme di mitizzazione di figure che, nella presunta memoria condivisa, hanno subito delle condanne senza appello (Mussolini, Hitler, Stalin...).
Il termine mitizzazione non è stato adoperato a sproposito: ciò che sembra chiaro è che nella storia dell'uomo, l'unica vera memoria condivisa sia quella che appartiene all'ordine del mito, quindi cosa ben diversa rispetto all'esatta conoscenza dei fatti storici. Tutti conoscono Robin Hood piuttosto che Achille e Ulisse, ma in pochi fra i giovani conoscono Badoglio piuttosto che Nixon perché le loro vicende non hanno con il tempo assunto i connotati dell'epos piuttosto che della tragedia. Non per niente invece le figure di Mussolini, di Hitler, di Kennedy, assurte allo stato di paradigma, sono invece ancora vivide e ben presenti.
Ci si può ragionevolmente chiedere perché altre vicende apparentemente simili non abbiano subito lo stesso destino: perché i nostri giovani ignorino le figure di Aldo Moro piuttosto che di Allende o non sappiano nulla del bonzo che si dà fuoco per protesta contro la guerra in Vietnam. Ma è davvero la rete la causa di queste lacune nella nostra memoria, o lo è piuttosto il processo di costruzione del modello di società attuato dalle elité? Su Moro e su Allende i nostri ragazzi hanno tanti siti da consultare quanti ne hanno sulle altre figure citate, ma non li consultano semplicemente perché nessuno dei modelli culturali che noi adulti proponiamo loro li spinge a farlo. E questo è un limite di chi il medium internet lo usa, lo gestisce e lo insegna, non del medium stesso.

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